MAZZINI E I DOVERI DELL’UOMO

MC (30 Aprile 2013). Ho trovato molto interessante l’ articolo “Mazzini e i doveri dell’ uomo ”, che integra e arricchisce notevolvente una discussione che avevamo inziato un paio di anni fa sul nostro sito su Mazzinianesimo, Socialismo e liberalesimo a seguito di una posizione del ” PRI ufficiale” che identificavava , sostanzialmente , il repubblicanesimo con il liberalesimo . Un punto chiarificatore del pensiero del Genovese è , ad mio avviso, le definzioni che egli da delle altre correnti di pensiero a lui contemporanee , che riporto qui sotto , ma credo che una lettura alla nostra discussione di allora porterà un qualche elemento di interesse . Complimenti e veramente fraterni saluti MarcoC della redazione di novefebbraio

…. il punto di partenza non può che essere “i doveri dell’ Uomo “ capitolo 11° “Questione economica”.

In questo capitolo vengono passati in disamina tutte le posizioni del dibattito di allora sulla “questione sociale , e se è vero che vi è una netta e assoluta presa di distanza dal Comunismo , definito “società da castori “, per il resto la questione è un po’ più complessa di come la raffigura l’ articolo

Vengono in primo luogo criticati

“Taluni fra i vostri più timidi amici hanno cercato il rimedio nella moralità dell’operaio. Fondando casse di risparmio o altre simili istituzioni, hanno detto agli operai: recate qui il vostro soldo: economizzate: astenetevi da ogni eccesso nella bevanda o in altro: emancipatevi dalla miseria colle privazioni.”,

ottimi consigli ma

“Ma né sciolgono la questione di miseria intorno alla quale io vi parlo, né tengono conto alcuno del dovere sociale. Pochissimi tra voi possono economizzare quel soldo.”

Liquidata la posizione , potremmo dire da esercito della salvezza , si passa ad una momento decisivo

“Altri, non nemici, ma poco curanti del popolo e del grido di dolore che sorge dalle viscere degli uomini del lavoro, paurosi d’ogni innovazione potente, e legati a una scuola detta degli economisti, che combatté con merito e con vantaggio tutte le battaglie della libertà, dell’industria, ma senza por mente alla necessità di progresso e di associazione, inseparabili anch’esse dalla natura umana, sostennero e sostengono, come i filantropi dei quali ora parlai, che ciascuno può anche nella condizione di cose attuale, edificare colla propria attività la propria indipendenza; che ogni mutamento nella costituzione del lavoro riuscirebbe superfluo o dannoso; e che la formola ciascuno per sé, libertà per tutti è sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo d’agi e conforti fra le classi che costituiscono la Società. Libertà di traffici interni, libertà di commercio fra le nazioni, abbassamento progressivo delle tariffe daziarie specialmente sulle materie prime, incoraggiamenti dati generalmente alle grandi imprese industriali, alla moltiplicazione delle vie di comunicazione, alle macchine che rendono più attiva la produzione: questo è quanto, secondo gli economisti, può farsi dalla Società: ogni suo intervento al di là è, per essi, sorgente di male.”

Credo che si faccia fatica a non riconoscere in questi “economisti “ i liberali ( (formidabile la definzione e che la formola ciascuno per sé, libertà per tutti è sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo d’agi e conforti fra le classi ) e la critica agli “economisti” diventa una della più belle pagine di condanna delle menzogne del liberismo

“gli economisti non guardano che a fecondare le sorgenti della produzione senza occuparsi dell’uomo. Sotto il regime esclusivo di libertà ch’essi predicano e che ha più o meno regolato il mondo economico nei tempi a noi più vicini, i documenti più innegabili ci mostrano aumento d’attività produttrice e di capitali, non di prosperità universalmente diffusa: la miseria delle classi operaie è la stessa di prima. La libertà di concorrere per chi nulla possiede, per chi, non potendo risparmiare sulla giornata, non ha di che iniziare la concorrenza, è menzogna, com’è menzogna la libertà politica per chi mancando di educazione, d’istruzione, di mezzo e di tempo, non può esercitarne i diritti. L’accrescimento della facilità dei traffichi, i progressi nei modi di comunicazione, emanciperebbero a poco a poco il lavoro dalla tirannide del commercio della classe intermedia fra la produzione e i consumatori: ma non giovano a emanciparlo dalla tirannide del capitale, non danno i mezzi del lavoro a chi non li ha. E per difetto di un’equa distribuzione della ricchezza, d’un più giusto riparto dei prodotti, d’un aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo economico, ‘immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d’oggetti superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per la vita o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni.”

Passa poi alla disamina di quello che ‘ è , per così dire a sinistra

“… sorsero negli ultimi trent’anni, in Francia segnatamente, alcune scuole d’uomini buoni generalmente e amici del popolo, ma trascinati da soverchio amore di sistema e da vanità individuale, che sotto nome di socialismo proposero dottrine esclusive, esagerate, avverse spesso alla ricchezza già conquistata dall’altre classi ed economicamente impossibili, e spaventando la moltitudine dei piccoli borghesi e suscitando diffidenza fra ordini e ordini di cittadini, fecero retrocedere la questione e divisero in due il campo repubblicano. In Francia, il primo effetto di quella diffidenza e di quel terrore fu il più facile colpo di Stato.

Io non posso esaminare con voi ad uno ad uno quei diversi sistemi, che furono chiamati Sansimonismo, Fourierismo, Comunismo, o con altro nome. Fondati quasi tutti sopra idee buone in sé e accettate da quanti appartengono alla Fede del Progresso, le guastavano o le cancellavano coi mezzi di applicazione che proponevano falsi o tirannici.

L’abolizione della proprietà individuale nondimeno è il rimedio proposto da parecchi tra i sistemi di socialisti dei quali vi parlo, e segnatamente del comunismo

Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla.

Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo si che il lavoro solo possa produrla.

Bisogna avviare la società verso basi più eque di rimunerazione tra il proprietario o capitalista e l’operaio.

Bisogna mutare il sistema delle tasse, tanto che non colpiscano la somma necessaria alla vita e lascino al popolano facoltà di economie produttive a poco a poco di proprietà.

Il rimedio è l’ associazionismo.

“Il rimedio alle vostre condizioni è l’unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani.

Quando la società non conoscerà distinzione fuorché di produttori e consumatori o meglio quando ogni uomo sarà produttore e consumatore – quando i frutti del lavoro, invece di ripartirsi tra quella serie d’intermediari che, cominciando dal capitalista e scendendo sino al venditore a minuto, accresce sovente del cinquanta per cento il prezzo del prodotto, rimarranno interi al lavoro – le cagioni permanenti di miseria spariranno per voi. Il vostro avvenire è nella vostra emancipazione dalle esigenze d’un capitale arbitro in oggi d’una produzione alla quale rimane straniero.

I1 vostro avvenire materiale Il lavoro associato, il riparto dei fratti del lavoro, ossia del ricavato della vendita dei prodotti, tra i lavoranti in proporzione del lavoro compiuto e dal valore di quel lavoro; è questo il futuro sociale. In questo sta il segreto della vostra emancipazione. Foste schiavi un tempo: poi servi: poi assalariati: sarete fra non molto, purché il vogliate, liberi produttori e fratelli nell’associazione.

Associazione libera, volontaria, ordinata su certe basi da voi medesimi, tra uomini che si conoscono e s’amano e si stimano l’un l’altro, non forzata, non imposta dall’autorità governativa, non ordinata senza riguardo ad affetti e vincoli individuali, tra uomini considerati non come esseri liberi e spontanei, ma come cifre e macchine produttrici.

Associazione amministrata con fratellanza repubblicana da vostri delegati e dalla quale potrete, volendo, ritirarvi: non soggiacente al dispotismo dello Stato e d’una gerarchia costituita arbitrariamente e ignara dei vostri bisogni e delle vostre attitudini.

Associazione di nuclei formati a seconda delle vostre tendenze, non come vorrebbero gli autori dei sistemi ch’io vi accennai, di tutti gli uomini appartenenti a un dato ramo d’attività industriale o agricola.

Ulteriori riflessioni in: Novefebbraio, repubblicani nella sinistra