LE OSSERVAZIONI DI  JACQUES JULLIARD E ALAIN DE BENOIST SULLA CRISI DEL SOCIALISMO EUROPEO

PP (3 Gennaio 2015). Certamente interessante; ma si direbbe quasi che certe battaglie per i diritti civili non siano state storicamente battaglie delle sinistre (laiche o socialiste che fossero) e siano state sostenute da generiche forze liberali, pronte ad impegnarsi per le libertà civili finchè la necessità di allearsi con clericali e codini vari per difendere certe posizioni in economia, o semplicemente un certo richiamo del perbenismo familistico, non portassero altrove. Furono i vecchi socialisti a contestare lo stesso istituto matrimoniale, furono i vecchi repubblicani a condurre le battaglie più coerenti per i diritti delle donne e per il divorzio. Certamente su alcun temi qui citati la sinistra sembra andare al seguito di altri; ma se poi si va a vedere in concreto dove si trovano questi altri, si vedrà non di rado sono essi stessi , al di fuori del movimento a livello di società civile nel quale sono impegnati, comunque di sinistra. Se pensiamo al caso italiano e togliamo per un attimo dal suo panorama il partito radicale, di grandi movimenti libertari non di sinistra francamente faccio abbastanza fatica a vederne.

CDL (3 Gennaio 2015). De Benoist si riferisce al fatto che ad un certo momento (recente) della sua storia il movimento socialista sostituisce la battaglia per i diritti sociali con quella per i diritti civili (di matrice liberale). Accade quando le rivendicazioni sociali si scontrano con il nuovo contesto economico mondiale. Dopo la crisi petrolifera degli anni ’70, la riduzione della crescita economica e l’avvento del liberismo reaganiano annullano gli spazi di una politica sociale espansiva (che aveva fatto la fortuna delle socialdemocrazie europee). A questo punto anziché rielaborare il proprio pensiero, il movimento socialista muta obiettivi (dai diritti sociali a quelli civili). Basti pensare ai governi di Zapatero, di fatto poco o nulla impegnati sui diritti sociali e molto impegnati su quelli civili. Ma anche agli altri governi socialisti che lo hanno preceduto (Blair, Mitterand, Papandreu). Il fatto è che i diritti civili non sono valori molto sentiti nell’area sociale di riferimento del socialismo, quella dei lavoratori. Basti pensare alla questione degli immigrati che tolgono risorse (almeno così appare) ad una politica sociale rivolta ai ceti meno abbienti del Paese ospite. Che poi finiscono per chiedere rappresentanza politica ai tanti neo-populismi.

MF (3 Gennaio 2015) Ma il Socialismo ha fallito.

CDL (4 Gennaio 2015). Sino agli anni ’70 le socialdemocrazie europee sono state strumento di progresso e di evoluzione delle democrazie liberali. Al punto da diventare a pieno titolo parte della cultura occidentale. Hanno iniziato a segnare il passo con la crisi petrolifera quando la riduzione della crescita economica e l’emergere della questione del debito pubblico hanno drasticamente ridotto le risorse disponibili per le politiche sociali. Il socialismo europeo non è riuscito ad aggiornare le istanze propriamente sociali.

SNF (4 Gennaio 2015)- Il socialismo, in particolare tramite il movimento sindacale, in quasi due secoli ha difeso centinaia di milioni di persone dagli aspetti più criminali dell’economia liberale. Come ricorda CDL dopo la riforma socialdemocratica (che come abbiamo discusso più volte ha dato, inconsapevolmente, ragione a Mazzini nella sua polemica con Marx nelle prima internazionale del 1864) è stato costruito con l’economia sociale di mercato il sistema meno iniquo della storia umana. Poi per come i gangster liberisti hanno voluto gestire la globalizzazione il sistema è stato fatto saltare e in tutto l’occidente l’intera popolazione (a parte il decile più ricco) ha visto disastrosamente peggiorare la sua situazione. Le socialdemocrazie non si sono purtroppo opposte, e in qualche caso sono state complici, di quelle sciagurate liberalizzazioni del mercato mondiale.

LO (4 Gennaio 2014). E’ la democrazia. 10 ricchi riescono a mettersi d’accordo fra di loro molto prima di 100 milioni di non ricchi. Quando i non ricchi hanno trovato una qualche intesa, i ricchi sono diventati ancora più ricchi e ancora più forti. Stalin sosteneva che finché al mondo ci sarà un capitalista il comunismo sarà sempre perdente. Sia pure in modo brutale e con i riferimenti che preferiva, aveva centrato il nodo dei rapporti tra ricchi e meno ricchi.

MC (5 Gennaio 2015). I 100 milioni di non ricchi avranno ognuno un’idea diversa su come diventare ricchi o meno poveri, confliggente con quelle di altri anche quando formulata ragionevolmente. Mentre i 10 ricchi potranno anche giocare a scannarsi fra loro ma fan presto ad accordarsi per gestire i rapporti coi 100 milioni. Anche i non ricchi animati dagli ideali altruisti ne avranno uno a testa, e magari inconsapevolmente, se ne serviranno per esprimere una qualche altrimenti frustrata volontà di potenza. Stasera sono pessimista…

GV (5 Gennaio 2015). Il discorso della sinistra più impegnata a difendere i diritti di immigrati e gay è uno dei leitmotiv di una certa cultura politica di destra che si spaccia per sinistra addirittura marxista. La socialdemocrazia è stata fondamentale nei decenni passati. Giusta l’auto critica anche da parte nostra ma senza esagerare. I diritti civili possono benissimo andare di pari passo coi diritti sociali.

CDL (5 Gennaio 2015). Infatti il senso degli interventi non è che la socialdemocrazia e la sinistra debbano abbandonare la difesa dei diritti civili. Ritengo che questo non sia nemmeno il pensiero di De Benoist (che pure è un intellettuale di destra, sebbene atipico). Si intendeva solo constatare che la socialdemocrazia, dopo aver fortemente contribuito a rendere più eque le democrazie liberali, non ha saputo reinterpretare i diritti sociali alla luce del nuovo contesto economico (la riduzione della crescita economica inaugurata dalla crisi petrolifera). Questa incapacità progettuale ha contribuito non poco alla vittoria del neoliberismo reaganiano di cui la crisi attuale costituisce l’esito. Il mio pensiero è che la socialdemocrazia, privilegiando i diritti sociali, abbia finito per trascurare quelli politici. Non ci può essere equità, nemmeno sociale, senza la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica. E’ il concetto di “virtù” (e di cittadinanza) che dalla Polis greca e dalla Res publica romana giunge sino a noi attraverso Machiavelli e il repubblicanesimo anglosassone (prima inglese, poi americano). La globalizzazione economica ha determinato una difficoltà inedita. I grandi gruppi economico-finanziari assumono decisioni che hanno conseguenze su milioni di persone con le quali non hanno alcun rapporto, tantomeno di tipo delegato-delegante. E milioni di persone subiscono gli effetti di decisioni di cui non sanno nulla. Quanti, anche nelle democrazie occidentali, conoscono i nomi di coloro che hanno portato il mondo sull’orlo del baratro attuale? Mancano in sostanza gli strumenti dell’accountability orizzontale e verticale. E questo è un problema politico, non sociale.

MC (5 Gennaio 2015). Quanto a Marx è banale dire che ha presentato insieme una serie di analisi storiche economiche antropologiche, di cui molte sbagliate e molte giuste, e una prospettiva messianica fasulla come tutte le aspettative messianiche. Benissimo fece chi lo capì immediatamente come Mazzini. Ma un uso moderato, non meccanico e flessibile davanti alle circostanze sempre mutanti, di quel che veniva chiamato “materialismo storico”, alla Piketty tanto per dire, sembra alquanto necessario, anche perché è farina già di sacchi liberali prima di lui (Guizot mi pare) e perché i capitalisti mi pare se ne siano sempre serviti nelle loro analisi: non per niente sono capitalisti, se fossero ideologi liberisti o democratici formalisti non avrebbero fatto i soldi.

LO (5 Gennaio 2015). Nella logica: io sto facendo i soldi e qualsiasi cosa non mi impedisca di farne avrà il mio consenso. In sintesi, fate quel che volete ma non disturbate il mio far soldi.

CDL (7 Gennaio 2015). Una provocazione. Il merito e l’errore storico della socialdemocrazia è stato quello di ottenere il miglioramento delle condizioni materiali dei lavoratori “trascurando” il fatto che questo doveva servire a garantire l’eguaglianza politica degli stessi. Ovvero la possibilità di una partecipazione piena ai processi decisionali. Cosi le socialdemocrazie non hanno sviluppato gli strumenti politici dell’accountability orizzontale e verticale. Senza questa incomprensione non si spiega la sudditanza culturale dei governi socialdemocratici al neoliberismo reaganiano e alle sue propaggini attuali. L’uguaglianza politica deve costituire il fine dell’equità sociale. La rimozione delle condizioni di svantaggio sociale, economico ed anche naturale deve servire ad assicurare a tutti la piena cittadinanza ovvero il diritto di intervenire sui processi politici.   SCIENZA E TELEOLOGIA

FI (4 Novembre 2014). Concordo sul metodo che giustamente difendi, un po’ meno sul resto… credo che ci sia il rischio di una riduzione eccessiva dell’ambito di operatività dell’indagine scientifica. Mi riferisco sostanzialmente al paradigma dell’indagine empirica: pur essendo fermamente convinto della sua (dimostrata ) utilità nel favorire il progresso delle nostre conoscenze, credo nello stesso tempo che si debba fare attenzione a non limitare ad esso lo spettro della nostra indagine sul mondo. Ho l’impressione che soffra infatti di un difetto di eccessiva specificità; in altre parole, mi sembra che, pretendendo di ancorare l’indagine ai sicuri argini del dato sensibile, se da un lato si ottiene una certezza (in certi casi, permettimelo, fallace) in termini di riscontrabilità dei risultati, dall’altro si rischia di non cogliere il lato complessivo dell’esistenza. Il pericolo, per dirla alla buona, è di concentrarsi sulla pagliuzza e non vedere la trave, di insistere su un’indagine specialistica tralasciando, in modo miope, una altrettanto importante indagine funzionale che si può svolgere, ci piaccia o no, soltanto su di un piano ulteriore che, non ho paura di ammetterlo, coinvolga pienamente anche i fini dell’esistenza. Abbiamo già affrontato l’argomento parlando del Secolo Breve di Hobsbawm e quando discutevamo della Scienza della Complessità. Spero che ci “scanneremo” ancora quanto prima sulla questione…

CDL (7 novembre 2014). Ma io non sostengo che la scienza sia l’unico strumento di conoscenza se non di quella sensibile. Ritengo infatti che il metodo scientifico debba essere applicato a ogni forma di esperienza allo scopo di verificarne la plausibilità. Si tratta di un approccio conservativo: il risultato che si ottiene con il metodo scientifico è certo (in senso popperiano ovvero sino a quando non viene confutato). Comunque ho obiezioni da fare a chi sostiene che la sempre maggiore complessità della vita sia espressione di un disegno intelligente. Un’opinione che è naturalmente legittima. Trovo invece discutibile che si voglia dare ad essa un fondamento scientifico che non ha.

  LETTURA SUL SOCIALISMO

La pubblicazione della “Lettura sul Socialismo” da parte di Democrazia Pura, nel Gennaio 2014, ha suscitato diversi dibattiti sulle pagine facebook. In particolare si segnala la discussione sulla interpretazione che oggi può essere data dell’azionismo: cultura autonoma e originale rispetto alle correnti di pensiero dalle cui aggregazione è storicamente nato o terreno di confronto delle diverse concezioni laiche di sinistra.

PAQ. Dico però che è arrivato il momento di chiarire una enorme questione teorica che riguarda l’azionismo; faccio delle domande a tutti. GL è ‘ipso facto’ coincidente con il Partito d’Azione e con l’azionismo? In quell’epoca in GL e nel Partito d’Azione c’erano repubblicani, socialisti, liberali ed oggi il simbolo di GL è usato anche da radicali e da altri. Anche oggi si dichiarano azionisti radicali, liberali, repubblicani e socialisti. E allora la prima domanda da porsi è la seguente; cosa può essere oggi veramente l’azionismo? Può esistere l’azionismo come cultura politica autonoma e diversa da quelle citate, ben distinta dalle altre appena citate o è una succursale del socialismo o del liberalismo o del radicalismo pannelliano o del repubblicanesimo? Dico di più; oggi bisogna finirla con i feticci nominalistici. Si dicono azioniste persone che hanno visioni del tutto diverse, se non opposte della realtà politica e sociale dell’Italia. Anche oggi, non solo nel 1947. Era la questione che incubava già ai tempi dello scioglimento del 1947. Se non si va a fondo, coraggiosamente, su questo enorme calderone denso di equivoci di ogni sorta ognuno può sparare tutto quello che gli passa per la testa, senza riferirmi particolarmente a questo o a quello e nemmeno a CDL ovviamente. Il problema è generale.

PAQ. Il fatto che siamo pochi a definirci azionisti non vuol dire affatto che siamo tutti d’accordo sulle cose fondamentali. A me purtroppo pare proprio di no. Forse sono quasi settant’anni che nessuno parla così chiaro. Vuol dire che comincio io.

CDL. La pluralità delle culture fu la ricchezza del Partito d’Azione nel quale convivevano diverse anime: socialista, socialista liberale, democratica, liberaldemocratica. La componente socialista liberale era peraltro minoritaria perchè nel PdA prevaleva la componente socialista. La pluralità delle culture fu anche la causa della scomparsa del PdA nel quale prevalsero spinte centrifughe (soprattutto nella componente socialista). Per quanto mi riguarda, oggi l’Azionsimo può essere quello che doveva essere anche allora: un terreno di confronto e di osmosi tra le diverse componenti della cultura laica.

PAQ. Vedi, una cosa è il confronto, magari motivato anche da punti in comune ed un’altra il Grande Casino teorico. Quel Casino c’era già dal 1947 e determinò insieme ad altri fattori il collasso politico del Partito d’Azione. Oggi quel casino non significa più niente. Chi vuol essere liberale ha il vecchio PLI (non so se ancora esista ma siccome ho conosciuto non molto tempo fa Stefano De Luca penso di sì), chi vuol essere repubblicano ha sempre il PRI che stava a libro paga di Berlusconi ed aveva anche il MRE che si è sciolto nel PD, chi era socialista ha il PSI e gruppetti vari e chi era radicale (il radicalismo non comincia con Pannella) ha Radicali Italiani. Chi si definisce azionista deve essere qualcosa di diverso, altrimenti non si capirebbe la ragion d’essere di questa sigla e di questa tradizione. Ci sono punti in comune. Bene. è possibile ed è cosa buona, ma non è un fatto scontato. L’azionismo come ogni altra cultura politica vive nella storia. Non so che farmene di un azionismo nostalgico e nominalistico che vive perennemente nel Museo delle Cere.

CDL. Ho sbagliato a non precisare che le correnti di pensiero laiche cui mi riferivo sono quelle di sinistra, come erano tutte quelle che convivevano allora nel PdA (quindi nulla che vedere con il liberalismo di destra e con il berlusconismo). La frammentarietà politica che tu giustamente ravvedi, mi pare sia proprio il motivo per compiere uno sforzo congiunto.

PAQ. Vivere nella storia significa tutto il contrario di quello che qualcuno potrebbe pensare. Vivere nella storia è cosa diversa che permanere nella memoria storica. Vivere nella storia significa vivere il cambiamento, la trasformazione, il Divenire storico. Cambiare rimanendo se stessi ma qui il problema è per diverse persone non sanno che cosa sia il ‘Se Stessi” fondamentale dell’azionismo ed ognuno si fa un azionismo a piacere, credendo di volta in volta che sia un socialismo più moderato o un liberalismo un pochino meno conservatore o un repubblicanesimo un po’ più di sinistra o chissà cos’altro. PAQ. Il discorso sul piano più specificamente politico poi è ancora diverso. E’ proprio su altri piani ed io qui nemmeno vorrei toccarlo il discorso politico. Non parlo della frammentarietà politica che nemmeno ormai mi interessa perché i miei (e non solo i miei) riferimenti politici più prossimi non sono più da un bel pezzo, o da sempre forse, quelli di quei partiti lì. Mi confronto, come ho fatto mesi fa alle Politiche nazionali in rappresentanza del …con Di Pietro, con Ferrero, con Bonelli, con Luigi De Magistris e, nonostante ciò, abbiamo già tanti problemi con loro, figuriamoci se penso di confrontarmi con Nucara o con Pannella o con Nencini (con Nencini non più).

GO. Credo che la chiarezza sia, appunto, la prima cosa da ricercare. L’azionismo non è e non deve essere solo ed esclusivamente una rievocazione storica dei bei tempi che furono. Una ripetitiva, ridondante opera di approfondimento storico che non aggiunge nulla di nuovo a ciò che nei decenni si è detto e studiato sui suoi padri nobili. L’azionismo non è e non deve più essere nostalgia ed un raschiamento sul fondo già troppo scandagliato del barile della storia, per vedere se ancora emerge qualche pelo sfuggito agli sguardi indagatori del passato. L’azionismo deve ritrovare la sua ragion d’essere politica; deve essere una fucina di idee sul presente e sul futuro. Serve a qualcosa o a qualcuno il continuare ostinatamente a ripetere a se stessi che belli e che bravi erano Parri e gli altri? Serve a qualcosa questo continuo rivangare il passato che non porta nessuna produttività al presente politico? La politica italiana non si è cristallizzata al ’47 e se questa tradizione a cui teniamo tanto deve tornare ad essere protagonista deve non solo rendersi consapevole della sua esistenza, ma deve soprattutto fare politica. Prima del 2005 nessuno e sottolineo nessuno, ha avuto il coraggio di fare questo salto di qualità. Prima che venisse fondato il Nuovo Partito d’Azione, l’azionismo operante non esisteva. Ora esiste e volenti o nolenti con questa realtà ci si deve confrontare. Forse qualcuno storcerà il naso poichè il nuovo azionismo non si fonda sui pedigree ereditati geneticamente e questo fatto crea non poco disturbo in quelli che vantavano la patente di eredi dello sterile azionismo del ricordo e delle celebrazioni alla memoria. Il Partito d’Azione è vivo e si chiama …

PAQ. Il discorso politico lo possiamo magari fare in sede politica e in altre pagine Fb, a cominciare dalle pagine …. Io volevo stare sul punto e sollecitare a riflettere su cosa sia oggi la missione azionista, ovviamente alla luce dell’azionismo autentico. Vorrei un confronto aperto, come sollecita CDL. Il passato è estremamente importante ed interessante purché sia in collegamento con il presente storico e non sia sigillato in una teca votiva.

PAQ. Che, tra l’altro è l’atteggiamento meno laico che possa esistere.

CDL. Sempre per fare chiarezza. Se si identifica l’azionismo con il socialismo liberale non capisco perchè non si usi questo termine. Immagino che se si utilizza il termine azionismo è perchè si voglia comprendere tutte le correnti di pensiero laiche e di sinistra. Per la distinzione tra destra e sinistra penso siamo tutti d’accordo nell’usare le definizioni di Bobbio e nel considerare discriminante il concetto di uguaglianza o equità. Confesso di non conoscere la storia del … e mi riprometto di approfondire l’argomento. Però se Q. pone la questione del perimetro, evidentemente un qualche problema di definizione c’è. PAQ. Che devo dirti? Se vuoi conoscere la storia del …, il frutto della sua rielaborazione e rifondazione teorica dell’azionismo, il suo programma, la sua visione della crisi in cui l’Italia si dibatte e tante altre cose, basta che scarichi i diversi pdf che sono allegati alla pagina AMICI DEL … Il problema più generale è quello che io e i miei compagni abbiamo affrontato nel corso degli otto anni della storia del …; ha ancora senso parlare nel 2005 di azionismo, e di azionismo politico e non più ideale o storico o culturale (Ezio Mauro parlava di azionismo residuale) dopo che il PdA è scomparso per sessant’anni dal panorama politico? Abbiamo detto sì, ha ancora senso però a patto che….ecc. ecc. Se si rielabora parecchio la radice, questa darà ancora frutti, innestata in un campo diverso e nuovo, anzi saremo all’avanguardia. Se riproponiamo le stesse forme, la storia è finita. Era già finita da un pezzo. E sarà finita per sempre. Stessa cosa per il socialismo liberale. Certo, siamo anche dei socialisti liberali o dei liberalsocialisti (e qui ci andiamo a buttare però in un’altra intricatissima questione storicistica; sono la stessa cosa o no?). Abbiamo subito tolto la dicitura ‘liberalsocialismo’ dalla prima versione del simbolo perché quando liberalsocialista diventa anche l’etichetta con cui viene catalogato un De Michelis, allora vuol dire che qualcosa non va. Anche se parliamo di socialismo liberale rosselliano, invece di fare sempre i fans o i fedeli, e cerchiamo di ragionare filosoficamente e criticamente, allora vediamo che quella formula ha perso parecchio mordente a partire da un certo punto. Come dicevo prima, la storia cammina. Non si ferma alle teche votive del 1945-46-47 o degli anni ’30. Il socialismo liberale è sempre una formula valida in generale, ma se la vediamo non come il nucleo dell’azionismo, ma come una variante della storia del socialismo perde molto interesse a partire dal Congresso SPD di Bad Godesberg, quindi dal blairismo, dalla modificazione genetica saragattiana e poi craxiana in Italia ecc. ecc. Insomma, il problema sono i contenuti concreti ‘hic et nunc’, non, come dice bene GO, la ripetizione fideistica, ridondante, barocca, nominalistica ed anche un po’ trombonesca delle idee e delle gesta dei bei tempi che furono. Questo vale tanto per l’azionismo quanto per il comunismo, per il socialismo , per il liberalismo e via dicendo…

AS. Io credo che le idee azioniste alle origini prendevano spunto sia dal socialismo sia dal liberalsocialismo ma ha creato poi qualche cosa di diverso da entrambi queste idee politiche con la creazione e la definizione dei 7 punti nel congresso di … si è provveduto a dare una idea politica nuova (infatti i 7 punti non erano una novitá e non erano presenti nè nel socialismo nè nel liberalismo). Con questi 7 punti il … si è strutturato secondo una idea precisa e nuova. Gli azionisti volevano creare una società nuova più equa, più democratica, più giusta intaccando e combattendo tutto ciò che dall’unità d’Italia in avanti aveva minato la nazione italica. Ecco secondo me cosa era il partito d’azione e l’azionismo. PAQ. Il PdA aveva, sin dai quei tempi, degli elementi di specificità che ne facevano una cosa diversa e nuova rispetto al liberalismo, al socialismo ed al repubblicanesimo e, quindi, nonostante la eterogeneità degli apporti ideologici che vi confluirono, cominciava ad emergere come cultura politica autonoma dalle altre, diversa dalle altre, non una semplice succursale o variante delle altre. Nemmeno poteva essere già da allora un semplice luogo di confronto. Men che meno si può immaginare di ridurre la specificità azionista oggi ad un mero luogo di confronto fra le culture politiche laiche. La specificità che emergeva già negli anni ’40 si basava su due idee-forti; l’intransigenza morale contro gli eterni vizi o difetti, direi quasi antropologici, della Nazione italiana (di cui il fascismo altro non era se non l’ennesima pagina autobiografica) e, poi, l’idea forte della Rivoluzione Democratica, cioè di quella rivoluzione politica ma anche civile, quasi una religione civile, che era sempre mancata (e tuttora manca) alla Nazione italiana rispetto alle altre nazioni europee ed occidentali. Oggi queste idee sono ugualmente presenti, mutatis mutandis, nel dna azionista, solo che essendo passati 60/70 anni da allora non bastano più nel modo più assoluto e, soprattutto, devono trovare un nuovo senso nella pratica politica odierna, una nuova specificità alla luce di tutti i fatti nuovi accaduti nel mondo a partire dal 1947. Devono rientrare nella storia ed uscire dalle teche votive.