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Dopo la caduta della Repubblica, al termine di un faticoso percorso, anche a Tivoli finalmente nascerà un movimento democratico rinnovato negli uomini e nei contenuti, di chiara ispirazione mazziniana, che continuerà a sostenere le ragioni della rivoluzione nazionale e l’istanza politica repubblicana, arrivando ad egemonizzare ed anzi a comprendere l’intero campo progressista almeno sino al 1853 (L’articolo riportato è stato già pubblicato sul mensile locale “La Civetta” nel Giugno 1998. In quanto rivolto ad un pubblico ampio e proposto su una rivista non specialistica non è corredato di note bibliografiche. Rispetto al testo originale sono state aggiunte le figure con le relative note).
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Il periodo di tempo che include la Repubblica Romana del 1849 costituisce un passaggio cruciale nell’ulteriore definitivo sviluppo in Italia del movimento democratico. A Tivoli questo processo sarà particolarmente faticoso per alcune peculiarità, la direzione politica moderata e l’egemonia culturale liberale, che caratterizzano inizialmente l’opzione politica repubblicana.
Sino al 1846 la situazione politica tiburtina appare tranquilla, con l’eccezione di gesti patriottici isolati che non sembrano configurare un clima politico reale. Nel 1840 per la verità circolava un piano insurrezionale, di ispirazione liberale, che individuava in Tivoli il fulcro delle operazioni, ma, come già sostenuto in sede di dibattito storico, è probabile che questa scelta fosse esclusivamente dovuta alla localizzazione strategica della città dal punto di vista geografico. In questo periodo il dibattito politico si svolge su due piani nettamente separati. Da un lato caratterizza il processo di formazione della classe dirigente che avviene, attraverso forti tensioni e subitanee ricomposizioni, in due sedi fondamentali, il “Consorzio degli utenti delle acque” ed il Consiglio Municipale. Dall’altro si snoda con modalità confuse attraverso canali clandestini o semiufficiali, rappresentati da osterie, caffè, locande, botteghe, piazze. In particolare sulle osterie, luoghi tradizionali di un indistinto ribellismo sociale, il governo pontificio tenterà più volte di esercitare un controllo attraverso leggi severe sull’apertura degli esercizi e sulle modalità di vendita del vino.
A partire dal 1846 comunque inizia a prendere sostanza una coscienza popolare dai tratti prima indistinti e poi sempre più definiti. Nell’estate del 1846 e nel luglio 1847 a Tivoli si ebbero due episodiche sollevazioni popolari dai contenuti politici e sociali non facilmente riconoscibili. Con tutta probabilità quest’ultimi disordini furono fomentati da quegli agenti provocatori, contrari alla politica di Pio IX, che andavano sobillando i contadini contro il notabilato agricolo, in quel momento particolarmente sensibile alle istanze del liberalismo moderato. Comunque, per effetto della politica cautamente innovatrice perseguita dal Pontefice in questa fase, la propaganda liberale comincia a fare breccia. Nel novembre 1847 sosta a Tivoli, suscitando un notevole fervore, il poeta Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, espressione popolaresca del cattolicesimo liberale. Nel marzo 1848, prima la promulgazione dello Statuto da parte di Pio IX, poi i moti di Vienna ed infine la prima guerra d’indipendenza suscitano altrettante importanti manifestazioni d’entusiasmo popolare. E’ in questa fase che lo spirito innovatore prende compiutamente la forma liberale. L’istituzione a Tivoli di un battaglione della Guardia Civica, la fondazione di un circolo popolare e soprattutto l’espulsione dei Gesuiti dalla città ne rappresentano ulteriori importanti momenti di affermazione.
Il successivo disimpegno di Pio IX dalla causa nazionale e i drammatici avvenimenti del novembre 1848, che si concludono con la fuga del Papa a Gaeta, condizionano una drammatica accelerazione del corso politico. Il neoguelfismo mostra tutta la sua inadeguatezza e la grande maggioranza dei cattolici si compatta su posizioni reazionarie. Sul fronte opposto, non subitaneamente ma con progressione sicura, si realizza pure l’aggregazione di tutte le forze laiche su posizioni repubblicane e rivoluzionarie. Con il succedersi degli eventi, prima la costituzione di un governo provvisorio di orientamento democratico e poi la proclamazione della Repubblica Romana, anche a Tivoli si delineano compiutamente il partito reazionario ed il movimento repubblicano.
Il partito reazionario si organizza in tre livelli sotto la direzione accorta del Governatore Andrea Guidoboni, nominato in epoca pontifica, il quale non aderirà mai alle ragioni della Repubblica. Il primo livello si identifica con gli ambienti ecclesiastici, all’interno dei quali il Vescovo Carlo Gigli si fa interprete di una linea moderata rispetto alla tendenza radicale del clero secolare. Il secondo è composto dagli oppositori dichiarati del governo repubblicano, che rappresentano un vero e proprio nucleo eversivo raccolto attorno alla figura del Cav. Giacomo Mencacci. Questi ambienti sono in rapporto organico con il terzo livello costituito da quelle autorità civili che, assumendo un basso profilo politico e accentuando la loro funzione istituzionale, riescono ad accreditarsi come neutrali. E’ evidente che un atteggiamento del genere non poteva che assumere un significato intrinsecamente reazionario, nel momento stesso in cui si andava profilando un nuovo ordine politico, e a maggior ragione in seguito, quando la Repubblica verrà aggredita da quattro eserciti ed avrà ancora più bisogno di un sostegno pieno e convinto. Questo gruppo, vero elemento trainante del partito reazionario e alla fine determinante negli equilibri politici locali, è costituito, di fatto, da quella classe dominante che si era formata in epoca gregoriana e della quale il Cav. Francesco Bulgarini, uomo di alto profilo civile, ne è l’esponente più rappresentativo.
Il movimento repubblicano si costituisce attorno a quegli elementi che avevano sostenuto la politica cautamente liberale inizialmente perseguita da Pio IX. In esso non mancavano linee di tendenza popolari, come quella che sembra interpretare Francesco Salvi, proprietario di una locanda. Tuttavia la leadership indiscussa era esercitata da Luigi Coccanari, esponente di una famiglia patrizia, eletto deputato all’Assemblea Costituente, il quale ad un certo radicalismo politico accompagnava un’impostazione culturale di chiara matrice liberale. Egli ebbe costantemente come referenti sociali quei ceti abbienti peraltro già guadagnati alla causa papalina e già garantiti dalla componente neutrale dello schieramento reazionario. Il suo obiettivo rimase sempre quello si assumere la rappresentanza di questi ceti piuttosto che quello di determinare un vero ricambio della classe dirigente tiburtina. Inoltre la direzione politica del movimento era decisamente condizionata dai commissari che si succedettero a Tivoli dal gennaio al luglio 1849, allo scopo di rendere operative le disposizioni del governo repubblicano. Essi operarono secondo un’ottica che poco o nulla tenne conto delle problematiche locali e delle ragioni dei repubblicani tiburtini, mettendo in atto una politica di assoluta moderazione nei confronti del partito reazionario. Questo produrrà due conseguenze. Da un lato rafforzerà l’ala neutrale dello schieramento reazionario, che contratta la sua parziale collaborazione in cambio del mantenimento del proprio potere, e dall’altro metterà il movimento repubblicano in una condizione di chiara minorità politica perché ne impedisce l’ascesa nelle istituzioni del potere politico e civile, ne soffoca le istanze più radicali, ne ostacola la diffusione verso quegli ampi strati della popolazione che avevano una posizione sociale marginale.
Il terreno dello scontro politico è rappresentato essenzialmente dalle elezioni per l’Assemblea Costituente, dalla rifondazione del circolo popolare, dal riordinamento della milizia civile, dalle votazioni amministrative. Al momento delle elezioni generali, i repubblicani ottengono una vittoria non clamorosa ma evidente, soprattutto per l’apprezzabile partecipazione al voto che, almeno a Tivoli, essi seppero promuovere. Successivamente, nella rifondazione del circolo popolare, i reazionari abbandonano la linea difensiva del boicottaggio e scelgono la partecipazione finalizzata a neutralizzare le potenzialità politiche dell’associazione, riuscendo pienamente nel loro intento. Anche al momento del riordinamento della milizia civile, essi riescono a conservare una posizione di assoluta preminenza. E’ comunque al momento delle elezioni amministrative che i reazionari ottengono la vittoria più clamorosa conquistando una larga maggioranza nonostante il clima politico generale fosse loro assolutamente sfavorevole.
La caduta della Repubblica, nel luglio 1849, condiziona ancora un profondo mutamento del clima politico. La restaurazione a Tivoli si avvia con l’occupazione militare francese e prosegue con il ripristino della legalità pontificia, la repressione politica e l’accentuazione del controllo sociale. Gli esponenti repubblicani vengono esiliati, arrestati, continuamente sottoposti a misure di polizia. Ancora una volta il governo tenterà di porre le osterie sotto una rigida sorveglianza. E’ in questo clima che il movimento repubblicano tiburtino evolve definitivamente in senso democratico-mazziniano. Gli uomini che, individualmente o in gruppo, fanno propria la battaglia repubblicana non sono stati attivi nel periodo della Repubblica o hanno avuto un ruolo minore, la loro collocazione sociale è prevalentemente medio-bassa, la loro ispirazione politica è decisamente democratica senza più alcuna indulgenza liberale. Gli esponenti moderati superstiti sono costretti all’accettazione di posizioni politiche radicali.
La ristrutturazione del movimento repubblicano tiburtino avviene secondo tre direttrici precise: la resistenza all’occupazione militare francese, la propaganda politica, l’attività cospirativa.
Quest’ultima rappresenta il livello sommerso e più difficilmente esplorabile. E’ certo comunque che, in questi anni, Filippo Sabucci si adopera per reperire a Tivoli grandi quantità di polveri da sparo, per conto del Comitato Centrale degli Stati Romani, l’organizzazione mazziniana che si era capillarmente diffusa nello Stato pontificio dotandosi anche di un’efficiente struttura militare. Non è ancora nota comunque la rete di complicità della quale egli dovette certamente usufruire.
La resistenza all’occupazione militare francese è subitanea. Già nella notte del 6 agosto 1849 le truppe francesi vengono fatte oggetto di una violenta sassaiola che porterà al ferimento grave di due soldati. Per l’episodio vengono arrestati Francesco Maggi ed il barbiere Mariano Segatori. Solo quest’ultimo verrà inquisito e condannato poi per un altro reato, quello di offesa ai simboli pontifici, subendo sette mesi di carcere nel corso dei quali patirà anche una grave malattia. Questa vicenda testimonia la vitalità del movimento repubblicano a Tivoli che, come si intuisce dagli atti processuali, ad appena un mese dalla caduta della Repubblica e in un clima di dura repressione, è già in condizioni di tenere riunioni clandestine e di organizzare attentati per quanto rudimentali. Numerosi furono in seguito gli episodi di ostilità nei confronti delle truppe occupanti che si verificarono a Tivoli. Almeno due di essi, quelli che videro protagonisti il falegname romano Michele Angelini e i tiburtini Giovanni Mattei e Andrea Scipioni, hanno delle ragioni politiche riconoscibili.
Al livello della propaganda politica esplicita appartengono i ripetuti episodi di esposizione di bandiere e simboli tricolori, opera soprattutto di Domenico Tani, i festeggiamenti con bengala effettuati nell’anniversario della Repubblica, l’usanza di portare barba e baffi “alla repubblicana”, la moda di indossare fazzoletti e sciarpe tricolori che a Tivoli sembra fosse ben radicata e dal chiaro intento politico. Ma è soprattutto la vicenda dello sciopero del fumo che ci consente di cogliere gli importanti avvenuti mutamenti nel movimento repubblicano tiburtino. Tra il 1850 ed il 1851 si diffuse, in varie zone dello Stato pontificio, una forma di protesta organizzata che prevedeva l’astensione del fumo, ad imitazione di quanto accaduto in Lombardia nel 1848. La battaglia fu condotta dai mazziniani con grande successo pur essendo duramente repressa dal governo pontificio. A Tivoli si fecero promotori dell’iniziativa il rigattiere Gregorio Caporossi e l’apprendista sarto Andrea Scipioni, arrestati tra il maggio ed il luglio 1851. I due furono infine assolti dal Tribunale della Sagra Consulta, salvati da alcune testimonianze favorevoli, dopo aver comunque scontato rispettivamente cinque e nove mesi di carcerazione preventiva. L’episodio suggerisce innanzitutto che il gruppo tiburtino non era costituito da elementi isolati, ma rappresentava uno dei terminali efficienti dell’organizzazione mazziniana dello Stato romano. In secondo luogo dimostra che le battaglie repubblicane erano ormai condotte da uomini nuovi e si andavano diffondendo nei ceti più popolari. Infine la discreta risonanza che lo sciopero del fumo ebbe presso la popolazione testimonia della capacità di coinvolgimento emotivo, se non proprio politico, ormai sviluppata dall’opposizione democratica.
Al termine dunque di un faticoso percorso a Tivoli finalmente nascerà un movimento democratico rinnovato negli uomini e nei contenuti, di chiara ispirazione mazziniana, che continuerà a sostenere le ragioni della rivoluzione nazionale e l’istanza politica repubblicana, arrivando ad egemonizzare ed anzi a comprendere l’intero campo progressista almeno sino al 1853. Esso conserverà questa sua fisionomia politica e culturale anche in seguito, quando il ritorno del partito liberale e l’emergere del socialismo porteranno una generale ridefinizione degli spazi politici. Ma da questo momento ha inizio un’altra storia.
Carlo De Luca
Nota alla figura 1. Il 28 marzo 1848 Pio IX, ancora nella fase “liberale” del suo pontificato, decreta la sospensione dell’attività della Compagnia di Gesù. A Tivoli il Consiglio Municipale accoglie la richiesta dei gesuiti di rimanere in città in forma privata e spogliati dell’abito. La notte tra il 12 ed il 13 aprile 1848 una moltitudine di cittadini si raccolse nelle strade rumoreggiando contro i gesuiti. Il Bulgarini fece armare la milizia cittadina e seguirono vari tumulti. I gesuiti sono costretti alla fine ad abbandonare la città.
Nota alla figura 2. Il governatore di San Vito, avvocato Pieromaldi, fu arrestato a Tivoli il 16 maggio 1849 su ordine dell’esercito napoletano. L’arresto fu eseguito da alcuni militi di S. Vito con la complicità di un alto ufficiale della Guardia Nazionale di Tivoli. Le guardie tiburtine, avuta notizia di quello che sembrava un rapimento, effettuarono un azione di rastrellamento delle campagne e trovarono il Pieromaldi in una cascina di proprietà del Principe Massimo, lungo la via Valeria, prigioniero di sei militi di S. Vito e del Capitano Aiutante Maggiore della Guardia Nazionale di Tivoli, Generoso Cappuccini. Compresa la dinamica dell’episodio, il Governatore Pieromaldi fu liberato, le guardie civiche di S. Vito furono rilasciate mentre l’ufficiale della milizia tiburtina fu arrestato e inviato in un carcere romano. Il giorno seguente il tenente Carlo Serra relaziona il Bulgarini sull’accaduto. I militi tiburtini protagonisti dell’episodio ricevettero una medaglia d’argento per disposizione del Governo. Essi erano il tenente Carlo Serra, il sergente Ignazio Serra, il caporale Cesare Grissini ed i militi Lorenzo Coccia, Girolamo Porcelli, Andrea Porcelli, Generoso Candiani, Ignazio Rosati, Antonio Marziale, Antonio Quinci, Luigi Pazienti, Luca Maggi, Giuseppe Trovarelli, Antonio Pozzilli, Domenico Pozzilli, Francesco Maggi, Domenico Orzati, Alessandro Santolamazza, Domenico Decesaris, Antonio De Luca, Giuseppe Frittelli.
Nota alla figura 3. Non appena ricevuta la notizia della vittoria riportata da Garibaldi contro le truppe francesi il 30 Aprile 1849, il Cola scrive al maggiore Bulgarini pregandolo per l’indomani di radunare il Battaglione Nazionale per sollecitare i più “generosi” a partire volontari per la difesa di Roma L’appassionato appello sortirà qualche effetto. Da Tivoli accorsero alla difesa di Roma altri otto-dieci giovani intorno al 3 maggio. Nel biennio 48-49 furono 37 i tiburtini che partiranno volontari, provenienti da 31 famiglie tiburtine. Di questi è possibile identificarne 29: Domenico Giuliani, Giacomo Castrucci e Antonio Modesti nel Battaglione degli studenti romani; Ignazio Bellini tra gli Artiglieri; Giuseppe Beda e Vincenzo Bellomo nei Dragoni Romani; Pietro Potenti, Luigi Pazienti, Antonio Quinci, Giovanni Quinci, Giulio Castrucci, Antonio Mancini e Filippo Benedetti tra i Lancieri; Antonio Merletti, Filippo Crocchianti e Generoso Nobili nei Volontari Masi; Domenico Aureli e Quirino Moriconi nei Volontari garibaldini; Giovanni Beda, Federico Coccanari, Domenico Coccanari, Crescenzio Giansanti, Domenico Tani e Carlo Serra nella Guardia Nazionale mobilitata per la difesa di Roma; Romolo Verger nel 1° Reggimento di Linea; ed inoltre Pietro Benedetti, Antonio Cipriani, Pietro Flamini, Antonio Rossignoli.