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Quando il complottismo diventa pratica di governo, la storia si trasforma in tragedia. Le ragioni antiche e moderne del cospirazionismo, il catalizzatore odierno, l’antidoto.
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La opacità di molte vicende della storia contemporanea (ma anche di quella passata) e la difficoltà a comprendere realtà complesse, costituiscono l’humus indispensabile per la nascita e lo sviluppo delle più svariate teorie complottiste. Esse da un lato comportano una semplificazione della storia e dall’altro rispondono ad una ossessione diffusa dai tratti talora paranoici. I giornali, la televisione e, soprattutto, la rete ne sono infestati in misura davvero spropositata.
Le ragioni antiche e moderne
Le cospirazioni sono un fenomeno antichissimo. Lo è anche il complottismo inteso come interpretazione semplificata e mitologica della realtà. Di recente Umberto Eco1 ha ricostruito i percorsi del complottismo a partire dalle osservazione Karl R. Popper che fu uno dei primi a studiarne le caratteristiche. Egli, già negli anni ’40, proponeva un’analisi per certi aspetti insuperata di quella che definiva “La teoria cospirativa della società”2:
«Essa consiste nella convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno (talvolta si tratta di un interesse nascosto che dev’essere prima rivelato) e che hanno progettato e congiurato per promuoverlo.
Io non intendo affermare, con questo, che di cospirazioni non ne avvengano mai. Al contrario, esse sono tipici fenomeni sociali. Esse diventano importanti, per esempio, tutte le volte che pervengono al potere persone che credono nella teoria della cospirazione. E persone che credono sinceramente di sapere come si realizza il cielo in terra sono facili quant’altre mai ad adottare la teoria della cospirazione e a impegnarsi in una contro-cospirazione contro inesistenti cospiratori. Infatti la sola spiegazione del fallimento del loro tentativo di realizzare il cielo in terra è l’intenzione malvagia del Demonio che ha tutto l’interesse di mantenere vivo l’inferno.
Cospirazioni avvengono, bisogna ammetterlo. Ma il fatto notevole che, nonostante la loro presenza, smentisce la teoria della cospirazione, è che poche di queste cospirazioni alla fin fine hanno successo. I cospiratori raramente riescono ad attuare la loro cospirazione.
Perché si verifica questo? Perché le realizzazioni differiscono così profondamente dalle aspirazioni? Perché ciò è quanto normalmente avviene nella vita sociale, ci siano o non ci siano cospirazioni. La vita sociale non è solo una prova di forza fra gruppi in competizione, ma è anche azione entro una più o meno elastica o fragile struttura di istituzioni e tradizioni, azione che provoca – a parte qualsiasi contro-azione consapevole – molte reazioni impreviste, e alcune di esse forse anche imprevedibili, in seno a questa struttura.
Cercare di analizzare queste reazioni e di prevederle per quanto possibile è, a mio giudizio, il compito essenziale delle scienze sociali. È il compito di analizzare le inintenzionali ripercussioni sociali delle azioni umane intenzionali, quelle ripercussioni la cui importanza è trascurata sia dalla teoria della cospirazione che dallo psicologismo…»
In “Congetture e confutazioni”, Popper tornava sull’interpretazione della storia come concatenazione di eventi imperscrutabili per l’uomo in quanto legati ad un principio eteronomico. Egli proponeva in maniera ancora più esplicita il passaggio dalla mitologia alla teoria sociale della cospirazione3.
«Detta teoria, più primitiva di molte forme di teismo, è simile a quella rilevata in Omero. Questi concepiva il potere degli dei in modo che tutto quel che accadeva nella pianura davanti a Troia costituiva soltanto un riflesso delle molteplici cospirazioni tramate nell’Olimpo. La teoria sociale della cospirazione è in effetti una versione di questo teismo, della credenza, cioè, in una divinità i cui capricci o voleri reggono ogni cosa. Essa è una conseguenza del venire meno del riferimento a dio, e della conseguente domanda “chi c’è al suo posto?”. Quest’ultimo ora è occupato da diversi uomini e gruppi potenti – sinistri gruppi di pressione, cui si può imputare di aver organizzato la grande depressione e tutti i mali di cui soffriamo.
La teoria sociale della cospirazione è molto diffusa, e contiene molto poco di vero. Soltanto quando i teorizzatori della cospirazione giungono al potere, essa assume il carattere di una teoria descrivente eventi reali (un esempio di ciò che ho denominato “effetto di Edipo”). Per esempio, quando Hitler conquistò il potere, credendo nel mito della cospirazione dei Vecchi Saggi di Sion, egli cercò di non essere da meno con la propria contro-cospirazione».
Un altro studioso citato da Eco è Daniel Pipes, autore nel 1997 di un libro dal titolo emblematico, Conspiracy4. Intervistato da Brian Lamb5, Daniel Pipes ripercorre la strada del complottismo a partire dalle crociate (XI-XII secolo) quando nasce il mito della cospirazione ebraica e quello dei Templari. E’ in questo periodo che diventano abituali le persecuzioni politiche mascherate dal pregiudizio razziale o religioso ed il complottismo ne costituisce il substrato. Tuttavia è l’interpretazione della rivoluzione francese come espressione della grande cospirazione che segna l’irruzione definitiva del complottismo sulla scena politica. E’ in questo periodo che opera il massimo interprete del cospirazionismo, l’abate gesuita Augustin Barruel, che già nel 1797-1798 scriverà un testo ponderoso sulla rivoluzione francese che rappresenta la data di nascita di un nuovo corpus teorico, il complottismo, così strutturato da poter essere paragonato a quello del liberalismo, della democrazia, del socialismo. La teoria della cospirazione raggiungerà infine la massima espressività con la seconda guerra mondiale quando, con Hitler e con Stalin, diventerà vera pratica di governo. Ed è allora che la storia assume i caratteri della tragedia epocale.
Alle ragioni sociologiche si aggiungono motivi psicologici individuali. Uno studioso americano, Rob Brotherton6, si è soffermato, tra l’altro, sull’effetto di trascinamento del complottismo già studiato da Viren Swami: chi crede in un falso complotto è portato a credere anche ad altri. Quanto c’entri l’amigdala in tutto questo è argomento interessante e da approfondire.
Il catalizzatore odierno
Se è vero che il complottismo è antico quanto il mondo, è altresì vero che oggi tende ad assumere un carattere pervasivo. Due le ragioni: l’amplificazione legata alla potenza dei nuovi mezzi di comunicazione (in particolare la rete) sotto il duplice profilo dell’accessibilità e della diffusione; il declino progressivo della partecipazione politica nelle democrazie liberali.
Su questo secondo aspetto Michele Serra ha scritto parole veramente mirabili7. Riferendosi al complottismo scrive:
«È un atteggiamento più emotivo che razionale, fondato su una semplificazione brutale delle vicende umane: pochi centri di potere, malvagi quanto occulti, che dominano una massa succube e innocente. In quell’ottica quasi ogni evento della storia è spiegabile (come in un romanzone sui Templari) come l’atto truffaldino di pochi contro tanti. Tutto è trama e inganno. E la società, con la sua fitta e complicata rete di rapporti, praticamente scompare. Quella rete di rapporti – come, meglio di ogni altro, ha spiegato Marx – non è innocente o “neutrale”. È un campo di battaglia. È intrisa di violenza, di oppressione e di dominio. Sfruttatore e sfruttato, ricco e povero, padre padrone e famiglia sottomessa, il mondo pullula di ingiustizia e sopraffazione. Ma è una violenza – come dire – orizzontale e diffusa, che attraversa le nostre vite, il nostro lavoro, l’assetto sociale, il nostro mondo di produrre e di consumare. Forse metterla in discussione è troppo faticoso (anche personalmente), perché implica un coinvolgimento di ognuno di noi negli eventi della storia … Morti gli ideali collettivi, il complottismo offre un comodo surrogato, magari da consumare davanti a un video nella propria stanzetta: Il mondo è nelle mani di pochi burattinai cattivi, noi siamo solo la moltitudine dei burattini. È un’autoassoluzione; è la celebrazione definitiva della morte della politica; ed è anche la rinuncia a ragionare e confrontarsi … Non si fa mai abbastanza per avvicinarsi alla verità, e quel poco (ma non pochissimo) che sappiamo sulle stragi, su Moro, sulla mafia, lo dobbiamo a bravi giornalisti, bravi magistrati e bravi politici (ce ne sono stati e ce ne sono ancora). Ma il complottismo, mi creda, non è una risposta utile né lecita. È una parodia della verità. La verità è un traguardo durissimo, che quasi sempre ci sfugge davanti al naso dopo una rincorsa interminabile. Confezionare, ciascuno per sé, una verità tascabile, comoda, da sventolare in faccia al mondo facendo finta che noi abbiamo capito tutto e gli altri niente, non è una risposta al conformismo e alla morte della politica. Ne è, anzi, la perfetta conseguenza. Per questo non amo il complottismo: perché amo (amavo?) la politica».
L’antidoto
Daniel Pipes, nel testo già citato8, sostiene che il complottismo appare plausibile se si accetta la premessa. Come nell’astrologia l’assunzione che l’allineamento degli astri al momento della nascita condiziona la vita della persona rende sensato tutto il resto. Ma il problema appunto è il principio e, si potrebbe aggiungere, il metodo. Proprio perché la veridicità di una teoria viene confermata dalla ricerca di elementi che la asseriscono e non di quelli che la smentiscono. Queste considerazioni introducono l’argomento relativo al modo di fronteggiare il complottismo
Partendo da questa assunzione un fisico americano, David R. Grimes, ha proposto un’equazione che consente di calcolare la probabilità che un complotto venga scoperto sulla base del numero di persone che sono a conoscenza del segreto10. Così, ad esempio, si può calcolare che la finzione dello sbarco sulla luna avrebbe dovuto coinvolgere 411.000 persone e questo avrebbe portato alla scoperta del falso in tre anni e otto mesi. Tuttavia nei confronti dei complottisti l’approccio matematico non può funzionare. Essi risponderebbero che, infatti, la cospirazione è stata svelata, magari anche prima del tempo previsto, citando decine di testimoni fasulli disposti a confermarla. E d’altronde, come nel segreto di Simmel, più cose vengono scoperte più si sposta il campo della segretezza in una rincorsa infinita11.
Più proficuo dovrebbe essere l’approccio logico (popperiano): ci sono elementi che smentiscono la teoria? Ancora una volta il filosofo austriaco offre una soluzione generale. Una teoria nasce quando si stabilisce un nesso logico fra diversi elementi della realtà ma la sua veridicità non è confermata da ulteriori eventi con essa coerenti ma dall’assenza di altri che possano smentirla (principio di falsificabilità). Umberto Eco aggiunge una soluzione pragmatica specifica, quella della prova del silenzio12.
«Che esistano e siano esistiti nella storia dei complotti mi pare evidente, da quello per assassinare Giulio Cesare, alla congiura delle polveri, alla macchina infernale di Georges Cadoudal, sino ai complotti finanziari odierni per dare la scalata a qualche società per azioni. Ma la caratteristica dei complotti reali è che essi vengono immediatamente scoperti, sia che abbiano successo, vedi Giulio Cesare, sia che falliscano, vedi il complotto di Orsini per uccidere Napoleone III o il cosiddetto complotto dei forestali di Junio Valerio Borghese o i complotti di Licio Gelli. Quindi i complotti reali non sono misteriosi e in questa sede non ci interessano.
Ci interessa invece il fenomeno della sindrome del complotto e del favoleggiamento di complotti talora cosmici, di cui è popolato Internet, e che rimangono misteriosi e insondabili perché hanno la stessa caratteristica del segreto secondo Simmel, il quale segreto è in tanto più potente e seducente in quanto sia vuoto. Un segreto vuoto si erge minaccioso e non può essere né svelato né contestato, e proprio per questo diventa strumento di potere…
Non entro nei particolari degli argomenti usati …, che possono parere tutti persuasivi, ma mi appello soltanto a quella che io definirei la “prova del silenzio”. Un esempio di “prova del silenzio” va usato per esempio contro coloro che insinuano che lo sbarco americano sulla Luna sia stato un falso televisivo. Se la navicella americana non fosse arrivata sulla Luna c’era qualcuno che era in grado di controllarlo e aveva interesse a dirlo, ed erano i sovietici; se pertanto i sovietici sono rimasti zitti, ecco la prova che sulla Luna gli americani ci sono andati davvero. Punto e basta».
CDL, Tivoli, 1 Marzo 2016
1. Umberto Eco. Come vincere l’ossessione dei complotti fasulli. La Repubblica, 27 Giugno 2015.
2. Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. II, Hegel e Marx falsi profeti, a cura di D. Antiseri, Armando, Roma, 1996, pag. 113-114.
3. Karl R. Popper. Congetture e confutazioni. Bologna, Il Mulino, 1972, p 212-213.
4. Daniel Pipes. Conspiracy. How the paranoid style flourishes and where it comes from. New York, Free Press, 1997. Traduzione italiana: Il lato oscuro della storia. L’ossessione del grande complotto. Torino, Lindau, 2005.
5. Brian Lamb. Interview with Daniel Pipes. Conspiracy. 12 Dicembre 1997.
6. Rob Brotherton. Suspicious minds: why we believe conspiracy theories. Bloomsbury Sigma, 2015. Si veda in proposito il servizio di Giuliano Aluffi, La sindrome dell’eterno complotto universale, Il Venerdì di Repubblica, 8 Gennaio 2016, n° 1451, pp 60-63.
7. Michele Serra. Il complottismo? Parodia della verità figlia della morte della politica. Il Venerdì di Repubblica, 16 Gennaio 2016, pp 12-13..
8. Daniel Pipes, cit.
9. Umberto Eco, cit.
10. David R. Grimes. On the viability of conspiratorial beliefs. PLoS ONE 11(1): e0147905. doi:10.1371/journal.pone.0147905, 26 Gennaio 2016. Si veda anche il commento su Le Scienze: I grandi complotti? Impossibile non scoprirli. 27 Gennaio 2016.
11. Sulla continua mutevolezza del segreto in Simmel si veda: Paolo Fabbri, Il segreto, 1990.
12. Umberto Eco, cit.