Chi era Orfeo? Da dove veniva? In che modo la sua spiritualità si innestò nella religiosità greca arcaica? Una ricostruzione dello sviluppo dell’orfismo dalle sue oscure origini ai suoi ultimi rappresentanti in Magna Graecia.
Intorno al VII secolo a.C. l’apertura di stabili rotte commerciali nel Mar Nero segna l’inizio della colonizzazione greca delle sue sponde. I greci entrano così in contatto con le popolazioni autoctone assorbendone alcuni riti e credenze.
Si ritiene che quello fu il contatto che consentì l’ingresso il Grecia del mito di Orfeo e dell’insieme di credenze che riconduciamo al fenomeno dell’orfismo.
Prima di quell’epoca ci sono indicazioni archeologiche e letterarie che suggeriscono una interessante evoluzione del pensiero religioso greco e in particolare della concezione della morte e dell’aldilà.
Ad un periodo più arcaico in cui non era stata ancora elaborata l’idea della separazione dello spirito o spettro dal corpo (testimoniato dal rinvenimento di tubi per l’alimentazione forzata dei cadaveri, avvenuto in molte sepolture, anche a cremazione) seguì una fase successiva in cui prevalse l’idea della separazione dell’anima dal corpo con il conseguente sviluppo di un’idea dell’aldilà e della sorte delle anime in un mondo extracorporeo.
Già nella civiltà omerica l’idea della separazione dell’anima dal corpo appare pienamente affermata. (Cfr. Iliade XXIII, 103: ψυχὴ δὲ κατὰ χθονὸς ἠΰτε καπνὸς ᾤχετο τετριγυῖα “l’anima come fumo sotto la terra sparì stridendo”; Odissea XI, 218-222: ἀλλ᾽ αὕτη δίκη ἐστὶ βροτῶν, ὅτε τίς κε θάνῃσιν: οὐ γὰρ ἔτι σάρκας τε καὶ ὀστέα ἶνες ἔχουσιν, ἀλλὰ τὰ μέν τε πυρὸς κρατερὸν μένος αἰθομένοιο δαμνᾷ, ἐπεί κε πρῶτα λίπῃ λεύκ᾽ ὀστέα θυμός, ψυχὴ δ᾽ ἠύτ᾽ ὄνειρος ἀποπταμένη πεπότηται “questa è la sorte degli uomini quando uno muore: i nervi non reggono più l’ossa e la carne, ma la forza gagliarda del fuoco fiammante li annienta, dopo che l’ossa bianche ha lasciato la vita; e l’anima, come un sogno fuggendone, vaga volando”).
A questa idea della dipartita dell’anima si accompagna un’altra convinzione: che l’Ade sia una copia sbiadita del mondo dei vivi, in cui nulla accade, un luogo in cui scompaiono gioie e dolori. Achille dice ad Odisseo, disceso nell’Ade: βουλοίμην κ᾽ ἐπάρουρος ἐὼν θητευέμεν ἄλλῳ, ἀνδρὶ παρ᾽ ἀκλήρῳ, ᾧ μὴ βίοτος πολὺς εἴη,ἢ πᾶσιν νεκύεσσι καταφθιμένοισιν ἀνάσσειν “Vorrei da bracciante servire un altro uomo, un uomo senza podere che non ha molta roba; piuttosto che dominare su tutti i defunti”(Odissea XI, 489-491). L’assenza di emozioni e l’estremo riposo sedurrà poi l’immaginario popolare: il cupio dissolvi diventerà un frequentato topos letterario (cfr. Sofocle Edipo a Colono 1224-1227: μὴ φῦναι τὸν ἅπαντα νικᾷ λόγον: τὸ δ᾽, ἐπεὶ φανῇ, βῆναι κεῖθεν ὅθεν περ ἥκει, πολὺ δεύτερον, ὡς τάχιστα “Non essere nati è condizione che tutte supera; ma poi, una volta apparsi, tornare al più presto colà donde si venne, è certo il secondo bene”; cfr. Plut. Cons. ad Ap. 120 d sulla terribile “verità”del saggio Sileno che così rispose al re Mida che voleva conoscere cosa fosse il meglio per l’uomo: “Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto” ).
L’idea dell’anima che si separa dal corpo e che, dopo la morte, continua ad esistere, è antica e presente già in Omero. Ma cos’è l’anima di Omero? Qualcosa di molto diverso da come la intendiamo oggi. Nei poemi omerici esistono due termini traducibili con “anima”: il θυμός e la ψυχή. I loro significati sono sostanzialmente equiparabili e potrebbero entrambi tradursi con “forza/soffio vitale”. La differenza tra i due riguarda il loro rapporto col corpo ed è ben rappresentata in questo passo dell’Odissea (XI 220 e ss.): ἀλλὰ τὰ μέν τε πυρὸς κρατερὸν μένος αἰθομένοιο δαμνᾷ, ἐπεί κε πρῶτα λίπῃ λεύκ’ ὀστέα θυμός, ψυχὴ δ’ ἠΰτ’ ὄνειρος ἀποπταμένη πεπότηται “ma la furia impetuosa del fuoco ardente li disfa non appena θυμός abbandoni le bianche ossa e la ψυχὴ come un’immagine di sogno vola via.” Θυμός è quindi il calore del corpo vivo che svanisce con la morte; ψυχὴ è il respiro che esala e non svanisce ma vola via nel mondo delle ombre.
L’anima dunque, se non consustanziale al corpo, è un concetto che nell’età arcaica rimane concreto: ψυχὴ è una forza vitale che risiede nel corpo (σῶμα) e si manifesta nel respiro, è un’energia che esala nel punto di morte. Essa corrisponde spiritualmente al σῶμα e su questo è incisa: si riteneva che avesse sede nel sangue (cfr. Sofocle, Elettra, 785: τοὐμὸν ἐκπίνουσ᾽ ἀεὶ ψυχῆς ἄκρατον αἷμα “e mi succhiava senza tregua il sangue puro dall’anima”).
In che modo dunque i nuovi schemi di credenze influenzano la spiritualità tradizionale? Non nell’idea della sopravvivenza dello spettro, per non dire anima, al corpo; neanche nella concezione di una sede ultraterrena, di una seconda vita. Il nuovo ingresso nella cultura greca è piuttosto quello dell’origine divina dell’anima, della sua natura qualitativamente diversa dalla materia corporea e antagonista rispetto al corpo, come lo è la natura divina rispetto a quella umana.
Si legge in un frammento di Pindaro, conservatoci da Plutarco (Consolatio ad Apollonium, 120 d): καὶ σῶμα μὲν πάντων ἕπεται θανάτῳ περισθενεῖ, ζωὸν δ᾽ ἔτι λείπεται αἰῶνος εἴδωλον: τὸ γάρ ἐστι μόνον ἐκ θεῶν. εὕδει δὲ πρασσόντων μελέων, ἀτὰρ εὑδόντεσσιν ἐν πολλοῖς ὀνείροις δείκνυσι τερπνῶν ἐφέρποισαν χαλεπῶν τε κρίσιν “Il corpo di ciascun uomo segue la chiamata della morte possente. Ma viva ancora rimane un’immagine di vita, perché questa sola viene dagli dèi. Dorme mentre le membra agiscono, ma quando l’uomo dorme, spesso mostra nei sogni una decisione di gioia o di avversità futura”.
L’anima divina si manifesta con intensità inversamente proporzionale rispetto al corpo: quando questo è desto, tace, mentre predice e intuisce durante il sonno.
È a questa nuova idea di un io occulto che emerge dal profondo solo quando le chiavi della gabbia del corpo sono incustodite che deve essere ricondotto l’innesto di una cultura diversa, sciamanistica, che diffuse i suoi rituali in una area immensa, dalla Scandinavia all’India. In questa cultura lo sciamano, da identificarsi con un personaggio dotato di una particolare sensibilità religiosa, non sarebbe riconducibile al medium della tradizione greca (ἔνθεος, tramite divino, bocca di Dio); viceversa sarebbe in grado di liberare l’anima dalla prigione del corpo, per farla volare via in regioni lontane e nel mondo degli spiriti. Può essere quindi dotato di ubiquità, come Aristea di Proconneso può morire e riapparire all’improvviso o dopo centinaia di anni (cfr. Erodoto, IV 14-15) e, avendo accesso a un sapere superiore precluso agli uomini, ha doti di taumaturgo e capacità divinatorie.
L’origine scitica di questa cultura sciamanica travasata in Grecia sembra essere confermata da una serie di circostanze: scitico è Abari, il primo sciamano di cui si abbia notizia; Aristea, il pioniere dello sciamanesimo in Grecia, di cui ci parla Erodoto (Storie IV, 13 e ss.), visitò a lungo la Scizia; numerose poi sono le affinità riscontrate tra specifici rituali dello sciamanesimo antico e quelli attestati ancora oggi in alcune zone della Siberia (l’importanza della freccia nelle pratiche divinatorie, il significato simbolico del ritiro religioso, forse connesso al letargo dell’orso, il mito della catabasi o viaggio nell’oltretomba per recuperare le anime rubate ecc.).
Il nuovo schema di credenze stravolge dunque la figura dell’uomo religioso, del θεῖος ἀνήρ. A partire dal VI secolo compaiono nel mondo greco nuove figure di mistici, sconosciute alla tradizione, che assumono in sé i mirabolanti poteri dello sciamanesimo.
Figura paradigmatica della nuova sapienza religiosa è quella di Pitagora, che predicava certamente la teoria del ciclo delle rinascite e l’ascesi spirituale. Empedocle spiegava il suo straordinario sapere con un’accumulazione avvenuta in dieci o venti vite e, come attesta con ironia Senofane, credeva che un cane potesse ospitare l’anima umana.
Altra figura nota è quella di Empedocle, particolarmente rilevante perché i suoi frammenti costituiscono l’unica fonte diretta per capire cos’era e come predicava uno sciamano greco. Ha sempre colpito gli studiosi il fatto che un pensatore rigoroso e un campione di logica come lui, autore di un trattato di sapore ionico come il Sulla Natura (Περί Φύσεως), abbia potuto scrivere Le Purificazioni (Καθαρμοί) in cui appare nelle vesti dello sciamano dotato di poteri paranormali e sovrumani (è in grado di arrestare il vento, di frenare la pioggia e di risuscitare i morti).
Empedocle è forse l’ultimo esponente dello sciamanesimo in Grecia, ed è un personaggio che, come il veggente guaritore delle società primitive, in quanto in grado di attingere ad una sapienza superiore, assomma in sé ogni capacità umana: è mago e naturalista, poeta e filosofo, predicatore e guaritore, tutte funzioni che già nella società omerica trovavano professionalità distinte e distinti ruoli sociali. Questa involuzione di complessità del modello sociale è quindi un ulteriore elemento che suggerisce un innesto culturale da tradizioni esterne.
Appare dunque molto plausibile che Orfeo, il personaggio mitologico eponimo del movimento, sia di origine tracia o comunque centrasiatica, come il Salmoxis di cui parla, non senza una buona dose di irriverente scetticismo ionico, Erodoto (cfr. Storie IV, 95 e ss.: Ὡς δὲ ἐγὼ πυνθάνομαι τῶν τὸν Ἑλλήσποντον καὶ Πόντον οἰκεόντων Ἑλλήνων, τὸν Σάλμοξιν τοῦτον ἐόντα ἄνθρωπον δουλεῦσαι ἐν Σάμῳ, δουλεῦσαι δὲ Πυθαγόρῃ τῷ Μνησάρχου· ἐνθεῦτεν δὲ αὐτὸν γενόμενον ἐλεύθερον χρήματα κτήσασθαι συχνά, κτησάμενον δὲ ἀπελθεῖν ἐς τὴν ἑωυτοῦ. Ἅτε δὲ κακοβίων τε ἐόντων τῶν Θρηίκων καὶ ὑπαφρονεστέρων, τὸν Σάλμοξιν τοῦτον ἐπιστάμενον δίαιτάν τε Ἰάδα καὶ ἤθεα βαθύτερα ἢ κατὰ Θρήικας, οἷα Ἕλλησί τε ὁμιλήσαντα καὶ Ἑλλήνων οὐ τῷ ἀσθενεστάτῳ σοφιστῇ Πυθαγόρῃ, κατασκευάσασθαι ἀνδρεῶνα, ἐς τὸν πανδοκεύοντα τῶν ἀστῶν τοὺς πρώτους καὶ εὐωχέοντα ἀναδιδάσκειν ὡς οὔτε αὐτὸς οὔτε οἱ συμπόται αὐτοῦ οὔτε οἱ ἐκ τούτων αἰεὶ γινόμενοι ἀποθανέονται, ἀλλ’ ἥξουσι ἐς χῶρον τοῦτον ἵνα αἰεὶ περιεόντες ἕξουσι τὰ πάντα ἀγαθά. Ἐν ᾧ δὲ ἐποίεε τὰ καταλεχθέντα καὶ ἔλεγε ταῦτα, ἐν τούτῳ κατάγαιον οἴκημα ἐποιέετο. Ὡς δέ οἱ παντελέως εἶχε τὸ οἴκημα, ἐκ μὲν τῶν Θρηίκων ἠφανίσθη, καταβὰς δὲ κάτω ἐς τὸ κατάγαιον οἴκημα διαιτᾶτο ἐπ’ ἔτεα τρία. Οἱ δέ μιν ἐπόθεόν τε καὶ ἐπένθεον ὡς τεθνεῶτα. Τετάρτῳ δὲ ἔτεϊ ἐφάνη τοῖσι Θρήιξι, καὶ οὕτω πιθανά σφι ἐγένετο τὰ ἔλεγε ὁ Σάλμοξις. “A quanto ho sentito dire dai Greci che abitano l’Ellesponto e il Ponto Eusino, questo Salmoxis era un uomo e viveva a Samo come schiavo, e precisamente era schiavo di Pitagora figlio di Mnesarco: in seguito, divenuto libero, si procurò grandi ricchezze e, una volta arricchitosi, se ne tornò nel suo paese. Poiché i Traci conducevano una vita miserabile ed erano piuttosto stupidi, Salmoxis, che conosceva il modo di vivere degli Ioni e costumi più raffinati di quelli dei Traci (infatti aveva frequentato dei Greci e fra i Greci Pitagora, che non era certo il più insignificante fra i sapienti), si fece costruire un salone nel quale ospitava i cittadini più ragguardevoli e nel corso dei banchetti insegnava loro che né lui né i suoi invitati né i loro discendenti sarebbero morti, ma sarebbero andati in un luogo dove sarebbero vissuti per sempre, godendo di ogni bene. E mentre agiva e parlava come ho detto, si costruiva intanto una dimora sotterranea. Appena fu terminata, Salmoxis scomparve alla vista dei Traci e, sceso nella sua abitazione sotterranea, vi rimase per tre anni. I Traci ne sentivano la mancanza e lo piangevano per morto. Ma dopo tre anni ricomparve tra loro e così le sue affermazioni divennero credibili”).
Lo indicano anche alcuni aspetti del suo mito: come uno sciamano asiatico attira gli animali con la musica; come uno sciamano asiatico accentra in sé le doti di poeta, di preveggente e di mago; è adoratore di un dio identificato con Apollo, l’Apollo Iperboreo (forse antenato dell’Avalon medievale); visita l’oltretomba, come gli sciamani, per recuperare le anime rubate; il suo io magico, con volatilità sciamanica, sopravvive alla decapitazione e la sua testa recisa continua a cantare e a dare oracoli per anni.
Questione senz’altro più complessa è stabilire i caratteri peculiari del cosiddetto orfismo, della corrente di pensiero e religiosa che prese le mosse da questo mitico fondatore.
Sappiamo che nel V e nel IV secolo circolavano molti scritti anonimi attribuiti ad Orfeo e da Platone definiti “accozzaglia di libri”. In essi venivano predicati tre principi: il corpo come tomba (soma-sema), il vegetarianesimo e la catarsi liturgica. Nessun esplicito riferimento alla metempsicosi, cui forse, però, può ricondursi il veto di cibo animale.
Sulla base di questi pochi dati risulta molto difficile riuscire a tracciare una chiara linea distintiva tra orfismo e pitagorismo. Le differenze tra le due scuole religiose sembrano più di culto che dottrinali: i pitagorici celebravano Apollo, gli orfici Dioniso, il pitagorismo era elitario, l’orfismo popolare; l’orfismo non ebbe mai esplicazioni razionalistiche e matematiche ma si espresse sempre in termini mitologici.
Si può affermare che l’orfismo e il pitagorismo hanno avuto radici comuni e sono legati da una medesima concezione antropologica: sono psicologie puritane. Si diffusero in Grecia perché seppero dare risposte più adeguate, rispetto alle credenze tradizionali, al bisogno individuale di giustizia dell’uomo greco, che diventava maggiormente consapevole dei suoi diritti di “persona”, violati in modo doloroso dal principio dell’ereditarietà della colpa.
La dottrina della reincarnazione dava poi una risposta al problema della teodicea e della sofferenza degli innocenti: nessuno è innocente perché ognuno in realtà sta scontando le colpe delle vite precedenti.
Può ipotizzarsi che la teoria generale della trasmigrazione sia stata un’innovazione greca centrata sull’idea magica del passaggio dell’anima da uno sciamano all’altro per accrescerne la capacità divinatoria: quando l’idea fu ampliata come teoria unitaria della sorte di tutte le anime, portò con sé la dottrina dell’espiazione come tecnica per il raggiungimento dello scopo ultimo, ossia la liberazione dell’anima dalla prigione del corpo e il ritorno ad un’essenza divina (“Vengo dalla compagnia dei puri, o pura regina degli inferi”, è l’invocazione di un’anima a Persefone, nelle Lamine d’oro, O.F. 32 c; cfr. anche le Lamine di Pelinna F488.9 “O felice e beatissimo, dio sarai anziché mortale” e F487.4 “Da mortale sei divenuto dio”; cfr. Empedocle D.K. 31 b 115 ἔστιν Ἀνάγκης χρῆμα, θεῶν ψήφισμα παλαιόν, ἀίδιον, πλατέεσσι κατεσφρηγισμένον ὅρκοις˙εὖτέ τις ἀμπλακίηισι φόνωι φίλα γυῖα μιήνηι,〈νείκεΐ θ’〉 ὅς κ(ε)ἐπίορκον ἁμαρτήσας ἐπομόσσηι,δαίμονες οἵτε μακραίωνος λελάχασι βίοιο, τρίς μιν μυρίας ὧρας ἀπὸ μακάρων ἀλάλησθαι,φυομένους παντοῖα διὰ χρόνου εἴδεα θνητῶν ἀργαλέας βιότοιο μεταλλάσσοντα κελεύθους. αἰθέριον μὲν γάρ σφε μένος πόντονδε διώκει, πόντος δ’ ἐς χθονὸς οὖδας ἀπέπτυσε, γαῖα δ’ ἐς αὐγὰς ἠελίου φαέθοντος, ὁ δ’ αἰθέρος ἔμβαλε δίναις ἄλλος δ’ ἐξ ἄλλου δέχεται, στυγέουσι δὲ πάντες. τῶν καὶ ἐγὼ νῦν εἰμι, φυγὰς θεόθεν καὶ ἀλήτης, νείκεϊ μαινομένωι πίσυνος “È vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un delitto o se qualcuno [per la Contesa] abbia peccato giurando un falso giuramento, i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L’impeto dell’etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici dell’etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch’io sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente Contesa”).
L’espiazione e la catarsi furono attuate con la tecnica dell’ascesi (ἄσκησις) attraverso un rifiuto del corpo e della vita dei sensi, che costituì una vera novità nel panorama culturale greco.
Che il vegetarianesimo dell’orfismo possa spiegarsi come un effetto della dottrina della trasmigrazione delle anime, sembra smentito dalla constatazione della credenza che l’anima umana potesse trasferirsi anche nelle piante: Empedocle credeva di esser già stato un cespuglio (cfr. fr. B 117).
L’abolizione della carne può aver significato la volontà di manifestare ritualmente e in modo plastico il rifiuto dei sacrifici cruenti, della religiosità tradizionale che aveva costruito l’antagonismo tra dèi e uomini sull’inganno di Prometeo a Zeus nel primo sacrificio rituale della mitologia: sacrificò un bue ma, volendo ingannare gli dèi e proteggere gli uomini, ricoprì le ossa con il grasso e avvolse la carne e le interiora nello stomaco dell’animale; Zeus, attratto dal grasso, scelse le ossa. Ed è in ricordo di questo primo sacrificio mitologico che da allora gli uomini bruciano solo le ossa agli dèi (cfr. Esiodo, Teogonia, 556).
Dietro il veto della carne c’è forse, però, un’altra ragione, più profonda: un orrore atavico per il sangue, per la contaminazione, un rifiuto ancestrale dell’assassinio (cfr. Aristofane, Le Rane, 1032: Ὀρφεὺς μὲν γὰρ τελετάς θ᾽ ἡμῖν κατέδειξε φόνων τ᾽ ἀπέχεσθαι “Orfeo insegnò i Misteri e ammonì a non macchiarsi di assassinio”).
Ma quale assassinio? Perché il δαίμων, l’io occulto, pecca e soffre in corpi mortali? La spiegazione che dà l’orfismo è, ancora, mitica: i Titani, catturato Dioniso appena infante, lo fecero a pezzi e lo mangiarono. Zeus punì l’atroce delitto incenerendoli. Dai loro resti bruciati nacque il genere umano, che pertanto ereditò la ferinità degli assassini ma conservò una piccola scintilla di divinità, quella di Dioniso, fatto a pezzi e ingoiato.
Questo mito, attribuito ad Onomacrito, darebbe senso ad un passo problematico delle Leggi di Platone, in un cui il male è visto come un assillo per l’uomo, che proviene da antiche e inespiate colpe. (cfr. Leggi, IX 854 B: ὦ θαυμάσιε, οὐκ ἀνθρώπινόν σε κακὸν οὐδὲ θεῖον κινεῖ τὸ νῦν ἐπὶ τὴν ἱεροσυλίαν προτρέπον ἰέναι, οἶστρος δέ σέ τις ἐμφυόμενος ἐκ παλαιῶν καὶ ἀκαθάρτων τοῖς ἀνθρώποις ἀδικημάτων “Straordinario uomo, non è un male umano, né divino ciò che ora ti muove e ti spinge a compiere un furto sacrilego, ma un assillo che si è generato in te a causa di antiche e inespiate colpe degli uomini”).
Antiche e inespiate colpe: l’uccisione di Dioniso, come il frutto proibito, è il peccato originale dell’οrfismo.
Federico Innocenti, 23 marzo 2019. Pubblicato sulla pagina Il Sestante il 9 Novembre 2017.