Le definizioni che qualche tempo fa Umberto Eco aveva dato di falsità, menzogna e falsificazione vanno ora aggiornate alla luce di tematiche, in particolare la post-verità e lo storytelling, che ne costituiscono delle varianti ormai cosi diffuse da aver quasi sostituito i concetti madre.
Sosteneva Eco: “c’è differenza tra dire il falso, mentire, falsificare”1. Si può affermare il falso in cattiva o in buona fede e si può mentire con la duplice opzione di asserire il falso o la verità. Così quando Tolomeo ribadiva che il sole girasse intorno alla terra faceva un’affermazione falsa ma non mentiva. Se invece avesse voluto infiltrarsi tra i seguaci di Aristarco di Samo avrebbe potuto intenzionalmente sostenere la veridicità della loro teoria eliocentrica. Dichiarando il contrario di ciò in cui credeva avrebbe mentito ma, nel contempo, avrebbe affermato la verità. Infine la falsificazione. Per Eco era un’operazione di manomissione attiva della realtà, sempre intenzionale e sempre compiuta in malafede. Dunque, sulla base di queste descrizioni, la falsità ha a che vedere con la verità (aletheia), la menzogna con l’etica e la morale, la falsificazione con ambedue.
E la post-verità? Per Alessandro Baricco è l’invenzione di un fatto che non esiste ma che serve ad illustrare quella che si ritiene una verità2. Chi ha diffuso la notizia della nascita di Obama in Kenia intendeva fornire una versione semplificata di una idea soggettiva ma avvertita come una verità oggettiva: l’assoluta estraneità di Obama al sistema di valori americani. Continuando a seguire lo schema di Eco si potrebbe aggiungere che la post-verità (o fake) è una falsificazione a mezzo della quale si ritiene comunque di affermare una verità. Rimane, della definizione iniziale, la intenzionalità e la malafede. Rispetto al passato l’aspetto innovativo è che la rete diventa uno strumento potente che da un lato amplifica a dismisura la capacità di penetrazione di una post-verità e dall’altra ne facilita la costruzione. Da questo punto di vista, affiancando e in una certa misura sostituendo la comunicazione televisiva, ormai riservata alle fasce di età più avanzate.
Naturalmente quando si cita Baricco ed il nostro rapporto con la verità non si può non fare riferimento allo storytelling. Che cos’è? Molto semplicemente è la narrazione di un fatto. Ma non si può pensare che esiste una verità e la sua narrazione. Si deve invece comprendere che la realtà ovvero la verità è costituita da due aspetti: i fatti e la loro narrazione. E non a caso Baricco fa l’esempio di Alessandro Magno che, quando nel 334 a.C., decise di conquistare l’impero persiano avvertì la necessità di fondare questo suo sogno su una narrazione3. E scelse quella già utilizzata dal padre, Filippo il Macedone, che riteneva di dover riscattare la Grecia dall’onta della distruzione dei templi perpetrata da Serse nel corso della seconda guerra greco-persiana (ben un secolo e mezzo prima). Alessandro aggiunse le sue narrazioni utilizzando l’epica dell’Iliade e la mitologia di Achille. E costruì così la ragione che fondava ed anzi giustificava storicamente l’invasione dell’impero persiano. Sostiene Baricco che tutto questo non fu solo propaganda ma una costruzione necessaria a sostenere un sogno che doveva diventare realtà, quello della conquista del più grande impero allora esistente. E quella di Alessandro non era malafede ma una narrazione necessaria e perciò convinta della realtà. E tornano i due aspetti della verità: pensiero e fatti, sogno e realtà, così diversi e cosi intimamente connessi.
Lo storyteling è un’operazione attiva nella quale consapevolmente si interpreta la realtà secondo alcune categorie di pensiero. Ma esiste anche il processo contrario: la realtà che genera sensazioni, impressioni, pensieri, sogni. E questo è l’oggetto di indagine della storia orale. Secondo i suoi teorici, la narrazione esprime il modo con le quali le persone hanno vissuto l’evento e quindi, di per sé, rappresenta un avvenimento. Ma mentre lo storytelling è un’operazione attiva a mezzo della quale si aggiunge una narrazione ai fatti, la storia orale esprime un vissuto che non è necessariamente passivo ma può esserlo. Volendo mantenere un parallelismo con lo storytelling, si può affermare che la storia è costituita dai fatti e da come questi sono stati vissuti e vengono raccontati. La riscoperta della memoria e del suo valore come fonte storiografica sono stati imposti all’attenzione generale da diversi autori, tra i quali ha un posto di rilievo uno storico italiano coevo, Alessandro Portelli. Questi, conducendo nella sua Terni una serie di interviste, si trovò di fronte ad un evento non previsto4. Si era negli anni ’70 e la morte di un operaio, Luigi Trastulli, avvenuta nel 1949 nel corso degli scontri con la polizia in occasione di una protesta per l’adesione dell’Italia alla NATO, veniva collocata da tutti gli intervistati nell’anno 1953. In quell’anno invece si era svolta una manifestazione contro i licenziamenti di massa delle acciaierie locali. Lungi dal considerare questi ricordi come erronei, Portelli iniziò a riflettere sulle ragioni giungendo alla conclusione che nella memoria collettiva l’opposizione alla NATO aveva perso rilevanza mentre continuavano ad averla i licenziamenti patiti in quella occasione che avevano cambiato per sempre la vita delle persone e della comunità locale. La memoria, il ricordo, la narrazione, lo storytelling come prodotto storico a sé stante.
Qualche anno fa, mi capitò per caso di parlare di brigantaggio con alcuni anziani di un paese situato sulla montagna molisana. Raccontavano episodi di brigantaggio che collocavano nella loro infanzia ma che non potevano aver vissuto ed i cui protagonisti non potevano aver conosciuto. Ma quelle vicende, ascoltate evidentemente nel corso dell’infanzia, avevano così profondamente segnato la loro memoria che sembrava loro di averle vissute. E’ attraverso queste memorie che il brigantaggio, una volta endemico in quelle zone ma ormai scomparso da oltre un secolo, continuava ad essere operante come un elemento identitario della comunità così intenso da contribuire a definirne una sorta di genius loci. Un fenomeno quindi di indubbio significato storico.
Ma, naturalmente, ammettere che la memoria abbia un valore storico di tutta rilevanza non significa accettarne i contenuti come aderenti ai fatti. Lo stesso Portelli, nell’indagine condotta sulla memoria delle Fosse ardeatine5, precisa che dopo l’attacco di Via Rasella del 1944 il comando tedesco non rivolse alcun ultimatum ai partigiani. Eppure è opinione molto diffusa ancora oggi che i tedeschi prima di procedere al massacro pubblicarono un manifesto nel quale promettevano di risparmiare le vite dei civili nel caso i partigiani si fossero consegnati. Invece non ci fu ultimatum e l’unico comunicato del comando tedesco, emesso il giorno successivo all’attacco, recitava che l’ordine di rappresaglia era “già stato eseguito”.
Il rapporto con la verità, sebbene difficilmente risolvibile, rimane irrinunciabile. Ed in proposito, ancora una volta si è costretti a ricorrere a Popper e al metodo di critica delle fonti e falsificabilità delle ipotesi. Ma questo è un altro discorso.
CDL, 7 Marzo 2018
- Umberto Eco. La bugia da Tolomeo a Pinocchio. Testo letto il 4 Luglio 2011 al Festival La Milanesiana. Pubblicato su La Repubblica il 18 Febbraio 2017.
- Alessandro Baricco. La verità sulla post-verità. Perché questa definizione è infondata. Robinson di Repubblica, 30 Aprile 2017, pp 13-14.
- Si veda in proposito la lezione magistrale di Alessandro Baricco in: Alessandro Magno. Sulla Narrazione. Mantova Lectures, 8 Settembre 2016.
- La vicenda è raccontata da Alexander Stille in: La storia e la memoria, il ruolo della tradizione orale. La Repubblica, 14 Marzo 2001, p. 39.
- Alessandro Portelli. L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse ardeatine, la memoria. Roma, Donzelli, 2005.