Amedeo Ciotti. Sulle tracce di Garibaldi – Studi sul risorgimento in Val d’Aniene. Associazione Culturale “Albatros”, Castel Madama, 2008. Si riporta la relazione del Prof. Alcibiade Boratto letta in occasione della presentazione del libro e pubblicata in “Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte”, Vol LXXX1, n° 2, pp. 161-182, 2008.
Nel 2005 Amedeo Ciotti ha pubblicato una ricerca sui garibaldini in Val d’Aniene, riscuotendo l’attenzione e la considerazione degli studiosi della storia del nostro Risorgimento.
Ha preso le mosse Ciotti in questo suo studio da uno scontro presunto fra garibaldini e pontifici alle porte di Vicovaro, citato dalla “Guida d’Italia” del Touring Club, senza riportare la data in cui sarebbe avvenuto, per dimostrare, attraverso una attenta ricerca, che di quel fatto d’armi non vi è riscontro certo sia che ci si riferisca al passaggio garibaldino nella Val d’Aniene del 1849 sia a quello del 1867.
La ricerca, però, ha portato Ciotti ad incontrare uomini, situazioni politiche, eventi storici di cui faceva cenno, ma che richiedevano un approfondimento per una loro più esauriente e serena valutazione.
Era, insomma, quella snella pubblicazione una premessa per un più vasto e complesso studio, che doveva ricostruire lo stato di maturità civile e di preparazione politica delle popolazioni della Val d’Aniene e di Roma, così da capire in quale misura lo slancio generoso di Garibaldi, e dei tanti giovani che lo seguivano, trovava in esse adeguato supporto. E era, anche, nei limiti dei documenti disponibili, il presupposto per seguire le ragioni, grazie alle quali in alcuni centri della nostra valle si era determinata una certa apertura per le idee liberali e repubblicane ed il livello di resistenza e opposizione nei ceti che dell’antico regime, ormai cadente, avevano goduto benefici e privilegi.
Il volume Sulle tracce di Garibaldi – Studi sul Risorgimento in Val d’Aniene va esattamente in questa direzione e costituisce un esauriente ed articolato sviluppo del discorso da Ciotti iniziato con la pubblicazione del 2005, con la quale ci dette già un saggio delle sue capacità di ricercatore guidato da una chiara linea di pensiero. Si veda, ad esempio, il capitolo secondo, in cui viene trattata la campagna dell’Agro romano del 1867. Qui vengono rievocati con ricchezza di particolari, di fatti e di circostanze i preparativi della spedizione di Garibaldi, l’affluire dei giovani garibaldini verso i confini dello Stato pontificio, la fiducia dei combattenti e la fermezza dei propositi di Garibaldi, e si fa un racconto minuzioso dello scontro di Mentana. Ma se il capitolo si esaurisse in queste rievocazioni, saremmo in presenza di uno dei tanti scritti generati dall’ammirazione per il coraggio e le idealità di Garibaldi e dei suoi seguaci e non saremmo in grado di capire il retroterra ideologico e politico sul quale poggiava l’azione dei combattenti e quanto e perché questo retroterra era malsicuro e disomogeneo. Ciotti invece ci fa entrare nel mondo confuso e pieno di contrasti tra i “Fusi” e i “Puri”, due raggruppamenti politici con posizioni che si richiamavano al liberalismo moderato i primi e al radicalismo mazziniano i secondi, quasi sempre in disaccordo su tutto, salvo ad avere tutti la stessa illusione, che era poi quella stessa di Garibaldi, che i romani, alle prime notizie di avere il generale alle porte e ai primi colpi di fucile, si sarebbero sollevati in massa.
La realtà era, al contrario, ben diversa e ognuno per la sua parte, i partiti con le loro irresolutezze e i loro contrasti, Vittorio Emanuele II con la sua impazienza, Rattazzi con la sua doppiezza, operavano, sia pure involontariamente, per l’infelice esito del tentativo di Garibaldi di affrettare il ricongiungimento di Roma all’Italia per proclamarla capitale della nazione.
E quando Ciotti sposta la sua attenzione da Roma ai vari centri della Valle dell’Aniene per trattare dei risarcimenti alle popolazioni locali a restaurazione avvenuta, dopo aver giustamente osservato che, ovunque siano passate truppe impegnate in una guerra vi sono state requisizioni o somministrazioni obbligatorie di vitto e di alloggio, ci mette di fronte ad una serie di comportamenti di gonfalonieri, priori, privati cittadini che spesso ci rivelano, al di là della legittima richiesta del risarcimento dovuto, angustia di vedute politiche, chiusura nel proprio campanile, disinvolto cambiamento di casacca.
Così per il presidente di Roma e Comarca i generosi volontari garibaldini diventano per la sua penna “orde garibaldine”; il priore di Arsoli coglie l’occasione per avere condonata la quota di debito che il Comune aveva nei confronti dell’erario; il proprietario di una locanda di Monterotondo, esagerando i danni subiti, chiede un esoso risarcimento; il priore di Castel Madama, eletto anche nel 1849 a questa carica per le sue simpatie repubblicane, subito dopo i fatti di Mentana si affretta a scrivere alle superiori autorità per mostrare tutto il suo attaccamento al potere pontificio, definendo l’occupazione di Castel Madama da parte dei garibaldini una disgrazia superiore a quella toccata al piccolo centro, quando esso fu “attaccato dal morbo asiatico” (il colera).
Spicca per interesse, ai fini della complessa ricostruzione della vita politica e sociale che Ciotti fa di molti centri della Valle dell’Aniene, il capitolo dedicato a San Polo dei Cavalieri. L’autore nota che, rispetto agli altri paesi della nostra valle, molti furono i cittadini di San Polo che il 21 gennaio 1849 si recarono a Tivoli per eleggere i deputati all’Assemblea Costituente e ne fornisce la ragione, dimostrando, con una accurata ricostruzione delle vicende sampolesi a partire dal 1799, come strati sociali della comunità attraverso lotte e conflitti legali si fossero emancipati dal duro governo feudale della famiglia del barone Marco Antonio Borghese, acquisendo consapevolezza dei propri diritti civili, che non tardò a maturare in coscienza dei diritti politici, come garanzia forte delle libertà personali, ivi inclusa quella della proprietà privata. Si formarono, quindi, in questo piccolo centro delle figure di liberali, che dettero un notevole contributo di pensiero e di azione al nostro Risorgimento, quali, solo per citarne alcuni, i fratelli Filippo e Giuseppe Meucci, Vincenzo Alessandrini, Nicola Faccenna.
Di notevole importanza è anche l’appendice del volume che, riportando tra l’altro l’elenco dei prigionieri garibaldini fatti dalle truppe pontificie durante la campagna dell’agro romano del 1867, non solo trae dall’oblio quanti credettero disinteressatamente nell’idea di Roma capitale d’Italia, ma, indicando per ciascuno di loro la professione, ci dà conto degli strati sociali, soprattutto studenti, professionisti, artigiani, commercianti, possidenti, che più sostennero il Risorgimento; quasi tutti residenti in centri medio-grandi, lì dove la frequentazione delle persone e la circolazione delle idee attraverso la stampa e i fogli di propaganda favorivano l’evoluzione politica e civile dei cittadini.
Tra loro molti, quando accorrevano sotto le insegne di Garibaldi per partecipare ad un fatto d’armi, portavano dentro il loro animo propositi di profonda trasformazione dell’Italia, che sarebbe dovuta divenire non solo nazione unita, ma anche comunità economicamente più avanzata e socialmente più giusta.
Numerosi scritti di garibaldini, si tratti di memorie o di articoli di giornale, ne costituiscono una chiara testimonianza. Ciotti, ad esempio, cita la vicenda di un suo omonimo, il maggiore Marziano Ciotti di Gradisca che, dopo aver partecipato a quasi tutte le campagne garibaldine, rientrato in Friuli, sostenne, come detto in una sua biografia, “ .. .le sue idee di repubblicano che voleva soprattutto l’unità italiana, ma sognava anche la redenzione delle plebi dalla loro miseria economica e morale”.
Una posizione questa di Garibaldi, dei garibaldini e dei loro sostenitori che si differenziava dai moderati per le sentite istanze di carattere sociale, come proveranno abbondantemente le tante iniziative politiche da loro assunte dopo l’unità d’Italia.
Il lavoro di Ciotti, complesso e articolato, ci mostra uno storico, che sa penetrare con serietà e capacità non comuni nelle vicende del passato per cogliere gli interessi in gioco, il cammino lento delle idee, l’azione dei grandi principi di libertà e di giustizia, che non appaiono nei fatti umani così luminosi, rigorosi e limpidi, come si ama rappresentarli nei trattati di teoria della politica, ma che comunque agiscono continuamente nell’animo degli uomini e, sebbene sempre ostacolati dagli egoismi e dai privilegi, finiscono per conquistare sempre nuove posizioni e rendere l’uomo meno condizionato dagli altri e dalle istituzioni e più padrone di se stesso.
Il Risorgimento, in questa piccola parte d’Italia che è la Valle dell’Aniene, ha mostrato i caratteri, almeno alcuni caratteri di fondo, che sono comuni a tante altre regioni italiane: una borghesia agraria, commerciale, intellettuale, aperta alle idee di rinnovamento, che frequenta le opere degli illuministi o ne sente in qualche modo il riverbero; le campagne ancora arretrate e divise tra rassegnato quietismo, misoneismo e scoppi di ribellione di nessun esito concreto ai fini di trasformazioni sociali e istituzionali; regimi assolutistici, nel nostro caso quello pontificio, sempre più traballanti e storicamente ingiustificabili e per questo spesso tanto più aggressivi e duri.
Queste le tendenze di fondo, di cui bene Ciotti ricostruisce la genesi, nel territorio di cui parliamo, tendenze che produrranno cospirazioni, carcerazioni, permanenza di ingiustizia sociale ed episodi di brigantaggio, i quali senza dubbio furono guidati da persone con una indiscussa inclinazione a delinquere, ma che ricevettero anche una robusta spinta dalle durissime condizioni di vita degli strati più umili della popolazione.
Alcibiade Boratto