Il Dott. Ignazio Missoni, primo sindaco di Tivoli dopo la Liberazione, ebbe una lunga militanza politica, nelle fila del Partito Repubblicano Italiano e in quelle del Partito d’Azione. Eppure egli non fu mai un uomo di parte perché, meglio di altri, seppe coniugare la sua visione politica con l’interesse generale. Il Prof. Alcibiade Boratto ne rievoca la figura attraverso una ricostruzione storica accurata che nulla concede alla celebrazione retorica (Circolo Gobetti Tivoli, 23 Aprile 2015). Una figura, quella di Missoni, contrassegnata da una eccezionalità sempre riconosciuta ma mai abbastanza valorizzata.
Attraverso la vita e l’opera di Missoni, sapientemente inquadrate nel più ampio contesto storico, il Prof. Boratto ripercorre la storia della città in un lungo arco di tempo: la Tivoli del primo Novecento con l’emergere della questione sociale, la grande guerra e l’avvento del fascismo, la tragedia immane del secondo conflitto, la difficile ricostruzione della città. Missoni attraversa questi eventi epocali da uomo vero, costantemente impegnato sotto il profilo civile e politico, mai ostaggio delle contingenze, sempre guidato da una visione complessiva limpidamente ispirata al bene comune, al senso del dovere, all’etica della responsabilità.
La ricostruzione operata costituisce un documento storico di grande rilevanza per l’approccio metodologico rigoroso ed il valore aggiunto di informazioni inedite. Un documento che contribuisce a colmare una lacuna storiografica. Ma va oltre questo. Pur nella abituale sobrietà, il Prof. Boratto aggiunge una partecipazione empatica ed uno stile letterario che rendono appassionante e persino avvincente la narrazione. Come accade per i romanzi storici d’autore. Ma in questo caso il protagonista è esistito veramente e le vicende descritte sono realmente accadute.
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Alcibiade Boratto. Ricordo di Ignazio Missoni. Circolo Piero Gobetti. Tivoli, Scuderie Estensi, 23 Marzo 2015.
Una successione di eventi tragici e di grandi rivolgimenti politici, sociali ed economici ha caratterizzato il ventesimo secolo.
Due guerre mondiali, la rivoluzione russa; due dittature, la nazista e la fascista, piantate nel cuore dell’Europa e del Mediterraneo; la eliminazione scientifica di sei milioni di ebrei; il dirompente imporsi nei paesi europei della questione sociale man mano che essi si industrializzavano, come già era avvenuto in quelle comunità nazionali, che per prime erano entrate nell’era industriale; l’ingresso della donna nella vita di fabbrica e il conseguente suo diverso ruolo nella società; lo sviluppo tecnologico e quindi l’organizzazione di nuovi modi di produzione, che hanno comportato una collocazione e una valutazione diverse del lavoro umano: questi e altri non meno importanti eventi hanno caratterizzato il secolo scorso con sciagure e trasformazioni, che, accanto a lutti, rovine, dolori, hanno posto cambiamenti nella struttura sociale e orientamenti nuovi nel campo del pensiero e in quello della moralità pubblica e privata.
Nessuno è rimasto indenne da questi profondi processi storici, che hanno coinvolto milioni di persone, travolgendole nel gorgo della follia omicida e nichilista di dittatori, ma facendole anche partecipare a grandi movimenti di riscatto e di conquista delle libertà.
Anche l’uomo più schivo di impegni civili, più chiuso nei suoi piccoli, gretti affari è stato investito dall’onda terribile degli accadimenti: lo hanno colpito nella sua casa i bombardamenti, lo hanno colto di sorpresa in strada i rastrellamenti di truppe occupanti, lo ha addolorato un lutto familiare provocato dalla guerra o dalla violenza politica.
Inevitabilmente in questo contesto storico non poteva non impegnarsi civilmente e politicamente chi, per profondità di sentimenti, qualità intellettuali e serietà di formazione culturale, riteneva suo dovere partecipare agli eventi del suo tempo per dare ad essi uno sbocco positivo.
Ignazio Missoni apparteneva a questa schiera di persone.
Una eminente figura di medico, di politico, di amministratore.
Egli era nato a Tivoli nel 1887 e nella nostra città aveva seguito gli studi per poi laurearsi in medicina.
I suoi primi passi in politica li mosse intorno al 1910.
In quell’anno è segretario della sezione del Partito Repubblicano: organizza nel mese di luglio la commemorazione di Garibaldi e dei patrioti tiburtini Domenico Giuliani, Filippo Sabucci e Domenico Tani. A quest’ultimo il Consiglio comunale aveva intitolato in quell’anno la piazza che ancora oggi porta il suo nome, intitolazione che, disse il consigliere Ignazio Petrocchi, “…purificherà il triste ricordo del palco di ghigliottina che veniva eretto a piazza dell’Olmo”.
E’ questo il periodo che Tivoli realizza un notevole processo di industrializzazione, soprattutto nel tradizionale campo della produzione della carta e del cartone, dove impiega nelle sette cartiere attive 381 operai.
A questi si devono aggiungere gli operai delle cave, gli artigiani e gli addetti all’attività edilizia, senza dimenticare la manodopera impiegata nell’agricoltura stagionale e fissa.
A dare una notevole spinta ad alcuni di questi settori produttivi era stata la nascita dell’industria elettrica, che a Tivoli aveva realizzato la costruzione di una centrale idroelettrica, prima, nel 1886, a funzionare come erogatrice di un servizio pubblico. E che l’attività industriale cresca nel tempo e sempre più si avvalga dell’energia elettrica per il suo funzionamento è provato dal fatto che in un non ampio lasso di tempo si costruiranno altre centrali, quella dell’Acquoria, di Subiaco, degli Arci.
Tivoli è una notevole realtà industriale con qualificate maestranze e un notevole numero di operai.
Inevitabile la nascita di un’organizzazione sindacale a tutela dei loro interessi e naturale l’impegno dei partiti di sinistra, che allora erano il partito socialista e quello repubblicano, sul terreno sociale.
Le lotte sindacali vertono soprattutto sulla riduzione dell’orario di lavoro, che sarà fissato nel 1911 in 10 ore lavorative giornaliere rispetto alle 11 o 12 precedenti, e sul salario a livelli davvero bassi nel primo decennio del secolo e poi rivalutati gradualmente dopo lunghi scioperi e dure manifestazioni di piazza.
Missoni fonda nel 1910 “La Voce di Bruto”, che è contemporaneamente l’organo della sezione del Partito repubblicano e della Camera del Lavoro, certamente per diffondere il pensiero del partito, ma anche e soprattutto per entrare nel vivo del dibattito politico e sociale a sostegno delle rivendicazioni sindacali e dell’Amministrazione Benedetti, eletta da un raggruppamento progressista.
Già nel primo numero del giornale si compiaceva della ricostituzione dell’organismo sindacale avvenuta il17 dicembre del 1910, scrivendo: “ La Camera del lavoro è un fatto compiuto”.
Coerentemente con la sua formazione mazziniana e con la tradizione sociale repubblicana seguirà tutte le lotte sindacali e si impegnerà nelle battaglie politiche in difesa delle rivendicazioni operaie; impegno che lo contrapponeva al ceto imprenditoriale, raccolto intorno ai partiti e ai raggruppamenti moderati, che avevano come guida Giuseppe Rosa, che sarà poi sindaco con il blocco della Grande Armata, e come supporto giornalistico il periodico “Vecchio Aniene”.
Era questo sostanzialmente un giornale ben fatto, su cui scrivevano qualificati professionisti tiburtini, fedeli interpreti della mentalità conservatrice del ceto medio cittadino.
Nel pieno delle lotte sindacali il 2 aprile del 1910 l’avvocato Vincenzo Menghi su questo giornale pubblicò un articolo intitolato” L’abuso della libertà”.
Tra l’altro scrisse: “Libertà, però, che di anno in anno, di giorno in giorno ha allargato troppo i suoi confini….per l’esercizio smodato che se ne fa. Se i nostri operai avessero l’animo meno esaltato…non dovremmo spesso deplorare che un tribuno scamiciato e parolaio, riesca a farli incorrere in escandescenze e vandalismi non appena rievochi le angherie aristocratiche e le brame insaziabili dei borghesi”.
A questa posizione di quietismo sociale sembrava rispondere Missoni con un articolo del luglio successivo su “La Voce di Bruto” in cui si esprimeva il riconoscimento della giustezza delle rivendicazioni popolari e la fiducia nella capacità politica dei cittadini che chiedevano nuove istituzioni in cui riversare le loro aspettative. Egli così scriveva in un passo dell’articolo: ”Diamo al governo di casa nostra la forma, il carattere, la missione che i bisogni del popolo richiedono, facciamo di esso la casa nostra, cioè di tutti, non di una breve schiera di privilegiati, e seguirà per volontà di popolo e per necessità di cose l’attuazione dell’altro termine: la redenzione di tutti gli oppressi a dignità di cittadini uguali e liberi nella grande patria italiana”.
Questi convincimenti, unitamente ad un forte impegno per la soluzione di alcuni rilevanti problemi della città, egli portò e sostenne in Consiglio Comunale, dove sedette dal 1911 al 1913.
Di lui non va dimenticato l’appassionato interesse che ebbe per la questione delle acque, cioè la rivendicazione da parte della comunità tiburtina del secolare diritto di sfruttamento delle acque del fiume Aniene, che avevano alimentato la produzione degli opifici al tempo dell’energia idraulica ed erano indispensabili per l’attività agricola; ora, con la nascita degli impianti di produzione di energia elettrica, gli interessi della città venivano ad essere seriamente compromessi per l’acquiescenza dell’amministrazione comunale nei confronti dei produttori del settore elettrico.
Una questione che infiammò a lungo partiti e sindacati, mise in agitazione la città e infine sboccò nel luglio 1913 in un grande sciopero generale cittadino, in cui, insieme ad altri oratori, presero la parola Ignazio Missoni e Arnaldo Parmegiani per denunciare una dannosa convenzione del Comune di Tivoli con la Soc. Anglo-Romana e con la società per le Forze Idrauliche ad opera del sindaco Giuseppe Rosa alla guida di un’amministrazione, in cui alcuni componenti si trovavano in evidente conflitto di interessi, essendo ad un tempo utenti delle acque dell’Aniene, in quanto imprenditori, e amministratori deputati al controllo dell’uso delle acque e alla eventuale repressione di abusi.
Convenzione dannosa, perché si derogava dalla Transazione stipulata dall’Amministrazione Benedetti tra il Comune, lo Stato e le società produttrici di energia elettrica, vero atto fondamentale per il riconoscimento dei diritti del Comune, per stabilire minori esborsi per canoni dovuti da parte delle citate società oltre che condizioni contrattuali a loro favorevoli.
Già nel 1911, il 6 gennaio, sulla “La Voce di Bruto” Missoni era intervenuto sulla vertenza delle acque, scrivendo: “Il Comune dovrà ben difendere e far valere i diritti suoi, del popolo suo, che non è più oggi il cieco di ieri. Le nostre industrie debbono moltiplicarsi, intensificarsi, non scomparire”. Dove il temuto ridimensionamento dell’industria locale era legato dall’autore dell’articolo alle prevedibili esose condizioni di vendita dell’energia elettrica da parte del produttore e alla probabilità di una riduzione dell’energia in loco per la sua distribuzione in altre città.
Nel 1913 La Voce di Bruto, giornale “sorto con gli oboli dei lavoratori e con essi vivrà la sua vita di battaglie e di fede”, come scritto nella sua testata, non ce la fa più a vivere, cessa le sue pubblicazioni.
Ma Missoni continua il suo impegno politico e prende a scrivere sulla “Idea socialista”, giornale fondato nel 1914 da Arnaldo Parmegiani.
E’ un segnale di collaborazione tra socialisti e repubblicani, tra i quali non sempre i rapporti sono di cordialità politica, sui temi amministrativi e sociali della città e forse soprattutto di intesa tra due uomini, capaci di guardare al di là degli interessi di parte, come seppero dimostrare allora e nel prosieguo della loro attività politica.
Missoni in questo periodo, lui repubblicano in regime monarchico, conosce il suo destino di sorvegliato, che lo accompagnerà poi durante i due decenni del fascismo. L’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Tivoli il 7 settembre 1913 di lui scrive: “…capo del locale gruppo repubblicano, di carattere piuttosto vivace, di una discreta coltura ed intelligenza, egli riscuote, tra i propri correligionari stima e considerazione, anche perché è l’”oratore” del partito e il compilatore di articoli e manifesti repubblicani”.
Ma la sua attività non si limita alla vita sezionale del suo partito, come lascerebbe credere questa nota della polizia: è un medico e sente il dovere di approfondire la sua preparazione e anche di mettere al servizio dei ceti meno abbienti le sue conoscenze scientifiche e le sue prestazioni.
Prendo un passo da un breve profilo biografico tracciato sulla rivista della Associazione medico-chirurgica di Tivoli e della Val d’Aniene dell’anno 1989.
“Negli anni accademici 1912-13 e1913-14 prestò servizio quale assistente volontario presso l’ambulatorio”E.Sciamanna” per malattie nervose e mentali annesso alla Clinica Psichiatrica dell’Università di Roma. … Si prodigò per la formazione di una coscienza sanitaria fra le classi popolari, dirigendo e diffondendo, nel 1913, la rivista “Igea”, pubblicazione popolare mensile di Igiene e di Medicina Sociale. Così, nel 1914, impegnato nella lotta contro la tubercolosi, malattia allora diffusissima specialmente tra i bambini, egli effettuò e pubblicò una particolareggiata analisi delle più benefiche istituzioni di Roma, indicandone la natura, gli scopi, i mezzi di cui disponevano.”
Nell’anno 1914 Missoni riceve un incarico dal comune di Tivoli: sostituisce il dottor Sterlich, malato, nella condotta medica e, poiché Sterlich qualche mese dopo muore, probabilmente continua a prestare servizio fino a quando, chiamato alle armi, andrà in guerra come ufficiale medico, guadagnando una medaglia di bronzo con la seguente motivazione: ”… con serena calma prestava le sue cure ai feriti anche sotto il fuoco dell’artiglieria”.
Si può ragionevolmente affermare, data la sua formazione politica, che a quel conflitto partecipò con l’animo di quanti ritenevano che con la guerra l’Italia potesse concludere il Risorgimento, tornando in possesso delle terre cosiddette irredente e con la convinzione che dalla dissoluzione dell’impero austriaco e dalla sconfitta della Germania dovesse nascere, come scrisse Salvemini,”un giusto equilibrio di nazioni solidali e pacifiche in Europa”.
Come risulta dal suo libretto personale degli ufficiali in congedo, nell’anno 1916 Missoni viene “trasferito d’autorità”, a partire dal 6 maggio, al Regio Corpo delle truppe coloniali e inviato in Tripolitania, dove resta fino al 1917; nel 1918 presta servizio in Eritrea e successivamente passa di nuovo in Libia per tornare infine in Italia nel dicembre del 1918.
Anche in questo servizio prestato in colonia si è fatto apprezzare. Scrive infatti di lui un suo superiore a Bengasi il 23 aprile 1917: ”… ha sempre mostrato zelo inappuntabile, interessamento per gli ammalati, spirito di abnegazione e di servizio”.
Credo sia legittimo chiedersi cosa nasconda quell’espressione “trasferito d’autorità”. Come mai un ufficiale medico, che si è distinto per coraggio e perizia professionale, viene allontanato da una zona d’operazione, dove personale del genere è così tanto utile? I competenti uffici militari ritengono davvero necessaria l’opera di Missoni in colonia o forse temono una sua attività di propaganda tra i soldati contro il regime monarchico, dato che è noto alla Questura di Roma e al Distretto militare per essere un fervente repubblicano, anche se leale ufficiale?
Domande che restano senza risposta, perché nulla i documenti ad oggi disponibili dicono in proposito.
Presterà ancora servizio di ufficiale medico presso l’ospedale militare di Trieste nell’anno1919 e l’anno successivo in quello di Roma, città in cui dopo il congedo si stabilisce per conseguire due specializzazioni nella sua professione di medico..
Qui conosce e sposa nel 1924 Lina Bernabei che gli darà sei figli, di cui due scomparsi in tenera età; insieme costituiranno una famiglia educata al senso del dovere e del lavoro, abituata a condividere le trepidazioni e le attese di un periodo illiberale e drammatico, privata troppo presto, come vedremo, della guida e del sostegno morale e materiale del padre.
Il 1924 è l’anno in cui il regime politico liberale è al collasso.
Il Partito fascista si è insediato al potere, Mussolini guida il governo, il Parlamento si mostra incerto o acquiescente nei suoi confronti.
Le elezioni politiche del 1924, svolte con una legge elettorale con alto premio di maggioranza e bassa soglia di suffragi per ottenerla, gli assicurano la fiducia della Camera dei Deputati.
Le istituzioni sono progressivamente conquistate dal regime, legalmente o con la violenza.
Le amministrazioni comunali di segno politico contrario sono costrette con ogni forma di coercizione a dimettersi o vengono sciolte con pretesti amministrativi.
Una legge del 1926 ne impedirà la ricostituzione per via democratica, assegnando ogni potere al Podestà, nominato dal Re, ma gradito al partito fascista e ai rappresentanti dei ceti sociali, che lo sostengono senza riserve.
Tivoli in questo contesto non fa eccezione. L’Amministrazione di sinistra, presieduta da Parmegiani, è stata spazzata via nel novembre del 1922. Seguiranno gestioni commissariali, un biennio dell’amministrazione Salvati, poi ancora gestioni commissariali e infine il lungo periodo di guida podestarile del Comune iniziata con Guido Brigante Colonna.
A qualunque incarico pubblico, anche modesto, si accede previo consenso del partito fascista.
In occasione della nomina di una commissione Giannino De Angelis, segretario del Fascio di Tivoli, scrive al Podestà Aldo Chicca: “E’ ben noto a chiunque che prima di affidare cariche e incarichi pubblici occorre richiedere il nulla osta del Fascio”.
E il Podestà rassicura il politico, rispondendo:” I membri di essa (commissione) sono stati da me scelti tra cittadini regolarmente iscritti al Fascio e che godono ampia stima tra la popolazione”.
In questo clima politico il nome di Missoni, tornato definitivamente a Tivoli nel 1925, spunta fuori da un rapporto dei Carabinieri del 12 novembre 1928 inviato al Podestà di Tivoli, il quale aveva loro chiesto informazioni su un aspirante al posto di vigile urbano, un certo De Sanctis Tommaso, calderaio.
Di lui innanzi tutto si scrive che è “… di buona condotta morale, onesto e affezionato alla famiglia. Ex combattente, decorato della Croce di guerra”.
Ma subito dopo si afferma: “In quanto alla condotta politica è incontestabile ch’egli, in occasione della secessione provocata dal voto di Assisi, fu tra i più accesi e fedeli sostenitori del dottor Missoni, il cui indirizzo, come è noto a Tivoli, forse più accentuatamente che altrove ebbe un’impronta marcatamente avversa al fascismo”.
Il riferimento nel rapporto dei carabinieri al congresso di Assisi rimanda alla celebrazione di un congresso dell’Associazione Nazionale Combattenti, tenutasi nella città umbra nel luglio del 1924, dove la maggioranza dei delegati si era rifiutata di collaborare con il nuovo regime, determinando una frattura nell’associazione con la minoranza dichiaratamente fascista.
La posizione assunta da Missoni in quel congresso gli era costata la rimozione da presidente della sezione della A.N.C. di Tivoli, che Guglielmo Pollastrini, noto facinoroso e picchiatore fascista, definiva “composta nella quasi totalità di elementi turbolenti e sovversivi”.
Nel marzo del 1925 la crisi dell’A.N.C. iniziata ad Assisi era sfociata nello scioglimento, voluto da Mussolini, del suo Comitato nazionale. Era seguita la costituzione di una A.C.N. indipendente, della cui sezione di Tivoli Missoni era presidente, come si accertò a seguito di una perquisizione effettuata dai Carabinieri in casa del socio Maschietti, dove vennero trovate, firmate da Missoni, 20 tessere di aderenti, che nel rapporto dei carabinieri alla Questura di Roma venivano definiti “sovversivi, in quanto seguaci di partiti di sinistra”.
Nella citata perquisizione si rinveniva anche un volantino, sempre a firma di Missoni,in cui si invitavano i reduci a iscriversi alla nuova associazione per favorire, era scritto, “l’invocata era di concordia, di libertà, di giustizia”.
Era un’altra chiara presa di posizione contro le sopraffazioni del regime, che si andava impadronendo delle associazioni costituenti un ostacolo al suo consolidamento.
Credo si possa dire che questo fu l’ultimo episodio di lotta aperta , di scontro frontale di Missoni con il regime fascista.
Egli nel frattempo svolge la sua professione di medico presso l’ospedale di Tivoli, circondato dalla stima e dal rispetto dei suoi concittadini.
Forse valuta che a causa della forza acquisita con la violenza e per i cedimenti di buona parte del ceto politico e degli intellettuali oltre che per la rassegnazione dei cittadini, il regime instaurato è destinato a durare, non lo si può rovesciare nel breve periodo.
Ma dentro di se conserva gli ideali di sempre. Crede che il regime vada corroso dall’interno con un’opera paziente e attenta di critica sussurrata e continua.
Il suo è un compito di testimonianza resa giornalmente con il rispetto della persona, la probità di comportamento, la dignità nell’agire, l’alto senso del dovere e la competenza scientifica manifestati nell’espletamento del suo incarico nel reparto di medicina del civico ospedale San Giovanni Evangelista, di cui poi diverrà primario.
Un modo di essere che erano l’esatto contrario di come il regime voleva forgiare l’uomo italiano. E dunque una costante lezione di antifascismo.
Una scelta diversa, ma credo anch’essa importante, di quella compiuta da coloro che entrarono subito nella clandestinità e nella cospirazione militante, affrontando l’allontanamento dalle proprie famiglie e i rischi di finire in carcere o dinanzi al Tribunale Speciale, ai quali va sempre il nostro grato e riconoscente ricordo.
Il regime dal canto suo con le persone autorevoli, ben volute negli ambienti cittadini si mostra prudente e discreto, a meno che non siano autrici di atti e manifestazioni che turbino in maniera clamorosa l’ordine fascista, come si usa dire.
Lo stesso Mussolini nella circolare ai Prefetti del 5 gennaio 1927, li invitava ad una difesa del regime “alacre…ma anche intelligente per evitare di elevare gli antifascisti alla dignità di un magari sperato e sollecitato martirio”.
Prudente e discreto, certamente, il regime, ma non distratto, perché esso con i carabinieri, la polizia, l’O.V.R,A., e i tanti delatori e confidenti segue tutti i cittadini sospettati di antifascismo. Missoni è tra questi. Numerosi sono i rapporti delle forze dell’ordine relativi ai suoi comportamenti.
Il 5 novembre 1931 la Legione Territoriale dei Carabinieri del Lazio scrive alla Regia Questura di Roma che “… il Missoni in data 4 dicembre 1925 venne condannato per rifiuto obbedienza all’Autorità, perché siccome diffidato a non più svolgere attività per riorganizzare la sezione combattenti…non obbediva all’ordine”.
Il 30 gennaio 1939 la Questura di Roma comunica al Commissario di Pubblica Sicurezza di Tivoli che “… questo ufficio tenendo conto dei precedenti politici del Missoni non ritiene per ora radiarlo dal novero dei sovversivi” e aggiunge “… prego disporre che la vigilanza nei suoi confronti venga esercitata in modo riservato”.
Il Commissario di Tivoli risponde con notizie rassicuranti circa la sua condotta, ma ancora il 21 ottobre 1940 dal Distretto Militare di Roma Missoni viene segnalato come “… tuttora iscritto nello schedario dei sovversivi” a carico del quale “… è in corso di espletamento una pratica disciplinare”.
E ancora nel maggio del 1941, nel marzo del 1942 e poi nel febbraio del 1943 la Questura di Roma chiede al Commissario di P. S . notizie sul comportamento di Missoni in città e si risponde “viene adeguatamente vigilato” o “è sottoposto a riservata vigilanza”.
Come si vede,è costantemente vigilato, sia pure con discrezione, e l’attenzione nei suoi riguardi sembra farsi più stringente agli inizi degli anni quaranta, indubbiamente perché si è in guerra e il regime non si sente più sicuro come negli anni precedenti. Ma credo anche per un altro motivo.
Nel corso della Resistenza, fra il ‘43 e il ‘44, e al momento della Liberazione Missoni è iscritto al Partito d’Azione, dato che il Partito Repubblicano non si è ancora data un’organizzazione nazionale. Tornerà ad aderire ad esso dopo la sua ricostituzione.
Si può, quindi, ipotizzare che in quei primi anni quaranta, quando appunto le preoccupazioni della Questura erano divenute più assillanti, Missoni avesse segretamente avviato contatti con uomini politici della capitale, dove il 4 giugno 1942 nella abitazione di Federico Comandini veniva fondato il Partito d’Azione, che raccoglieva quel mondo politico della sinistra democratica, non comunista e non cattolico, proveniente dal Partito Repubblicano, dal Partito Socialista e dal movimento di Giustizia e Libertà, fondato dai fratelli Rosselli.
Nel luglio del 1943 è ormai vicino il tracollo bellico e politico del nostro paese.
Il 10 luglio le truppe alleate sbarcano in Sicilia; il 25 con la seduta del Gran Consiglio del Fascismo viene esautorato Mussolini e cade il regime fascista.
Ancora qualche mese di equivoco e ambiguo governo Badoglio, di difficile convivenza con i tedeschi, poi il cedimento del paese e la firma dell’armistizio l’otto settembre.
Privo di disposizioni, con il Re, capo dello stato, che lascia Roma senza preoccuparsi di stabilire linee di condotta per chi resta, l’esercito si sfalda e le truppe tedesche occupano quella parte della penisola non ancora in mano degli Alleati.
E’ il momento delle grandi scelte, soprattutto per i giovani che hanno vestito la divisa grigio-verde o hanno indossato la camicia nera. Molti giovani le sapranno compiere.
Ma è necessaria una guida, per dare sostanza politica alla decisione presa di lasciare l’esercito, di rifiutare il fascismo, di combattere contro il tedesco che non tollera che un popolo esausto eviti il suo annientamento totale.
A Tivoli il riferimento è certo: capo della Resistenza non può che essere Missoni, coadiuvato da una schiera di giovani che da qualche tempo hanno maturato una coscienza antifascista, da militari che hanno lasciato l’esercito, da artigiani, operai, professionisti, che vengono da un’antica o recente cospirazione contro il regime fascista.
L’impegno presente di queste persone è la lotta contro i tedeschi e i fascisti, l’obiettivo futuro è la costruzione di un paese democratico.
Per questa assunzione di responsabilità Missoni andrà incontro a non pochi pericoli, che, a volte, sfioreranno anche l’incolumità della sua famiglia, come quando affida alla figlia Anna Maria il compito di staffetta per mantenere i collegamenti con i prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento e rifugiati sui monti tiburtini, o come quando presta le sue cure a quelli di essi più seriamente malati o feriti in un appartamento sottostante la sua abitazione in via Colsereno.
Fu più volte sul punto di essere arrestato o inviato al confino, come chiedeva pressantemente il famigerato questore Caruso con una raccomandata riservata al Commissario di Pubblica Sicurezza di Tivoli in data 18 maggio 1944.
Per il 26 maggio era fissato dal comando tedesco l’arresto di molti giovani renitenti alla leva e di alcuni esponenti della banda partigiana di Tivoli, tra cui Missoni: la notizia veniva data da un confidente, che aveva potuto leggere l’elenco delle persone da arrestare nella sede del comando militare tedesco insediato nell’albergo Le Sirene.
La tempestiva fuga di quanti erano in pericolo e il bombardamento della città impedirono l’effettuazione dell’operazione.
Missoni molto probabilmente fu nascosto da Giuseppe Chiarelli, futuro presidente della Corte Costituzionale, la cui cognata, la professoressa Pierina Osti, era una attiva partigiana della banda di Tivoli. Ma, anche se ricercato, Missoni ancora una volta si rese utile ai suoi concittadini nel momento in cui i tedeschi stavano lasciando la città devastata dal bombardamento.
Ricorda il tenente colonnello Camillo Nata, responsabile militare della banda partigiana: “… quando gli Alleati stavano per raggiungere Tivoli, fu ordinato dal comando tedesco che la popolazione sgombrasse e si concentrasse su due colline a nord dell’Aniene. Vi erano dietro alcune batterie tedesche: su quelle colline si svolse poi uno dei più intensi duelli di artiglieria. Si deve solo alla iniziativa del tenente colonnello Nata e del dottor Missoni se, contravvenendo agli ordini tedeschi e sfidando le rimostranze di questi ultimi, la popolazione fu concentrata in valle Arcese e sottratta a un premeditato massacro”.
Scorrendo l’attività da lui svolta in quel periodo e consultando i documenti che di lui parlano come capo della Resistenza nella nostra zona, ci rendiamo conto che per Missoni la lotta partigiana fu soprattutto lotta contro i tedeschi e contro quel che restava del fascismo, della sua mentalità, della sua ideologia. Come dimostrò poi con la sua attività di amministratore e con il suo impegno politico, il tempo che si avvicinava non doveva essere sciupato e macchiato da vendette e da rivalse, ma dedicato alla costruzione di una società fondata sui valori di libertà e giustizia.
Per questo si era speso, per questo aveva corso tanti rischi.
E questo fu anche sostanzialmente lo spirito con cui i resistenti e i patrioti tiburtini affrontarono quel periodo.
Fecero bene la loro parte, quella loro assegnata dal Comando militare della Resistenza romana e quella imposta dalle emergenze locali.
Ed ebbero i loro morti.
Vollero chiudere i conti con tedeschi e fascisti e tornare a vivere ed operare in un regime di libertà, riaprendo la dialettica politica tra i partiti per dare al paese un nuovo patto costituzionale.
Talvolta assecondati di fatto anche da alcuni responsabili delle forze dell’ordine e perfino dal segretario del Fascio tiburtino Aldo Cesare Tisei, disponibili ad ostacolare le azioni di rappresaglia e gli arresti di giovani renitenti da parte dei tedeschi, informando tempestivamente i capi della Resistenza, nell’intento di far “passare la nottata” ora che tutto un mondo politico stava crollando.
Il 26 maggio un terribile bombardamento si abbattè sulla città. Interi quartieri andarono distrutti, centinaia furono i morti. Tra i tanti scomparve anche Augusto Olivieri, che tanti preziosi servizi aveva reso al movimento partigiano, carpendo ad ufficiali tedeschi e austriaci, nel corso di abbondanti bevute, notizie sulle operazioni delle loro truppe, che riferiva a Missoni e a Fedeli, da loro poi girate alla organizzazione militare della Resistenza romana.
Ora si doveva provvedere alle necessità della popolazione e proteggere la città dalle ultime drammatiche angherie dei tedeschi in ritirata, come abbiamo già visto.
In una pesante atmosfera di distruzione e di morte Tivoli si apprestava a scrivere una nuova pagina della sua secolare storia
Il 7 giugno finalmente la città è liberata dalle truppe alleate, i cui avamposti si fermano dove oggi è Largo Garibaldi, allora ricoperto di macerie.
Missoni con alcuni suoi collaboratori è lì ad informare l’ufficiale di quel primo nucleo di militari che i tedeschi hanno abbandonato la città e possono quindi proseguire verso la valle dell’Aniene e l’Abruzzo.
Una nota e storica fotografia ricorda per sempre quel momento in cui si passava dall’incubo della guerra e delle persecuzioni nazifasciste alla fatica immane della ricostruzione materiale della città e alla ripresa di fiducia e di speranza dei cittadini.
La guida e l’anima di questa grande operazione sarà ancora Missoni, capo della locale Resistenza e persona da tutti stimato.
Il 16 giugno gli Alleati lo nomineranno Sindaco, affiancato da una giunta formata di elementi del C.L.N., e in questo incarico di primo cittadino, sia pure con qualifica diversa, sarà confermato dal Prefetto nel mese di settembre, quando lentamente le istituzioni statali riprenderanno a funzionare.
Quale fosse lo stato della città allora è bene rappresentato da una relazione che Missoni inviò al prefetto nel mese di ottobre: la sede municipale seriamente danneggiata, le scuole chiuse e alcuni edifici scolastici distrutti, quartieri interi della città ridotti a cumuli di macerie, l’acquedotto comunale e la distribuzione dell’energia elettrica insufficientemente funzionanti, la popolazione alimentata con appena 200 grammi di pane a famiglia e con generi alimentari trasportati in città con automezzi di fortuna pagati dalle poco fornite casse comunali.
La concretezza e il realismo degli amministratori allevieranno nella misura del possibile le sofferenze dei tiburtini e soprattutto sosterranno la forte loro volontà di uscire fuori dalla catastrofe bellica.
In questo loro impegno, però, incontreranno difficoltà notevoli, causate non solo dalla scarsità delle risorse materiali a loro disposizione e dalla penuria di cibo, ma anche da resistenze e ottusità burocratiche, che porteranno alle dimissioni di Missoni dalla carica di Sindaco.
Il fatto che le provocò va ricordato, perché significativo di un modo di intendere la guida di una Amministrazione seriamente volta al bene della comunità.
Un Decreto Ministeriale emanato dal Ministero per l’Agricoltura il 7 settembre 1944 stabiliva che”…i produttori di olio di oliva…hanno l’obbligo di denunciare l’olio e di consegnarlo ai centri di raccolta”.
Ciò comportava che l’olio, con i ritardi e le approssimazioni prevedibili, veniva poi redistribuito ai vari Comuni dagli uffici provinciali dell’ammasso.
Data la situazione in cui, come si scrisse in una delle tante comunicazioni al Prefetto,” la popolazione era letteralmente affamata, priva di qualsiasi genere alimentare”, l’Amministrazione cittadina ritenne di affrontare equamente il problema dell’assegnazione delle olive raccolte, stabilendo che all’ammasso fosse inviato il 30% del loro quantitativo, lasciando il 45% ai produttori e destinando il residuo al Comune per l’alimentazione della popolazione locale.
Missoni così concludeva nella sua lettera al Prefetto contenente la proposta dell’Amministrazione: “Se a tale accordo non sarà possibile dar corso, la popolazione protesterà o, peggio, l’ammasso resterà vuoto e la pace sarà turbata”.
Ma la scelta dell’Amministrazione non fu approvata dal Prefetto.
La vertenza si trascinò per un paio di mesi, tra il dicembre del 1944 e il febbraio dell’anno successivo; poi, dopo un colloquio con il Prefetto, Missoni, che aveva sempre agito d’intesa, per la risoluzione della questione, con il C.N.L., i partiti, e la locale sezione della Commissione Agricoltura, il 5 febbraio 1945 rassegnava le dimissioni, dichiarando “di non poter recedere dalla linea di condotta seguita fino a qui”.
Un ennesimo esempio del conflitto tra le rigidità delle burocrazie centrali e periferiche dello Stato e il realismo delle amministrazioni locali, necessario per fronteggiare le emergenze con provvedimenti urgenti e concreti; realismo bene manifestato in questo frangente dal comportamento fermo e coerente del Sindaco Missoni, convinto, per remota formazione politica, della efficacia delle autonome decisioni dei governi locali
Ignazio Missoni tornerà alla guida della città con le prime elezioni amministrative del dopoguerra tenute il 16 marzo 1946, vinte da una coalizione di sinistra, formata dal Partito Comunista, dal Partito Repubblicano e dal Partito Socialista, e che per la prima volta nella storia della città sancivano l’ingresso nell’aula consiliare di palazzo San Bernardino di due donne in qualità di consigliere: la professoressa Amelia Bertoli Coccanari per il Partito Repubblicano e la professoressa Itala Terzano, eletta come indipendente nella lista Democrazia Cristiana-Partito Liberale.
Il Consiglio Comunale lo eleggerà Sindaco nella seduta del 4 aprile.
Nel quadro di un rinnovato e, se possibile, più energico impegno per la soluzione dei gravi problemi della città, due caratteri distinguono lo stile amministrativo di Missoni: il continuo dialogo con i cittadini, per dar conto dell’operato dell’amministrazione, e la consapevolezza della necessità di una continuità amministrativa per approdare a risultati positivi per la città; cosa che lo porta ad un atteggiamento di leale riconoscimento dell’opera amministrativa svolta da chi lo ha preceduto.
Li troviamo questi caratteri nella relazione che tenne ai cittadini il 2 giugno 1947 a poco più di un anno dalla sua elezione.
“A questo punto della mia relazione”, affermava in un passaggio, “sento necessario un doveroso chiarimento: il lavoro svolto dalla mia amministrazione nel primo periodo, continuato poi dall’amministrazione Coccanari, e ripreso ancora dall’amministrazione regolare, espressa dalle libere e democratiche elezioni del marzo 46, costituisce un’opera così organica e continuativa che non permette sempre di distinguere … quanto di iniziativa e di laboriosità possa attribuirsi all’uno o all’altro periodo, all’una o all’altra gestione amministrativa: … dalla Liberazione ad oggi, tutti gli esponenti della vita pubblica cittadina, pur militanti in partiti diversi … si sono trovati costantemente concordi ed uniti per la completa restituzione della vita cittadina alla normalità e all’antico splendore”.
Ben 64 pagine dattiloscritte dedicava nella relazione citata al rendiconto ai cittadini del lavoro svolto sulla base del mandato da essi ricevuto.
Ciò che colpisce nel testo è il puntuale richiamo dei punti programmatici presentati agli elettori nel marzo dell’anno precedente per confrontarli con la scrupolosa documentazione di quanto si è fatto o si va realizzando, chiarendo le difficoltà incontrate durante il faticoso cammino amministrativo e non omettendo di citare, se ci sono stati, ritardi nell’esecuzione di opere.
A noi, che rileggiamo oggi quelle pagine, tornano l’immagine dello stato miserando della città, le privazioni della popolazione, ma anche l’eco della tenace volontà di ricostruire e di migliorare le condizioni di vita dei cittadini.
Ecco, quindi, la riapertura delle scuole con particolare attenzione alle Elementari che sono, come dice il Sindaco, “il vivaio fiorente dei futuri coscienti cittadini della nostra Repubblica”; l’impegno forte per dare un tetto ai sinistrati che ha portato in poco tempo alla costruzione di 169 alloggi popolari, grazie anche alla buona disposizione nei confronti del comune del Ministero dei Lavori Pubblici e del Genio Civile; e ancora, la decisione di riacquistare le Acque Albule per farne un importante centro termale; la ricostruzione del ponte dell’Acquoria e dell’ala danneggiata del palazzo comunale e l’avvio dei lavori per la ricostruzione della chiesa della Carità; e altre opere ancora, che non cito per brevità.
Tutto viene riferito con puntuale precisione quanto ai tempi di esecuzione, nominativi di ditte, costi sostenuti dal bilancio comunale. Oggi si direbbe un modello di trasparenza.
E non manca assolutamente nella relazione lo sguardo aperto al futuro della città, nonostante si sia di fronte ancora a urgenze umanitarie e alle ristrettezze economiche dei cittadini. L’ansia di riaprire le industrie, di ricostruire edifici, di riavviare commerci non deve prescindere dal dare una forma e un futuro alla città sfigurata dal bombardamento. Essa non deve solo curare le sue ferite, ma risorgere ordinata e moderna, seguendo criteri urbanistici rigorosi e attenti al suo patrimonio storico e artistico, già in parte individuati nel Piano di Ricostruzione dell’architetto Scalpelli, per il quale ha calde parole di riconoscenza, e realizzando programmi di sviluppo fondato sulle sue vocazioni, prima fra tutte quella turistica.
A quest’ultimo proposito va ricordato un evento di grande importanza, che è prova della volontà di rinascita della città e dei legami che i cittadini sensibili e consapevoli mai sciolgono con il luogo d’origine.
Uno di questi fu il pittore Pio Santini, trasferitosi a Parigi nel 1933, che fece parte dell’Ecole de Paris, un importante movimento artistico della prima metà del Novecento, al quale aderirono tra gli altri Modigliani, Campigli, De Pisis.
Egli nel 1947 proponeva alla moglie di Missoni, la signora Lina, di farsi promotrice della fondazione di un premio annuale di pittura, scultura, musica, poesia, letteratura e architettura, da assegnare ad artisti italiani e francesi per favorire la ripresa di rapporti culturali tra i due paesi interrotti dalla guerra.
A Tivoli esso si sarebbe denominato “Premio Villa d’Este”, a Parigi “ Prix de Montparnasse”.
Ai vincitori sarebbero andati un assegno in denaro e un soggiorno di un mese, a Tivoli per l’artista francese , a Parigi per quello italiano.
La proposta andò a buon fine.
La prima edizione del premio vide premiato a Tivoli il pittore Stephan Magnard e a Parigi l’italiano Carlo Francesco Salodini, i quali , sia pure in misura diversa, ebbero in seguito una notevole affermazione artistica. In quella circostanza si ebbe anche un altro evento: per la prima volta, ad opera della Società Romana di Elettricità, veniva illuminata la villa d’Este di sera, motivo negli anni a venire di grande richiamo turistico.
Negli anni successivi fu la volta della premiazione, solo per fare qualche nome, di Valentino Bucchi e Henrj Dutilleux per la musica, di Marcel Brion e di Sergio Solmi per la letteratura, di Attilio Bertolucci e di André Bellivier per la poesia.
L’interesse che suscitò il premio portò ad un’eccezionale composizione del Comitato d’onore, al quale aderirono Carlo Sforza, ministro degli Esteri, Guido Gonella, ministro della Pubblica Istruzione, Igino Giordani, già deputato all’Assemblea Costituente, Guglielmo De Angelis D’Ossat, direttore generale delle Antichità e Belle Arti, Ignazio Missoni, sindaco della città, Giuseppe Petrocchi, direttore generale dell’Istruzione Superiore.
E non vanno dimenticate le varie giurie, a cui parteciparono, oltre ai concittadini Michele Biscione e Umberto Marvardi, note figure di docenti universitari, nomi illustri della cultura e dell’arte italiani e francesi quali Giuseppe Ungaretti, Giorgio Petrocchi, Pietro Paolo Trompeo, Giulio Carlo Argan, Gugenot, Ferruccio Ferrazzi, Pericle Fazzini, Theré
La collaborazione tra privati, istituzioni e pubblica amministrazione cittadina, frutto del volenteroso clima di fiducia nella ripresa e nell’affermazione della città come centro di cultura e di memorie storiche e artistiche, consentirono uno svolgimento lusinghiero della importante iniziativa.
Poi, la scomparsa di Missoni, il dolore e la stanchezza della sua consorte, che presiedeva il Comitato esecutivo del premio, la mancanza di fondi segnarono nell’anno1953 la sua fine, che significò anche un notevole ripiegamento culturale della città.
Il 3 giugno 1948 Missoni tiene la sua seconda relazione sull’attività dell’Amministrazione comunale. Questa volta si tratta di una conferenza-stampa.
I toni di cui si serve rispetto a quelli usati nell’incontro dell’anno precedente sono diversi. Non si tratta solo della presenza nel testo di una certa vis polemica, dote che per la verità non gli ha mai fatto difetto, c’è asprezza nelle espressioni usate nei confronti degli avversari politici suoi e della sua amministrazione.
Il fatto è che la conferenza si svolge dopo il 18 aprile, giorno che segnò la grande vittoria elettorale della Democrazia Cristiana e cambiò in modo radicale il clima politico nel paese, che si schierava nettamente con il mondo delle democrazie occidentali, separato e in conflitto con quello dei regimi a guida comunista.
Si apre anche in Italia il lungo periodo in cui gli stati sono presi nella tenaglia delle ragioni superiori e del duro realismo della politica internazionale.
Per le amministrazioni di sinistra i tempi si fanno difficili. Il governo centrale tende ad uniformare anche gli enti locali agli indirizzi politici della maggioranza politica nazionale. Si fanno, quindi, più dure e aggressive le minoranze democristiane nei comuni retti da amministrazioni di sinistra.
I Prefetti e gli organi periferici dello stato danno una mano in questa operazione politica, quando con interventi felpati, quando con atti diretti e autoritativi.
Missoni vive con grande disagio questo periodo, che se da una parte gli fa dare un giudizio troppo sbrigativo sul risultato elettorale del 18 aprile, attribuito solo alla paura ingenerata negli elettori dalla propaganda faziosa, dall’altra lo porta a reagire con durezza alle accuse, alle allusioni, alle insinuazioni che sull’Aniene, un giornale locale, gli avversari democristiani rivolgono alla sua conduzione amministrativa e ai suoi collaboratori in giunta e nelle aziende comunali.
Decisa è la replica agli attacchi e chiara è la sua visione di amministratore nel rivendicare il merito della transazione relativa all’acquisto della società privata delle Acque Albule o nel sottolineare la efficace gestione dell’Azienda comunale dei trasporti, indispensabile per lo svolgimento di servizi essenziali e per il rifornimento in città di quei generi di largo consumo, che, per sostenere i magri redditi del ceto meno abbiente della città, erano venduti dall’Ente Comunale di Consumo. O, anche, nel ribadire la fondamentale funzione progettuale del Piano di Ricostruzione, ritenuto un intralcio, e criticato soltanto, dice Missoni, “ da quei pochissimi poveri di spirito che vorrebbero ricostruire a modo loro”.
E c’è ancora molto lavoro da fare. Lo amareggia la concordia cittadina lacerata, così necessaria per la ricostruzione e una corretta espansione della città. Percepisce che sta venendo meno quell’incontro tra borghesia colta e imprenditoriale e ceto popolare, realizzatosi, forse per la prima volta nella storia della città, intorno agli anni quaranta con lo scopo di liberarsi del fascismo e durato nel periodo resistenziale e nel primo dopoguerra; incontro che si era mostrato giovevole al governo della città e della cui mancanza essa soffrirà nei decenni successivi.
Uno dei pochi episodi che rasserenano il suo animo è costituito dal reciproco riconoscimento e dalla ricambiata stima presenti nello scambio di auguri tra lui e Igino Giordani, eminente figura del mondo cattolico, dopo le elezioni del 18 aprile. Missoni, candidato alla Camera dei Deputati nelle liste del Partito Repubblicano, non era stato eletto, Giordani invece, anche lui candidato, era entrato in Parlamento come rappresentante della Democrazia Cristiana, con la quale poi non si trovò sempre in sintonia politica.
In risposta a una lettera di buon lavoro inviatagli da Missoni, Giordani rispondeva: “Cordiali auguri anche a te, la cui opera e la cui intelligenza meritavano assolutamente la tua elezione a deputato, come io cordialmente te l’auguravo”.
Testimonianza non solo di antica amicizia, nonostante la lontananza tra i due di posizioni ideologiche e politiche, ma di leale riconoscimento delle qualità umane e politiche del competitore elettorale.
Il 1949, nonostante le roventi polemiche con l’opposizione e sebbene si manifesti qualche frizione all’interno della maggioranza subito però ricomposta dall’autorevolezza del sindaco, è un anno ancora di proficua attività amministrativa; basti solo accennare al grande impegno posto nell’elaborazione di un bando nazionale per la realizzazione delle nuove Terme, approvato poi nel mese di aprile, ai frequenti concorsi pubblici per l’assunzione di personale finalizzati alla ricostituzione dell’apparato burocratico comunale, alle deduzioni sulle opposizioni a una variante al Piano di Ricostruzione e alla approvazione del progetto di sistemazione di piazza Rivarola, redatto dall’architetto Scalpelli.
Poi sul finire di quell’anno Missoni ingaggia l’ultima battaglia della sua vita, quella contro una grave malattia, che lo vedrà soccombente. Continua a seguire, come può, l’attività amministrativa: le ultime sedute di Giunta, ricordano i suoi familiari, si tengono intorno al suo letto di malato.
Muore il 19 settembre del 1950.
Grande è il rimpianto per la sua scomparsa. Ne sono prova i tanti telegrammi di condoglianze inviati da autorevoli personalità: il ministro La Malfa, l’on.Giordani, il Provveditore agli Studi Mestica, l’ing. Capo del Genio Civile Frati, il presidente della provincia di Roma Finocchiaro Aprile, per citarne solo alcuni.
La Giunta comunale dette annuncio della sua morte con un manifesto in cui tra l’altro era scritto: “Per il bene di Tivoli, per la tutela degli interessi cittadini, Egli è stato sempre sollecito e la sua attività non ha conosciuto soste neppure di fronte a difficoltà gravi che spesso ha dovuto superare con sacrifici personali”.
La città avvertì il vuoto lasciato dal suo sindaco, una persona schietta, con una severa concezione della vita, animato da alti ideali, che dai pubblici incarichi aveva voluto guadagnare soltanto, come scrisse una volta, “spirituale ricompensa nella comprensione del popolo”.
Al passaggio per le vie cittadine del lungo corteo funebre, formato dai familiari, da amministratori, alunni delle scuole , rappresentanze politiche, assistevano fitte ali di cittadini silenziosi e partecipi.
I negozi sospendevano la loro attività e abbassavano le serrande.
Il saluto alla salma fu dato all’inizio di via Empolitana, allora via Francesco Bulgarini, da Fioravante Lollobrigida, vice-sindaco, per l’Amministrazione comunale, da Angelo Tomasini per l’amministrazione del civico ospedale e dal segretario della sezione del Partito Repubblicano.
Ignazio Missoni entrava a far parte del patrimonio morale e civile della nostra città.
Pubblicato il 4 Maggio 2015 – Tivoli