Equità e qualità del sistema scolastico in Italia. I dati dell’OCSE.

 

 

Nel mondo occidentale le classi dirigenti stanno diventando sempre più espressione di pochi centri accademici di élite (la Yale University negli Stati Uniti, l’Eton College in Gran Bretagna, la Ecole Nationale d’Administration in Francia). Classi dirigenti così costituite non esprimono la complessa articolazione della società civile, tendono a rimanere estranee ai problemi reali dei cittadini, non ne comprendono né le ragioni né i bisogni sottostanti, si avvitano in meccanismi autoreferenziali. L’antidoto non può essere che quello di una scuola pubblica che torni ad essere equa e di qualità.

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Anche nella scuola, come in ogni settore di intervento dello Stato, si pone la questione di coniugare l’oggetto di attività (in questo caso l’istruzione e l’educazione) con il principio di uguaglianza. Il nesso è rappresentato dal concetto di giustizia al quale si intende informarsi e a cui consegue il criterio da utilizzare: parità di accesso, di apprendimento, di risorse. Se il concetto di giustizia è di tipo equitativo il principio di uguaglianza viene relativizzato e la questione centrale diventa la distinzione tra forme illegittime e forme accettabili di disuguaglianza.

Il principio di uguaglianza deve inoltre essere coniugato con quello della  qualità del processo di educazione, nel cui ambito l’Italia occupa ancora una delle ultime posizioni sia nell’ambito OCSE che nel gruppo dell’Unione Europea1. Nell’anno 2011 solo il 15% degli italiani di età compresa tra 25 e 64 anni avevano conseguito un’istruzione di livello universitario, a fronte del 31% dei paesi OCSE e del 28% dell’Unione Europea (34 posizione su 36). Ed il trend non è nemmeno favorevole se si guarda all’attuale tasso di ingresso all’università. Infatti la percentuale di giovani che si iscrivono all’università è aumentato dal 39% del 2000 al 50% del 2002 e al 56% del 2006 per poi crollare al 48% nell’anno 2011, a fronte di un dato medio che è pari al 60% nell’OCSE e al 59% nella UE. Differenze sensibili, sebbene meno ampie, si rilevano anche negli gradi inferiori di istruzione nell’ambito dei quali l’Italia comunque si colloca nella metà peggiore della graduatoria OCSE.

Sul piano della qualità del sistema scolastico, molto interessante risulta l’ultimo studio PISA2 (Programme for international student assesment)  promosso dall’OCSE nel 2009 e condotto in Italia dall’Istituto Invalsi3. Sotto il profilo delle abilità di base, il nostro paese si colloca complessivamente nella seconda metà della graduatoria OCSE  (Figura 1).

01. Abilità di base. Collocazione ItaliaLo studio analizza vari aspetti della formazione degli studenti quindicenni, il più importante dei quali è costituito dalla capacità di leggere, comprendere ed utilizzare praticamente un testo. Misurato in termini il rendimento degli studenti, l’Italia si attesta al di sotto della media OCSE (Figura 2) con ampie e significative le variazioni geografiche.

02b Lettura. Collocazione ItaliaIl rendimento degli studenti quindicenni è nel Nord Ovest e nel Nord Est superiore a quello registrato nel centro e, in misura ancora maggiore, a quello rilevato nel Sud e nelle Isole (Figura 3). Rispetto alla media OCSE, il rendimento è appena superiore negli studenti del Nord, appena inferiore in quelli del Centro, significativamente più basso in quelli del Sud e Isole. Altrettanto vistose le differenze per tipo di scuola con i licei collocati ben al di sopra della media OCSE , gli istituti tecnici appena al di sotto, quelli professionali molto al di sotto. Il divario tra licei e istituti tecnici appare notevole (Figura 4) e questo avviene in tutte le Regioni italiane. Approssimativamente gli stessi risultati si ottengono nel rendimento in matematica e scienze, sia per ciò che riguarda le differenze geografiche che il tipo di scuola.

03 Lettura. Distribuzione geograficaUn aspetto ulteriore indagato dallo studio è il peso della condizione socio-economica della famiglia sul rendimento degli studenti. Nel 2009, nell’ambito della lettura, l’influenza dello status familiare in Italia rendeva conto del 43,5% delle differenze di rendimento rilevate tra i diversi tipi di istituto, un valore inferiore alla media OCSE ma molto incrementato rispetto all’anno 2006 quando esso si attestava al 27,6%.

I dati OCSE dunque documentano un problema di equità e di qualità del sistema scolastico italiano. In tutta evidenza la questione dell’equità non può prescindere dalla necessità di ampliare quantitativamente e migliorare qualitativamente il quadro dell’istruzione in Italia. Non ha nessun senso perseguire l’equità su un livello di educazione che sia scarso e inadeguato. E’ altresì vero che tale processo non può essere indifferenziato ma deve tenere conto degli squilibri importanti che caratterizzano il sistema scolastico italiano proprio sotto il profilo dell’equità. E da questo punto di vista i dati dell’OCSE possono essere di grande aiuto.

Una ristrutturazione profonda del sistema scolastico diventa ineludibile se si intende contrastare l’emergere di nuove oligarchie formatesi nelle scuole di élite cui si accede non per merito ma in virtù di un approccio “olistico” che, come di recente è stato precisato dalla stessa Università di Yale, guarda “ai risultati accademici, alla leadership, alle referenze, al carattere, alle esperienze di lavoro”4,5. Proprio l’approccio olistico, così inteso, maschera i privilegi di coloro che per ragioni di censo e di ceto hanno potuto maturare un preciso profilo di leadership, referenze ed esperienze.

Questa tendenza autoreferenziale delle scuole di élite si è accentuata non solo negli Stati Uniti ma nella stessa Europa proprio probabilmente in conseguenza delle sempre maggiori difficoltà del sistema scolastico generale. E l’autoreferenzialità si riversa per via naturale sul processo di formazione della classe dirigente sempre meno plurale e sempre più omogenea in quanto selezionata da pochissimi centri (la Yale University negli Stati Uniti, l’Eton College in Gran Bretagna, la Ecole Nationale d’Administration in Francia).

Molteplici gli aspetti negativi del fenomeno che possono essere riassunti nell’affermarsi di una classe dirigente non selezionata con criteri meritocratici, non rappresentativa della società civile, che non comprende e non recepisce i problemi reali dei cittadini. Una classe dirigente autoreferenziale in quanto insensibile ai problemi ed estranea alla società civile.  Così Federico Rampini, citando il testo “Perché le nazioni falliscono” di Acemoglu e Robinson6, riassume la problematica: “Il declino colpisce quelle nazioni che si trasformano da “società inclusive” a “società estrattive”. Ovvero, quando diventano oligarchiche, governate da élite che si auto-perpetuano.

 

CDL, Tivoli, 4 Novembre 2013

 

1. OECD (2013). Uno sguardo sull’istruzione 2013. Scheda Italia.

2. OECD (2012). Equity and Quality in Education: Supporting Disadvantaged Students and Schools, OECD Publishing.

3. Invalsi (2011). Le competenze in lettura, matematica e scienze degli studenti quindicenni italiani. Rapporto nazionale PISA 2009.

4. Rampini Federico. Le fabbriche delle élite /1. La Repubblica, 14 maggio 2013.

5. Franceschini Enrico. Le fabbriche delle élite /2. La Repubblica, 14 maggio 2013.

6. Rampini Federico, cit.

 

 

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