A proposito del Prete Gianni

 

 

Ad integrazione della nota “La leggenda del Prete Gianni”, pubblicata su Il Sestante in data 6 Gennaio 2018, si riporta la ricostruzione di Umberto Eco sulle origini del mito (testo pubblicato in: Storia delle terre e dei luoghi leggendari”, Milano, Bompiani, 2016, pp 104-109).

«Come nasce, a cosa mirava la lettera del Prete Gianni? Forse era un documento di propaganda antibizantina, prodotto negli scriptoria di Federico I (dato che usa espressioni abbastanza dispregiative nei confronti dell’imperatore d’Oriente), o una delle esercitazioni retoriche che tanto piacevano ai dotti dell’epoca, cui poco importava se ciò che davano per vero fosse davvero tale. Ma il problema non è tanto quello della sua origine, bensì quello della sua ricezione. Attraverso il fantasticare geografico si è via via rafforzato un progetto politico. In altre parole, il fantasma evocato da qualche scriba fantasioso ha agito come alibi per l’espansione del mondo cristiano verso Africa e Asia, amichevole sostegno del fardello dell’uomo bianco. Quello che ha contribuito alla sua fortuna era stata la descrizione di una terra abitata da esseri mostruosi di ogni sorta, ricca di materiali preziosi, splendidi palazzi e altri prodigi, di cui possono dare un’idea i brani che pubblichiamo in antologia. Chiunque abbia scritto la lettera era al corrente di tutta la letteratura antica sulle meraviglie dell’Oriente e aveva saputo sfruttare con abilità retorica e narrativa una tradizione leggendaria che aveva più di mille e cinquecento anni di vita. Ma soprattutto scriveva per un pubblico per il quale l’Oriente affascinava in particolare per le ricchezze inaudite che custodiva, miraggio di abbondanza agli occhi di un mondo dominato in gran parte dalla povertà.

Figura 1. Copertina del libro: Umberto Eco, Baudolino, Milano, Bompiani, 2000. L’uomo-aquila che campeggia in primo piano è una rielaborazione di una miniatura tratta dalla edizione del 1338 del Roman d’Alexandre.
Figura 1. Copertina del libro: Umberto Eco, Baudolino, Milano, Bompiani, 2000. L’uomo-aquila che campeggia in primo piano è una rielaborazione di una miniatura tratta dalla edizione del 1338 del Roman d’Alexandre.

Era del tutto falsa la lettera del Prete? Certamente riuniva tutti gli stereotipi sul favoloso Oriente ma diceva qualcosa di vero circa l’esistenza, se non di un regno, di molte comunità cristiane tra Medio Oriente e Asia. Si trattava delle comunità nestoriane.

I nestoriani aderivano alla dottrina di Nestorio, patriarca di Costantinopoli (ca. 381-451), che sosteneva che in Gesù Cristo convivevano due distinte persone, l’Uomo e il Dio e che Maria era madre solo della persona umana, rifiutandole pertanto il titolo di Madre di Dio (1). La dottrina era stata condannata come eretica ma la chiesa nestoriana aveva avuto una grande diffusione in Asia, dalla Persia al Malabar e alla Cina.

Come vedremo, quando i grandi viaggiatori medievali si spingeranno sino alla Mongolia e al Catai, nel corso del loro viaggio sentiranno parlare dalle popolazioni locali di un Prete Gianni. Di sicuro quei popoli lontani non avevano mai letto la lettera del Prete, ma certamente quella del Prete Gianni era come minimo una leggenda che circolava presso le comunità nestoriane che, a sostegno della loro identità, vantavano quella discendenza come titolo di nobiltà, per manifestare i l loro orgoglio di cristiani in terra pagana.

Ultimo elemento di fascino della lettera era che Gianni si proclamava come Rex et Sacerdos, re e sacerdote. La fusione di regalità e sacerdozio è fondamentale nella tradizione giudaico-cristiana, che si rifà alla figura di Melchisedec, re di Salem e sacerdote dell’Altissimo, a cui lo stesso Abramo rende omaggio…

Chi ha scritto la lettera del Prete aveva anche presente questa idea di una regalità sacerdotale e di un sacerdozio regale – e ciò spiega perché questo lontano imperatore fosse indicato come Presbyter o Prete.

Del Prete Gianni parlano, sia pure in modo vago e riferendo notizie apprese nel corso del loro itinerario, anche i primi viaggiatori che effettivamente si erano spinti verso l’Oriente e avevano steso una relazione del loro viaggio.

Giovanni Pian del Carpine compie il suo viaggio nel 1245 verso l’impero mongolo (attraverso la Polonia e poi la Russia) e nella sua Storia dei mongoli racconta come Cinghiscan mandò un figlio a conquistare l’India Minore, dove gli abitanti erano Sarraceni di pelle scura, chiamati Etiopi. Ma poi si era mosso verso l’India Maggiore, dove era stato contrastato dal re di quella terra, “comunemente chiamato Prete Gianni” che aveva fabbricato dei fantocci di rame con del fuoco all’interno e li aveva posti a cavallo sistemando alle loro spalle uomini forniti di mantici. E scontratisi col nemico, i suoi uomini avevano soffiato nei mantici così che i cavalli avversari erano stati bruciati dal fuoco greco (V, 12).

Figura 2. Il Regno del Prete Gianni collocato in Africa. Riproduzione della mappa di Abraham Ortelius tratta dal Theatrum Orbis Terrarum (1570). Immagine tratta dal sito Barry Lawrence Riuderman antique maps.
Figura 2. Il Regno del Prete Gianni collocato in Africa. Riproduzione della mappa di Abraham Ortelius tratta dal Theatrum Orbis Terrarum (1570). Immagine tratta dal sito Barry Lawrence Riuderman antique maps.

Gugliemo di Rubruk compie il suo Viaggio in Mongolia nel 1253 e si dimostra sovente alquanto scettico circa le leggende che ascolta (“mi hanno raccontato anche che oltre il Catai c’è una regione in cui non s’invecchia […] mi hanno assicurato che è vero, ma io non ci credo”, XXIX, 49). Anche lui sente parlare di un re Giovanni nestoriano che signoreggiava sul popolo dei Naiman, e suppone che si raccontino su di lui “cose dieci volte più grandi della verità”, perché è tipico dei nestoriani (dice) montare dicerie sensazionali partendo dal nulla. Infine ammette di essere passato per le sue terre “ma di lui nessuno sapeva niente, tranne qualche nestoriano” (XVII, 2). E alla stessa tradizione ha probabilmente attinto anche Marco Polo che visita l’Oriente sino alla Cina tra 1271 e 1310 e parla in almeno due capitoli del Milione del Prete Gianni. Non si vanta di essere entrato nel suo regno, e riferisce storie apprese durante il suo viaggio. Parlando di Tenduc, dice che in questa provincia verso levante, soggetta ormai al dominio del Gran Khan, regnano i discendenti del Prete Gianni. E delle battaglie di questi discendenti si limita a parlare. Quindi il Prete Gianni è per lui notizia appartenente al passato.

Sarà scettico anche Odorico da Pordenone che compie il suo viaggio nel 1330 e nel suo Sulle cose sconosciute annota: “Come partimmo dal Catai andando verso ponente […] navigammo circa un mese, e giungemmo nelle contrade del Prete Gianni, che non sono affatto quello che se ne dice. La città principale è Cossaio, ed è una terra piccola e disordinata; e quello che rende noto questo Prete Gianni è che sempre si apparenta col gran Cane, e prende per moglie una delle sue figlie. Per quel che ho capito, non era cosa di gran rilievo, per cui ci siamo fermati laggiù per poco.”

Tuttavia la persistenza della leggenda nelle terre asiatiche ci dice che la lettera del Prete Gianni, per falsa che fosse, aveva attinto a qualche notizia esotica e testimoniava di tradizioni orientali ancora ignote all’Occidente. Per il resto si potrebbe pensare che chi effettivamente aveva visitato quelle terre di cui prima si era solo favoleggiato rendesse fedele testimonianza di ciò che realmente vedeva e non di quello che avrebbe desiderato vedere. Ma anche questi viaggiatori attendibili non riuscivano spesso a sottrarsi all’influenza delle leggende di cui erano a conoscenza prima di partire».

 

CDL, 30 Gennaio 2019.  Pubblicato su Il Sestante il 1 Febbraio 2019

 

  1. Molte schematicamente, nell’interpretazione della Chiesa di Roma la figura di Gesù era una sola Persona nella quale si univano la natura umana ed una divina. Almeno tre le eresie cristologiche più importanti. L’Arianesimo affermava la natura esclusivamente umana di Gesù. Il Monofisismo ne asseriva la natura esclusivamente divina. Dal Monofisismo scaturì una variante attenuata, il Miafisismo che si radicò particolarmente in Egitto costituendo la base teologica della Chiesa copta autocefala e che ammetteva la fusione delle due persone in una sola natura che rimaneva però composita. Il Nestorianesimo, infine, sosteneva la duplice natura negando però la fusione ed affermando che in Cristo convivevano non due nature ma due persone, l’una umana e l’altra divina.