La “Resurrezione di Lazzaro” è uno dei quadri più singolari del Caravaggio nel quale egli dà un’interpretazione personale e originale del miracolo raccontato nel Vangelo di Giovanni (e solo in questo). Come osservato da Tomaso Montanari (1) “il miracolo non è rappresentato dal punto di vista del Cristo, e dei vivi, ma di Lazzaro, e dunque dei morti: era forse la prima volta che accadeva. Il Signore stende la sua mano, quasi a voler tirare dei fili invisibili che traggono il corpo dell’amico, rigido come una marionetta, fuori dal sepolcro. Ed è invincibile la sensazione che Lazzaro non voglia: che la sua natura, cioè, si opponga disperatamente a questa innaturale irruzione di un potere sovrumano, che il morto resista a questa fatica inutile: tornare in vita per poi, inevitabilmente, morire di nuovo. Forse per questo Gesù aveva pianto: per la violenza che avrebbe dovuto fare a Lazzaro, che ormai dormiva in pace . La stessa che dovrà fare a se stesso, di li a poco, accettando il calice della passione e della morte. Un Caravaggio nero, che diffida di miracoli e di resurrezioni. Un Caravaggio ostinatamente umano”. Si può aggiungere che ad immettere drammaticità nel dipinto di Caravaggio è proprio la raffigurazione di un Lazzaro ancora morto e non già risorto come accade nella generalità delle rappresentazioni iconografiche del miracolo.
(1) Tomaso Montanari. C’è Lazzaro ma Caravaggio diffida dei miracoli. Il Venerdì di Repubblica, 16 Febbario 2018, p. 93.
CDL, 5 Ottobre 2018. Pubblicato su Il Sestante il 25 Febbraio 2018.
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1609, Museo Regionale, Messina.