Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino e si esaurisce l’onda lunga della grande tradizione dell’impero romano. Questo sostiene Silvia Ronchey, studiosa del mondo bizantino e osservatrice attenta dei fenomeni contemporanei, in un articolo pubblicato qualche tempo fa su Robinson di Repubblica1. L’idea di fondo è che la grande tradizione romana, sia giuridica che soprattutto civile, ereditata e coltivata per lungo tempo a Bisanzio sia stata recepita nell’impero turco quando gli ottomani conquistano Costantinopoli e poi trasmessa alla Russia zarista. Di questa continuità erano consapevoli i sultani turchi che mutuarono da Bisanzio le strutture amministrative e giuridiche e che non a caso, fra i loro titoli, conservarono sino alla fine quello di imperatore di Roma (Rum). In Russia, sin dalla caduta di Costantinopoli del 1453, era nata l’idea di Mosca come Terza Roma sebbene sia stato Ivan IV detto il Terribile, nel 1561, ad assumere per primo il titolo di zar (da czar, “Cesare”). Ma in che modo la tradizione dell’antica Roma poteva tramandarsi? Essenzialmente nel suo aspetto civile preponderante, quello che ne rappresentava la base universalistica: la capacità di integrare i popoli dell’impero a prescindere dalle differenze di qualunque genere, tanto più se religiose. L’Unione Sovietica, in una versione atea, pure fu guidata da una visione imperiale multietnica e universalistica che in qualche modo si ricollegava a quella zarista e quindi a quella bizantina, di cui Stalin era un cultore.
Per questo, con una forzatura intenzionale funzionale all’apertura di una discussione, si potrebbe sostenere che il crollo del muro di Berlino sancì la fine definitiva della tradizione romana. Da allora, secondo Silvia Ronchey, nel mondo hanno ripreso a soffiare potentemente i venti nazionalistici e gli integralismi religiosi, dallo scontro di civiltà tra un Oriente islamico e un Occidente cristiano alla costruzione di autarchie nelle quali il fattore religioso gioca un ruolo decisivo. E’ il caso della Russia ortodossa di Putin e della Turchia islamica di Erdogan e, si potrebbe aggiungere, anche della Polonia ultra-cristiana di Kaczynski. Ma tutti i territori che erano stati soggetti agli imperi multietnici, compresi quelli oggi governati sottoforma di democrazie liberali, sono fortemente scossi da pulsioni nazionalistiche e/o integralistiche, magari mascherate da sovranismo.
Le osservazioni della Ronchey hanno alcuni elementi di coerenza con l’analisi proposta da Dan Diner2, il quale pure riconosce nella caduta del muro di Berlino l’evento epocale che ha determinato il risorgere in Europa dei nazionalismi in precedenza messi a tacere dalle necessità della guerra fredda. Infatti, con il crollo del comunismo sono potuti riemergere i vecchi fantasmi nazionalistici che covavano sotto la cenere. In Europa, con il passare degli anni sono riemersi il trauma della fine dell’impero britannico, i lutti della guerra civile spagnola e la mitologia della Polonia della cristianità che hanno prodotto, rispettivamente, la Brexit, la riaccensione dell’indipendentismo catalano ed il sovranismo polacco.
CDL, 1 ottobre 2020. Pubblicato su Il Sestante il 31 Dicembre 2018.
- Sivia Ronchey. La vera caduta dell’impero romano. Robinson, La Repubbica, 2 novembre 2019, p. 20.
- Dan Diner, colloquio con Wlodek Goldkorn. La Storia e l’arte della manutenzione della memoria. L’Espresso, n. 44, 27 ottobre 2019, pp. 62-67.