Sherlock Holmes muore nel 1883 precipitando nelle cascate di Reichenbach sulle Alpi svizzere mentre lotta con il suo acerrimo nemico, il professor Moriarty. Lo sconcerto tra i lettori di Conan Doyle fu enorme. Si dice che persino la madre gli avesse tolto il saluto e non gli rivolgesse più la parola. Alla fine, diversi anni dopo, nel 1903, lo scrittore britannico si convinse a far rivivere il suo ingombrante personaggio.
Due anni prima di Sherlock Holmes era morto, e poi risorto, il Pinocchio di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini. Una storia poco nota e per certi aspetti difficilmente intellegibile. Nel 1881, con il titolo “La storia di un burattino”, viene pubblicata a puntate la prima versione di Pinocchio su una rivista rivolta ad un pubblico infantile, il “Giornale per i bambini”. Nell’ultima puntata, quella apparsa il 27 ottobre 1881, Pinocchio muore impiccato alla grande quercia per mano di due lugubri assassini e dopo un lungo e angoscioso inseguimento1.
Ma il successo riscosso dal racconto e l’insistenza dei redattori della rivista, consigliarono Collodi a riprendere e sviluppare la storia, la cui pubblicazione ricomincia nel febbraio 1882. Così furono aggiunti ulteriori capitoli e la favola termina con il lieto fine che conosciamo. Senza questa decisione mancherebbero nella storia di Pinocchio l’incontro con la Fata Turchina, la trasmutazione umana e tutte le avventure suggestive che seguono l’incontro con il Gatto e la Volpe, da quella nel paese dei Balocchi alla vicenda della Balena.
Ma perché Collodi fece morire il suo burattino? Sotto il profilo strettamente letterario, Italo Calvino ebbe a dire che Pinocchio è forse l’unico romanzo italiano attribuibile al romanticismo nero e fantastico. Accostabile in una certa misura alla grande tradizione di Edgar Allan Poe e di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann2. Un racconto del terrore e un lungo incubo notturno che trovano la massima espressività in questa prima versione che si conclude con la orrida agonia di Pinocchio, rimasto a penzolare per ore appeso alla quercia.
Questa la conclusione: «Intanto s’era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato, facendolo dondolare screanzatamente come il battaglio d’una campana che suona a festa. E quel dondolio gli cagionava acutissimi spasimi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre più alla gola, gli toglieva il respiro. A poco a poco gli occhi gli si appannavano; e sebbene sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava sempre che da un momento a un altro sarebbe capitata qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando, aspetta aspetta, vide che non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente il suo povero babbo. – Oh babbo mio! se tu fossi qui! – E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito».
Molto si potrebbe discutere anche su quell’invocazione rivolta al padre che ricorda la supplica del Cristo sulla croce. Ma si torni al quesito iniziale: perché Collodi fece morire il suo burattino? Indubbiamente nella prima stesura pesa in maniera preponderante l’impostazione didattica e la necessità di mostrare anche drammaticamente che l’errore grave e consapevole porta sempre alla perdizione. E forse Collodi trasfigura nella favola anche un certo approccio morale che gli viene dall’aver vissuto una vita contraddittoria e condotta su estremi opposti, dalla deriva solipsistica dell’età giovanile alla grande tensione civile e politica che animò lo scrittore per il resto della sua vita. E’ noto che Collodi da giovane non disdegnò il gioco e l’alcool ma è altresì nota la sua partecipazione volontaria alla prima e alla seconda guerra d’indipendenza e la costante fedele adesione agli ideali patriottici. Ecco, forse nella tensione morale e nello spirito ideale, va ricercata la vera storia di Pinocchio.
CDL, 1 agosto 2020. Pubblicato su Il Sestante in data 7 aprile 2020.
- Di recente il testo della prima versione è stato ristampato in: Carlo Collodi. Pinocchio, la storia di un burattino. La prima oscura edizione, illustrata da Simone Stuto, a cura di Salvatore Ferlita. Palermo, Il Palindromo, 2019.
- Le riflessioni di Calvino sono riportate nella splendida appendice di Salvatore Ferlita, intitolata “Il Pinocchio rimosso”, che arricchisce la ristampa della prima edizione dell’opera (si veda citazione precedente). Le riflessioni di Calvino furono espresse su Repubblica il 19 e 20 aprile 1981 in occasione del centenario dell’opera.