Questa non è la storia di un’amicizia, ma uno di quei miracoli d’amore che le strane traiettorie della vita distillano in chimiche di raro incontro. Possono sembrare stramberie sognanti quasi mosse da una disinvoltura eccentrica, mentre lentamente, nel ricamo dei giorni, finiscono per diventare le lunghe arterie di un avvento, i fiati di un bisogno reciproco, di un’unica cadenza di respiro. Un cane e un uomo si incontrano d’improvviso, non si lasceranno mai più. Febo arriva nella vita di Curzio Malaparte una mattina, mentre lo scrittore passeggia lungo la spiaggia di Marina Corta, a Lipari, dove deve scontare il suo periodo d’esilio per ragioni politiche. Vede questa bestiola affamata, stanca; la cura, la alleva, la prende con sè. Come due arti feriti si ricuciono pian piano sotto il lento mondo delle pazienze, così quei due capiranno presto che sono destinati l’uno all’altro. Febo annullerà quel senso di incomprensione, di estraneità a se stesso di cui Malaparte soffre nella sua condizione, e riceverà in cambio un rispetto da parte dell’autore che nessun’altra relazione potrà mai pareggiare. Iniziando a scriverne alcuni anni dopo, in quel deposito d’affetto e grondante riconoscenza, egli dirà quasi scusandosi: “Poiché è molto più difficile, per ragioni varie e non tutte pacifiche, scrivere la storia di un uomo che di un animale, nessuno arrischierà di rimproverarmi se imprendo a scrivere la storia del mio cane, Febo”. Ma aggiungendo subito dopo un richiamo al lettore, come preso da un rifiuto severo di fronte a un tempo sociale di non grandi promesse o positività all’intorno: “Perchè, quando manchino uomini su cui posare gli occhi, gli italiani di tutto si fan personaggi storici; e gli alberi, un pezzo di legno, un monte, un fiume, prendono forma e sostanza di eroi, persone, uomini esemplari”. Un diario che è un dialogo silente di gesti, di compagnia meravigliosa, di mosse e di sguardi, il catalogo di un rapporto nato e agitato da un codice di influssi reciproci, dalla sete di un incontro che nessuna solitudine potrà mai surrogare, qualcosa che è dicibile solo a caldi abbracci e che l’assenza investirà nei fasti della vera letteratura. Ogni passaggio è centellinato come con occhi di pastello che scrutano al microscopio dei giorni. Dai primi approcci alla tenerezze parziali, dal passo comune alla fiducia totale, fino a un dono reciproco dove l’essenza di Febo sale i gradini della difficile personalità dell’amico e l’anima di Curzio rapisce, fiuta e tocca l’intima e saggia semplicità di un fratello. Il senso affiora da solo nel contatto, nel respiro che è confronto e sussurro, e che genera dipendenza e amore oltre le rozze divisioni fra chi porta e chi è portato, annullandole. “L’uomo pensa, il cane sente”, scriverà Malaparte, come in un’elegia mai stanca nella quale la conoscenza è perfetta; Febo ama il sole, “questo giallo pane appena sfornato”, ed è il cielo di una Lipari selvaggia e calda che attornia le due vite come alleato e padre nella sua luce primigenia. Ma arriverà anche il momento di salutarsi. Spezzano l’anima le parole che lo scrittore dedica alla creatura quando questa è in punto di morte: “Era disteso sul dorso, il ventre aperto, una sonda immersa nel fegato. Mi guardava fisso e aveva negli occhi una meravigliosa dolcezza. Non mandava un gemito, respirava lievemente, con la bocca socchiusa, scosso da un tremito orribile. Io vidi Cristo in lui, Cristo crocifisso. “Febo” dissi a voce bassa curvandomi su di lui e accarezzandogli la fronte, e Febo mi baciò la mano. Il medico si avvicinò e mi toccò il braccio: “Non potrei interrompere l’esperienza….è proibito…ma per voi gli farò una puntura…Non soffrirà.”
Sovrana storia d’amore, un’intesa assoluta, impari, un toccante poema in prosa dove la gratitudine alza le sue mani e le sue zampe a carezze d’eterno. Del resto, come Malaparte confesserà senza tremori o esitazioni, con quella rabbiosa sincerità che solo il vero amore conosce: “Non ho mai voluto tanto bene a una donna, a un fratello, a un amico, quanto a Febo. Febo era un cane come me”.
(C. Malaparte – Febo cane metafisico, Ed. Via del Vento, 2015)
Cristiano Cant, 14 maggio 2020, pubblicato su Il Sestante il 29 dicembre 2018.