Mitologia neo-borbonica e vacuità politica

 

 

Di recente Francesco Benigno e Carmine Pinto, due storici che si collocano a pieno titolo nell’alveo del meridionalismo italiano, hanno voluto ricostruire la parabola del revisionismo neo-borbonico sotto il profilo della sua collocazione all’interno del dibattito pubblico ed oltre quella che è stata la discussione propriamente scientifica1. Molti gli spunti suggestivi che ne sono scaturiti. Di grande interesse è sembrato il passaggio che colloca la rinascita della retorica revisionista pseudo-meridionalistica in uno dei momenti di maggiore crisi politica e culturale del Paese, quando il crollo della prima Repubblica determina l’avvento di nuovi partiti caratterizzati da una cultura politica non definita2. Ma per comprendere a pieno questo aspetto del dibattito pubblico occorre riepilogare, sia pure per sommi capi, quanto accaduto in precedenza3.

Pulcinella irride un funzionario borbonico in vista dell’arrivo di Garibaldi, 1860 ca.

 

Propaganda e dibattito pubblico

Nel periodo immediatamente successivo al 1861 nasce un borbonismo politico che cerca di accreditarsi ricorrendo ad una narrazione basata su tre elementi portanti: la rievocazione favolistica di un Regno ricco e felice che i dominatori italiani hanno depredato e ridotto in schiavitù;  il cospirazionismo che attribuiva la sconfitta all’intervento di fattori esterni come la massoneria internazionale, l’interesse dell’impero inglese e la violenza degli invasori oltre che naturalmente alla complicità dei traditori interni; la opposizione sociale e la resistenza militare ad opera di un esercito costituito da briganti, popolani e soldati sconfitti, ambedue represse attraverso rappresaglie e stragi inenarrabili. Sostengono questa narrazione i settori più militanti della Chiesa, che già avevano espresso in passato un feroce sanfedismo, e una parte dei funzionari del Regno. Nessuna analisi viene compiuta sull’isolamento della monarchia borbonica che ne aveva provocato lo schianto improvviso sotto l’attacco garibaldino. Queste tematiche pertanto si esauriranno, senza aver mai generato un progetto culturale e politico credibile, con la scomparsa dei protagonisti dell’epoca.

Ben oltre le pulsioni legittimiste, la questione del Mezzogiorno, della sua arretratezza e della necessità di una modernizzazione, si pone all’indomani della stessa Unità d’Italia e viene affrontata con nuova forza nel secondo dopoguerra da parte di studiosi di diversa estrazione culturale che hanno però in comune un approccio complesso ed identificabile con una visione nazionale del problema meridionale. Questa concezione travalica i confini del mondo intellettuale per permeare e trascinare su questa strada anche la politica nazionale. Infatti, nel secondo dopoguerra le classi dirigenti del Paese affrontano decisamente il problema, sebbene con risultati controversi e strategie molto dispendiose, dalla istituzione della Cassa del Mezzogiorno agli investimenti industriali di grandi proporzioni passando attraverso una pluralità di ulteriori interventi. Per completezza occorre precisare che la politica allenterà la presa sui territori verso la metà degli anni ’70 consentendo ai potentati periferici di gestire in modo spesso disinvolto le dinamiche locali in cambio di voti alle elezioni nazionali. E questo, se al Nord significherà una maggiore diffusione dell’economia sommersa, al Sud comporterà il rafforzamento ulteriore di una malavita organizzata già endemica. Ma questo è un altro discorso, cui si accenna solo per completare il quadro delle responsabilità sul problema del Mezzogiorno. Ed anche per spiegare quello che accadrà successivamente quando l’avvento del leghismo rappresenterà la spinta ultima all’abbandono del Sud. Senza trascurare i rischi futuri che questa politica potrà generare nel governo dei territori meridionali.

Nel secondo dopoguerra diversi saranno i prodromi revisionisti, dalla narrazione romanzesca all’emergere definitivo di una nuova figura letteraria, quella del brigante antagonista sociale che si sostituisce a quella dell’oppositore politico inventata negli ambienti legittimisti, che pure ebbe una certa risonanza popolare e non solo a livello folkloristico. Tuttavia questi nuovi spunti non riusciranno mai a invertire la direzione impressa dal meridionalismo e tantomeno a soppiantarlo almeno sino alla crisi della prima Repubblica. Infatti, rispetto al meridionalismo, la vera cesura culturale si ha solo nei primi anni ’90 del Novecento quando la crisi dei partiti tradizionali (e invariabilmente “meridionalisti”) si sposa con l’emergere di un movimento regionalista, la Lega Nord, che si caratterizza per una polemica violentemente anti-meridionale oltreché anti-unitaria. La Lega, non solo nel corso delle fasi trascorse al governo, riuscirà ad imporre la sua agenda politica e ad affermare un micro-nazionalismo da cui scaturirà una legislazione “federalista” che per diversi aspetti ha rimesso in discussione la coesione nazionale. Dalla riforma del titolo V della Costituzione approvata nel 2001 dal centrosinistra alla modifica del finanziamento del fondo sanitario nazionale approvata nel 2011 dal governo Berlusconi. E non è finita visto che ancora oggi si continua a parlare dell’autonomia fiscale differenziata di tre regioni del Nord.

E’ in questo clima che si verifica la rottura della continuità culturale meridionalista. Il divario Nord-Sud sino ad allora era stato interpretato come espressione dell’incapacità della politica a porvi rimedio. In quegli anni invece diventa l’effetto stesso del processo di unificazione del Paese. Di conseguenza la questione meridionale non può trovare una composizione nel contesto nazionale ma necessariamente al di fuori di esso. Perché il mito neo-borbonico possa essere sostenuto è necessario creare un nuovo immaginario popolare ed inventare un eldorado, una mitica età dell’oro del Mezzogiorno, fatto di primati e ricchezze che i conquistatori avrebbero depredato. Questo pensiero ancorché debole, perché non suffragato da nessun dato di fatto4, riesce comunque a diffondersi in virtù del vuoto culturale e politico lasciato dai partiti tradizionali che, peraltro, già da tempo avevano compiuto un passo indietro nel governo dei territori periferici. I nuovi partiti hanno riferimenti ostili al Sud (la Lega) o non hanno nessuna caratura culturale per potersi opporre (Forza Italia).

Il contesto politico che si viene a creare nei primi anni ’90 dunque favorisce la nascita di un sudismo nostalgico e dal carattere rivendicazionista, sebbene niente affatto fondato sul piano storico, come sostengono gli studiosi più autorevoli. Tra questi Giuseppe Galasso e Paolo Macry, storici di fama e meridionalisti appassionati5,6. La grandissima parte degli studiosi, storici, economisti, scienziati sociali, concordava e tuttora concorda sul fatto che il Regno borbonico fosse uno stato gravemente arretrato sul piano politico, istituzionale, economico e sociale.  E che la massa dei diseredati fosse veramente imponente. Questo spiega anche il carattere un po’ straccione del revisionismo neo-borbonico molto povero di contenuti e male argomentato. Una situazione che nulla ha a che vedere con altre realtà come la Catalogna o la Scozia dove la rivendicazione regionalista gode del sostegno di ampia parte del ceto intellettuale. E non a caso in queste aree l’istanza indipendentistica si avvicina alla maggioranza dei consensi (e forse oggi li supera) mentre nel Mezzogiorno d’Italia il revisionismo neo-borbonico è fermo ancora alle manifestazioni folkloristiche.

Stampa satirica (allegoria) acquerellata a mano Un´ alleanza naturale sotto gli augustissimi auspici del cardinal Antonelli tra un brigante e un esponente dei vecchi regimi in funzione anti unitaria, 1861.

 

La vicenda esemplare di Fenestrelle

A proposito della commistione tra dibattito pubblico e storiografia, è esemplare la vicenda di Fenestrelle, la fortezza vicino Torino dove per breve tempo furono reclusi una parte dei prigionieri dell’esercito napoletano in rotta. Nel forte transitarono per poche settimane, nel novembre 1860, 1.186 prigionieri e vi trovarono la morte 5 militi7. Nella vulgata neo-borbonica Fenestrelle fu un campo di sterminio, del tutto assimilabile ai lager nazisti, dove furono fatti morire di fame e di freddo migliaia di uomini che si erano rifiutati di tradire il loro re, Francesco II di Borbone.  Una bufala colossale smentita da diversi storici qualificati. In ultimo Alessandro Barbero che ha voluto dedicare alla questione un intero libro nel quale ricostruisce con abbondanza di fonti la storia dei prigionieri dell’esercito napoletano sconfitto8. Secondo Barbero tutto ha inizio nel 1993 con un articolo di Francesco Maurizio Di Giovine, assicuratore e appassionato di storia, pubblicato su una rivista di orientamento neo-borbonico, “L’Alfiere”9. Il titolo, ”I campi di concentramento”, è intenzionalmente sensazionalistico e decisamente fuorviante. Il tema viene ripreso nel 1995 dal piemontese Roberto Gremmo, politico singolare di ispirazione comunista e autonomista, in un articolo pubblicato sulla rivista “Storia Ribelle”. Con Gremmo si ha un ulteriore salto nel linguaggio perché egli non esita a parlare di lager. Nel 1998, Lorenzo Del Boca, noto giornalista che per anni rivestirà il ruolo di presidente dell’Ordine, pubblica un libro “Maledetti Savoia” per conto di un editore importante, la Piemme. Il testo è infarcito di errori anche clamorosi. San Maurizio, che era un campo di addestramento e non di prigionia, viene definito la Buchenwlad del regno sabaudo. L’anno successivo, nel 1999, Fulvio Izzo, un funzionario del Ministero dell’Istruzione, pubblica per l’editore Controcorrente “I lager dei Savoia. Storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali”. Il libro di Izzo ha la prefazione del magistrato Francesco Mario Agnoli che pure non esita a parlare di gulag e lager e di anticipazione dell’orrore di Pol Pot senza alcun riferimento al contenuto del libro, un po’ più controllato nei toni e più aderente alle fonti sebbene valutate in modo discutibile. In tutti questi testi si fa un uso largo e acritico di fonti spesso di parte e coeve agli eventi, a partire dalla Civiltà Cattolica che rappresenta la rivista di riferimento per molti aspetti. Ma il neo-borbonismo ormai sdoganato inizia a far breccia anche a livello scientifico. Nel 1999 un accademico e storico di professione, Roberto Martucci, pubblica per Sansoni un testo, “L’invenzione dell’Italia unita. 1855-1864”, nel quale le affermazioni più roboanti risultano del tutto gratuite perché non poggiano su nessuna fonte, a partire dalla notazione sui prigionieri napoletani mandati a morire di freddo senza indumenti a Fenestrelle. L’affermazione non è accompagnata da nessuna citazione ma serve a dare il tono generale. Sebbene in chiusura, bontà sua, l’autore dichiari che potrebbe essere solo un leggenda la notizia che nel forte di Fenestrelle vennero smontati i vetri e gli infissi delle finestre proprio per lasciare i prigionieri all’addiaccio. Nel 2000 su “L’Alfiere” compare un altro articolo di Di Giovine nel quale è ribadita la incredibile cifra di migliaia di morti a Fenestrelle ed inoltre si afferma per la prima volta, e senza alcuna documentazione, che la grande vasca che si trova al forte veniva riempita di calce viva per smaltire i cadaveri dei prigionieri deceduti. Queste gravissime affermazioni vengono riprese in un altro libro importante, quello del giornalista Gigi Di Fiore, “I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli”, pubblicato dalla Utet nel 2004, nel quale le affermazioni più importanti, a cominciare dai migliaia di prigionieri incarcerati nel Nord, si reggono sulle affermazioni inconsistenti e non documentate della pubblicistica precedente. E così si chiude la circolarità sclerotica di questo filone fintamente “storiografico”. Nessuna fonte per le centinaia o migliaia di morti asserite e per lo smaltimento dei cadaveri nella vasca di calce viva se non l’articolo di Di Giovine. Un orrore inventato per evocare quello dei lager nazisti. Ma il vero bestseller del revisionismo neo-borbonico è il libro “Terroni” di Pino Aprile, giornalista di rotocalchi rosa, già vicedirettore di “Oggi” e direttore di “Gente”, pubblicato nel 2010 per la Piemme. Il testo riassume ed esaspera tutti i falsi pubblicati in precedenza sulle condizioni dei soldati napoletani fatti prigionieri: decine di migliaia di reclusi nei campi di concentramento del Nord, tra i quali il più infame è naturalmente Fenestrelle; la vita media dei prigionieri che non superava i tre mesi; le finestre dei dormitori rimosse per esporre i reclusi al freddo di montagna; le condizioni dei trasferimenti che al confronto i lager nazisti erano un lusso; i suicidi di massa; le migliaia di morti sebbene, sostiene l’autore, il conto esatto non sia possibile perché i decessi non venivano registrati (ma allora il calcolo su che base è stato effettuato?); la vasca di Fenestrelle usata per smaltire i cadaveri nella calce viva. Insomma il quadro di uno  sterminio di massa messo in atto dallo Stato italiano per compiere un vero e proprio genocidio nei confronti dei meridionali.

Dalla pubblicistica stampata il revisionismo neo-borbonico esonda nel web alimentando una serie di siti, pagine e gruppi di social network, alcuni anche molto seguiti  (da centinaia di migliaia di followers), da cui scaturiscono strategie comunicative spesso efficaci. Sono stati segnalati anche casi in cui si è fatto ricorso al mailbombing  (invio di un numero abnorme di mail allo scopo di bloccare l’interlocutore non gradito) e allo shitposting (la pubblicazione nei gruppi avversari di contenuti di infima qualità o dichiaratamente provocatori allo scopo di far deragliare una discussione non gradita) oltre che alle forme classiche di boicottaggio10.

 

E infine la politica

L’entità dei falsi storici propalati dal revisionismo neo-borbonico è veramente clamorosa11. Alcune di queste leggende, e segnatamente la trasformazione del brigante da oppositore politico e patriota inconsapevole ad antagonista sociale, sono state sostenute anche da una certa cultura di sinistra marxista, direttamente o indirettamente attraverso la costruzione del mito del ribellismo sociale12. Ma se il brigantaggio rappresenta l’aspetto romantico della mitologia neo-borbonica, quello del genocidio dei meridionali ne costituisce il complemento drammatico necessario a produrre il trauma su cui innestare il revanscismo sudista. Tra tutte le leggende, quella di Fenestrelle come campo di annientamento è certamente la più ripugnante. E la più pericolosa.

Su questa questione non può essere concessa nessuna indulgenza perché è necessario evitare che il neo-borbonismo da virtuale diventi una realtà politica concreta. Si è già visto anni fa, con la nascita e lo sviluppo della Lega Nord, quanto una politica debole possa rappresentare il brodo di coltura ottimale per iniziative solo apparentemente incredibili ma che invece hanno avuto modo di concretizzarsi. Allora il particolarismo nordista era sostenuto da ragioni economiche ben precise, la volontà di sganciarsi dalla parte più arretrata del Paese per non doverla sostenere in un momento di crisi particolarmente acuta. Oggi il particolarismo sudista potrebbe essere sostenuto da quelle forze, di natura molto opaca, che di fronte all’arretramento della politica hanno assunto posizione dominanti e che potrebbero avere un loro tornaconto.

Negli ultimi tempi, purtroppo, si è assistito a sin troppi ammiccamenti politici, dai toni revanscistici del Sindaco di Napoli De Magistris13 all’iniziativa dei consiglieri pentastellati delle Regioni del Sud che nel biennio 2016-2017 si dichiararono favorevoli a istituire una “Giornata della Memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia”14. Per non parlare della moltitudine di siti web e di giornali locali che hanno ritenuto di sposare la causa neo-borbonica e sostengono le iniziative folcloristiche delle varie associazioni che se ne occupano. Questi atteggiamenti, sommati all’opportunismo di chi intende giocare la carta dei molti leghismi e agli interessi spiccioli di aspiranti politici regionalisti del Sud, rischiano di far emergere il rivendicazionismo neo-borbonico dall’anonimato nel quale sinora è rimasto relegato. Ed infatti, in agosto, quando sembrava che le elezioni anticipate fossero alle porte, ecco che come per incanto viene proposto un nuovo movimento politico15. Un “Movimento per il Sud”, naturalmente.

 

Bibliografia

  1. Francesco Benigno, Carmine Pinto in: Borbonismo, Discorso pubblico e problemi storiografici. Meridiana, Rivista di Storia e Scienze Sociali, 95: 9-20, 2019. Meridiana è la rivista quadrimestrale dell’IMES, Istituto meridionale di storia e scienze sociali.
  2. Ci si riferisce a partiti e movimenti politici i cui riferimenti culturali esulano dalla dialettica politica tradizionale caratterizzata dalla contrapposizione tra una destra conservatrice o reazionaria ed  una sinistra riformista o rivoluzionaria.
  3. In proposito si è ritenuto di seguire a grandi linee il percorso indicato da Francesco Benigno e Carmine Pinto nel testo già citato con la precisazione che le considerazioni di carattere più strettamente politico sono personali.
  4. In questa sede per pensiero debole si intende un’affermazione non sostenuta dall’indagine scientifica ma frutto di una narrazione che fa ricorso anche a falsità storiche.
  5. Giuseppe Galasso. Il Paradiso borbonico? E’ solo un’invenzione nostalgica. Corriere della Sera – Corriere del Mezzogiorno, 13 Luglio 2015.
  6. Napoli deve rimpiangere il regno dei Borbone? La parola allo storico Paolo Macry. YouTube, 7 novembre 2018.
  7. Alessandro Barbero. I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle.  Bari, Laterza, 2019, pp- 60-61.
  8. Alessandro Barbero. I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle.  Bari, Laterza, 2019.
  9. Alessandro Barbero. Miseria della storiografia. In: I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle.  Bari, Laterza, 2019, pp. 292-316.
  10. Christofer Calefati, Antonella Fiorio, Federico Palmieri. Nella rete delle Due Sicilie. Il neo-borbonismo alla prova di Internet. Il Pensiero Mazziniano, 2: 34-39, 2019.
  11. In proposito si veda: Borbonismo. In: Meridiana, Rivista di Storia e Scienze Sociali, 95: 21-194, 2019.
  12. Giulio Tatasciore. L’invenzione di un’icona borbonica: il brigante come patriota napoletano? In: Meridiana, Rivista di Storia e Scienze Sociali, 95: 169.194, 2019.
  13. Roberto Procaccini. “Napoli capitale avanti!”. I paradossi del De Magistris in formato “Bossi neoborbonico” . Il Foglio, 3 giugno 2016.
  14. La giornata della memoria sudista e l’uso politico della storia. In: Storia in rete, 6 agosto 2017.
  15. Antonio Di Gennaro. Neoborbonici, le cause perdute. La Repubblica, 22 agosto 2019.

 

CDL, 1 febbraio 2020