Machiavelli è considerato un autore fondamentale da tutti gli storici contemporanei del repubblicanesimo. Tuttavia, alcuni aspetti importanti del suo pensiero sono stati variamente interpretati al punto da divenire oggetto di contesa ed elemento di differenziazione tra le diverse famiglie repubblicane. Due gli argomenti particolarmente discussi che risultano discriminanti: l’accezione positiva o negativa della libertà machiavelliana e l’idea di conflitto.
La libertà di Machiavelli tra virtù, fortuna e corruzione
Machiavelli, per molti aspetti, ha profondamente segnato la cultura moderna. In proposito si veda il numero monografico che Reset ha pubblicato in occasione del cinquecentesimo anno dalla pubblicazione de “Il Principe”1. Per una rivisitazione attuale del pensiero di Machiavelli efficaci risultano le sintesi filmate di Maurizio Viroli2 e Federico Sollazzo3.
Quello che interessa discutere in questa sede è la sua collocazione all’interno di un filone storiografico e culturale che è quello del repubblicanesimo. Infatti gli storici del pensiero che hanno identificato questa tradizione storica riconoscendo ad essa stigmate culturali distinte, sebbene non strutturate in un corpus dottrinario sistematizzato, considerano Machiavelli un autore decisivo. Ma anche sull’opera di Machiavelli4 si ripropone la contesa sull’accezione positiva o negativa della libertà repubblicana, di cui si è già discusso nella sottosezione “Storici contemporanei e repubblicanesimo moderno”5 pubblicata in altra parte del sito.Secondo J. G. A. Pocock6, lo storico che per primo ha definito il repubblicanesimo nella sua specificità storica e culturale, il pensiero rinascimentale fiorentino ed in particolare Machiavelli recuperano la tradizione aristotelica della Polis e la rielaborano sulla base delle categorie filosofiche del tempo per produrre nuovi strumenti di approccio alla realtà e segnatamente il concetto di “virtù”, la capacità di intervenire sugli eventi, e quello di “fortuna”, il destino casuale della storia. Secondo Pocock il cittadino di Machiavelli è assimilabile allo zoon politikon di Aristotele e, per il fatto precipuo di rendersi attivo con il fine del bene comune, fa riferimento ad una concezione di autodeterminazione ovvero ad un’idea positiva della libertà. In particolare nei “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, Machiavelli definisce compiutamente un modello di Repubblica come organizzazione di uomini liberi capaci di costruire la propria storia utilizzando la virtù per dare forma alla fortuna. Un’acquisizione decisiva della cultura occidentale sino ad allora improntata da una concezione medievale nella quale gli uomini risultavano ostaggio inconsapevole di un destino non intellegibile. E’ questo pensiero machiavelliano che, tramite James Harrington, verrà recepito nell’Inghilterra della rivoluzione inglese e, successivamente, nell’America della guerra di indipendenza.
Altri storici del pensiero, a partire da P. Pettit7 e Q. Skinner8, attribuiscono un’accezione negativa all’idea repubblicana di libertà che viene intesa come emancipazione da ogni forma di dipendenza o, se si preferisce, come assenza di qualsiasi forma di dominio. Un’idea antecedente a quella liberale e molto diversa perché non limitata alla libertà da interferenze. Anche per questi autori il pensiero di Machiavelli è centrale ma ne valorizzano altri aspetti ed in particolare il concetto di “corruzione” intesa come tendenza a far prevalere gli interessi di parte su quelli della comunità. E la corruzione è un rischio per tutti gli uomini anche se assume una valenza maggiore per quelli che gestiscono il potere. L’uomo virtuoso di Machiavelli, dunque, non corrisponde all’essere politico di Aristotele che persegue il bene comune ma all’individuo che intende vivere liberamente e che, consapevole della propria corruttibilità, accetta di sottomettersi alle leggi. Maurizio Viroli, un altro storico che ha grandemente contribuito agli studi sul repubblicanesimo, ha sottolineato gli aspetti negativi della libertà di Machiavelli9 citando tra l’altro il passo dei “Discorsi” in cui egli fa espresso riferimento al non dominio: “E senza dubbio se si considera il fine dei nobili e degli ignobili (i plebei, nda), si vedrà in quelli desiderio grande di dominare e in questi solo desiderio di non essere dominati; e, per conseguente, maggiore volontà di vivere liberi …”10.
Sulla distinzione tra repubblicanesimo positivo e repubblicanesimo negativo e sul rapporto che quest’ultimo contrae con i liberalismo per il tramite proprio di Machiavelli ha espresso considerazioni molto acute una studiosa attenta come Nadia Urbinati11.
A conclusione di questo breve excursus occorre precisare che se la distinzione tra l’attributo positivo e quello negativo della libertà è utile sotto il profilo didattico della collocazione degli autori in questo o in quel versante, è altresì vero che tale distinzione si rivela a volte troppo forzosa. Molti pensatori, non solo di matrice repubblicana, utilizzano sia gli strumenti della libertà positiva che quelli della libertà negativa. Così Mazzini12 ricorre alla concezione positiva della libertà per definire quel dovere civile finalizzato al bene comune che evoca l’essere politico della Polis aristotelica e, in una certa misura, l’uomo virtuoso di Machiavelli. E questo per affermare la necessità che la comunità si costituisca e si riconosca come tale attraverso la condivisione di valori fondanti. Ma subito dopo egli utilizza la concezione negativa di libertà per affermare le regole di una convivenza che possa assicurare l’emancipazione da ogni forma di dipendenza sia morale che sociale. Ed è questa filosofia che spiega la scala di priorità dell’azione politica di Mazzini: l’unità della patria, l’indipendenza della nazione, il progresso sociale del popolo. Una sequenza analoga è forse riconoscibile nel percorso intellettuale di Machiavelli.
Il ruolo discriminante dell’idea di conflitto
Marco Geuna sostiene che a distinguere le diverse famiglie repubblicane è invece un altro aspetto del pensiero machiavelliano, quello relativo all’idea di conflitto13. Egli sottolinea come in Machiavelli il conflitto abbia un ruolo positivo in quanto meccanismo di trasformazione della società e di assestamento su equilibri politici sempre più avanzati. Un’idea completamente diversa da quella allora corrente che attribuiva al potere sovrano la funzione di camera di sterilizzazione dei conflitti. Per Machiavelli, invece, il conflitto non solo era ineliminabile, in quanto espressione della pluralità del corpo sociale, ma rappresentava lo strumento decisivo per un progressivo avanzamento delle istituzioni verso equilibri sempre più stabili perché sempre più espressivi della complessità sociale. D’altronde nella sua concezione la libertà va affermata e poi difesa: il conflitto pertanto diventa veicolo di un sempre maggiore ampliamento degli spazi di libertà. Naturalmente Machiavelli era ben consapevole degli impulsi disgregatori insiti nei conflitti e del rischio che la fisiologia del confronto degenerasse in patologia. Ma questo è un ulteriore aspetto del suo pensiero che esula dall’argomento trattato in questa sede.
Secondo Geuna sul concetto di conflitto si fonda una certa tradizione repubblicana, la cui nascita e sviluppo è stata ricostruita di recente da Thomas Casadei14. Per un inquadramento generale dell’aspetto contestatario e del suo legame con il concetto di responsabilità, si veda anche il testo “Attualità del repubblicanesimo” pubblicato in altra parte del sito15.
L’idea di una conflittualità feconda, che proprio Machiavelli teorizza ed introduce nella cultura rinascimentale, risulta utile per differenziare le varie famiglie repubblicane. Dopo aver ripercorso i tratti salienti del dibattito attuale sul repubblicanesimo, per constatare la necessità di individuare un nucleo concettuale minimo e adatto a riconoscerlo come tradizione autonoma, Genua conclude: “Sono convinto che studiare il modo in cui è stato recepita, o avversata, la tesi machiavelliana sulla positività dei conflitti venga incontro a questa esigenza e consenta di distinguere in modo significativo famiglie diverse di teorie repubblicane”16. Tra i teorici repubblicani che rifiutarono l’idea positiva del conflitto egli include Francesco Guicciardini (1483-1540), James Harrington (1611-1677), Jean Jacques Rosseau (1712-1788). Accolsero e rielaborarono l’idea machiavelliana della forza motrice del conflitto altri repubblicani inglesi come Algernon Sidney (1623-1683), Thomas Gordon (1691-1750), lo stesso Montesquieu (1689-1755) e lo scozzese Adam Ferguson (1723-1816).
Geuna così conclude: “Dopo questo rapido excursus, mi chiedo se non sia possibile distinguere nell’ambito del pensiero politico del Sei e del Settecento due gruppi di teorie repubblicane. Un gruppo di teorie machiavelliane ed un gruppo di teorie che, per comodità, chiamerò non-machiavelliane. Le prime attribuiscono un ruolo positivo ai conflitti politici che si mantengono entro certi canali istituzionali; le seconde sono portate ad escludere il conflitto politico dalla fisiologia del corpo politico; le prime non propongono una nozione sostantiva di bene comune; le seconde ritengono che debba esistere una nozione di bene comune condivisa da tutti i cittadini; le prime vedono l’ordine politico emergere dal conflitto; le seconde delineano un ordine politico che, esclusi i conflitti, è in qualche modo da sempre fissato; le prime assumono come modello Roma, città della feconda disunione tra senato e plebe; le seconde, Venezia, città del governo stretto”. In sostanza la distinzione che viene proposta è quella tra un repubblicanesimo aristotelico non conflittuale ed ispirato ad una concezione positiva della libertà ed un repubblicanesimo romano conflittuale ed ispirato ad una concezione negativa della libertà.
Quando dal campo storiografico si passa a quello politico non si può non ammettere che, come sostiene Pettit17, la possibilità di contestare le decisioni sia un elemento portante della democrazia. La contestabilità, e la conflittualità che ne segue, appartengono al pensiero romano e risalgono agli istituti giuridici di garanzia riservati alla plebe, la provocatio ad popolum e l’auxilium tribunicium18, sulla base dei quali il cittadino della repubblica poteva invocare, rispettivamente, il giudizio dei comizi e la difesa dei tribuni nei confronti di una decisione del magistrato ritenuta ingiusta.
In buona sostanza la legittimazione del conflitto politico differenzia la democrazia dal regime totalitario. Questo principio rimarrà una costante nel pensiero democratico e repubblicano. E Mazzini, che pure in diverse occasioni manifesterà disprezzo per l’interpretazione cinica e materialista con la quale veniva travisato il pensiero di Machiavelli, non potrà non riconoscere nella sua attività politica (più che in quella intellettuale) il segno inequivocabile della lotta instancabile contro la tirannia e a favore della libertà19. D’altronde, nei “Doveri dell’uomo”20, Mazzini scriveva “Voi avete dunque diritto alla Libertà e Dovere di conquistarla in ogni modo contro qualunque potere la neghi”, sottolineando la parola dovere con una maiuscola.
CDL, Tivoli, 1 Marzo 2014
1. Reset Dossier n° 143, 2013. Machiavelli, il pensiero che ci ha fatto moderni.
2. Maurizio Viroli. Intervista su Machiavelli a “Pane quotidiano”, 8/10/2013.
3. Federico Sollazzo. “Il Principe di Machiavelli. Osservatorio filosofico, 18 Novembre 2013.
4. Niccolò Machiavelli. Il Principe e Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Firenze, Le Monnier, 1848.
5. Democrazia Pura. Storici contemporanei e repubblicanesimo moderno, 31 Dicembre 2012.
6. John G. A. Pocock. The machiavellian moment. Fiorentine political throught and the atlantic republican tradition. Princeton University Press, Princeton, 1975.
John G. A Pocock. Il momento machiavelliano. Il pensiero fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone. I. Il pensiero politico fiorentino. II. La «repubblica» nel pensiero politico anglosassone. Il Mulino, Bologna, 1980.
7. Philip Pettit. Republicanism. A theory of freedom and government. Clarendon Press, Oxford, 1997.
Philip Pettit. Il repubblicanesimo. Una teoria della libertà e del governo. Feltrinelli, Milano, 2000.
8. Quentin Skinner. Liberty before liberalism. Cambridge University Press, Cambridge, 1998.
Quentin Skinner. La libertà prima del liberalismo. Einaudi, Torino, 2001.
9. Maurizio Viroli. Repubblicanesimo. Laterza, Bari, 1999, pp 33-35.
10. Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 5. In: Machiavelli. Tutte le opere storiche, politiche e letterarie. A cura di Alessandro Capata. Roma, Newton, 1998, p. 66.
11. Nadia Urbinati. Due modelli di repubblicanesimo (e di liberismo). Filosofia e questioni pubbliche, 5 (2000), 1: 81-92.
12. Democrazia Pura. Mazzini e i Doveri dell’uomo, 25 Gennaio 2013.
13. Marco Geuna. Machiavelli ed il ruolo dei conflitti nella vita politica. In: Conflitti, A. Arienzo e D. Caruso (a cura di), Napoli, Dante & Descartes, pp.19-57, 2005.
14. Thomas Casadei. La traiettoria del repubblicanesimo conflittualista tra storia e teoria del diritto. In: Il senso della repubblica. Frontiere del repubblicanesimo. A cura di Sauro Mattarelli. Franco Angeli, Milano, 2007.
15. Democrazia Pura. Attualità del repubblicanesimo, 20 Gennaio 2013.
16. Marco Genua, cit.
17. Philip Pettit, cit.
18. Joseph Plescia . Judicial accountability and immunity in roman law. In: The American Journal of Legal History, 2001, Vol. 45, n. 1, pp. 51–70.
19. Sui rapporti tra Mazzini e Machiavelli si veda: Francesco Fiumara. Critica al Machiavelli. In: Mazzini e la legge del progresso negli scritti su Machiavelli, Carlyle e Renan. Napoli, Centro napoletano di studi mazziniani, 1969. Un testo di Mazzini su Machiavelli è riportato in “Scritti editi ed inediti”, Volume XXIX, Letteratura vol. 5, pubblicato da Internet Archive.
20. Giuseppe Mazzini. Doveri dell’Uomo. Londra, 1860.
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