******
James Harrington (1611-1677) ha un ruolo centrale nella storia del pensiero repubblicano. Ideologo della libertà e dell’uguaglianza, egli rielabora le categorie filosofiche di Machiavelli per dare una forma compiuta all’idea di Repubblica. Dall’Inghilterra puritana il repubblicanesimo approderà in America, dove andrà a costituire la base teorica della guerra d’indipendenza, per rimbalzare infine su un’Europa che si appresta a vivere la svolta epocale della rivoluzione francese.
******
James Harrington (1611-1677), filosofo della libertà e dell’uguaglianza, è una figura chiave nella storia del pensiero repubblicano. Egli rielabora il pensiero di Machiavelli per proporre un ideale di Repubblica che serva a correggere la deriva autoritaria e confusa lungo la quale si è avviata la rivoluzione inglese. Harrington infatti pubblica la sua opera principale, La Repubblica di Oceana1, nel 1656 quando ormai Cromwell ha dato vita ad un regime dispotico che non è più monarchico ma non è ancora, né sarà mai, repubblicano. A questo proposito così si è espresso Blair Worden, uno dei massimi studiosi di queste vicende: “Gli storici delle idee amano pensare che siano le idee ad influenzare gli eventi. Spesso è così. Sicuramente gli autori repubblicani degli anni Cinquanta (del Seicento, nda) volevano influenzare gli eventi con i loro scritti: spesso però non ci riuscirono. In quel decennio non furono le idee repubblicane a produrre eventi, ma gli eventi a produrre idee repubblicane”2. La rivoluzione inglese venne a trovarsi nella difficoltà di dover abbattere una tirannia, quella di Carlo I, senza volere o potere procedere ad abolire l’istituto monarchico nella sua interezza che i più continuavano a considerare fonte ineliminabile di legittimazione del potere. E’ in questo frangente storico drammatico che James Harrington si ripropone di elaborare un modello compiuto di governo repubblicano da offrire come struttura istituzionale alternativa alla monarchia.
Quale il contributo di Machiavelli alla riflessione di Harrington? Il principio di vita activa secondo Pocock3 e quello di libertà come non dominio secondo Pettit4. Certo l’influenza di Machiavelli su Harrington è complessa e forse è da identificare innanzitutto con la teorizzazione della possibilità da parte dell’uomo di determinare la propria storia. La rottura definitiva ed irreversibile con una concezione, quella medievale, nella quale la condizione umana è esposta passivamente alle intemperie di una storia non intellegibile, segna la nascita del pensiero politico moderno di cui il repubblicanesimo britannico è un prodotto complesso ed articolato. Per la prima volta in Inghilterra, la tradizione britannica della virtù civica, che era antica e radicata, si salda con il costituzionalismo repubblicano in un progetto coerente che, da questo punto di vista, risulta analogo a quello elaborato da Machiavelli nella Firenze rinascimentale.
Il tentativo di Harrington non avrà successo ma l’innesto del repubblicanesimo rinascimentale fiorentino nella cultura anglosassone risulterà particolarmente fecondo. Infatti dall’Inghilterra puritana il repubblicanesimo giungerà sino al nuovo mondo dove andrà a costituire la base teorica della guerra d’indipendenza americana (1775-1783) che molti storici contemporanei ormai non considerano più una rivoluzione liberale, e lockiana in particolare, ma interpretano come vero compimento dell’idea repubblicana.
In realtà l’influenza del repubblicanesimo inglese sulla rivoluzione americana è più complesso. Secondo Blair Worden si possono distinguere tre periodi nella tradizione repubblicana britannica5. In una prima fase, quella dell’interregno (1649-1660), pensatori repubblicani come James Harrington, Marchamont Needham e John Milton sono impegnati a teorizzare un’architettura costituzionale alternativa alla monarchia. Nella seconda (1675-1683) Henry Neville e Algernon Sidney devono fare i conti con la minaccia incombente di un ritorno della monarchia assoluta ed il rischio di una nuova guerra civile. Infine in una terza fase, che va dal 1690 ai primi decenni del 1700, Robert Molesworth, Walter Moyle, John Toland, Anthony Ashley Cooper ed altri pensatori rielaborano nuovamente il pensiero repubblicano. Si vedrà in altra parte del sito, “La guerra di indipendenza americana: una rivoluzione repubblicana“6, quanto il repubblicanesimo britannico, ed in particolare quello “puritano” della prima fase, influisca sulla cultura americana sino a divenire l’ispirazione principale della rivoluzione.
Harrington dunque rappresenta un elemento fondamentale nella trasmissione di un’ideale, quello repubblicano, nato nella polis greca con la figura aristotelica dello zoon politikon (secondo J. G. A. Pocock7) e nelle res pubblica romana con la concezione ciceroniana della virtù (secondo P. Pettit8 e Q. Skinner9), modernizzato da Machiavelli, ulteriormente rielaborato dallo stesso Harrington ed infine concretamente realizzato nella rivoluzione americana. Per una descrizione più dettagliata di questo itinerario, che negli Stati Uniti ha avuto grandissima fortuna storiografica, si veda la sottosezione “Storici contemporanei e repubblicanesimo moderno”10 pubblicata in altra parte del sito.
Utilizzando il gioco letterario dell’utopia, Harrington vagheggia un mondo ideale governato da un sistema misto nel quale un senato propone i provvedimenti, un’assemblea li approva ed un organo monocratico li esegue11. La ragione di un potere legislativo diviso in due è spiegata con una metafora: Per esempio, due di esse (due ragazze, nda) hanno una torta indivisa, che è stata donata in maniera che ognuna possa avere quello che le spetta; «dividi», dice l’una all’altra, «e io sceglierò; o lascia che io divida e tu sceglierai». Se questo è subito accettato, basta; perché se colei che divide lo fa in maniera diseguale perde, in quanto l’altra prende la parte migliore; perciò lei dividerà in parti uguali, in modo che entrambe abbiano una parte giusta». L’esempio, che non a caso riguarda la suddivisione di una proprietà, serve a chiarire che in Harrington l’affermazione dell’uguaglianza dei diritti è in realtà funzionale al conseguimento di una forma di giustizia sociale. Ma egli si spinge oltre, sino a prefigurare una forma controllata di eguaglianza sostanziale. Harrington infatti giunge a proporre un sistema di ripartizione egualitario della proprietà terriera ispirato a quello che i Gracchi tentarono invano di introdurre nell’antica Roma.
Ma Harrington è anche e forse soprattutto un filosofo della libertà. Sotto questo profilo risulta esemplare la polemica che lo oppose a Thomas Hobbes (1588-1679), di cui pure egli era un ammiratore. Hobbes, non senza sarcasmo, aveva sostenuto nel Leviatano che i cittadini della Repubblica di Lucca erano sottoposti a leggi non meno severe dei sudditi di Costantinopoli: ”Ai nostri giorni sulla cinta delle mura della città di Lucca è incisa a caratteri cubitali la parola LIBERTAS; nondimeno non vi è alcuno che possa concludere da questo fatto che lì un singolo individuo abbia più libertà o immunità rispetto ai suoi doveri verso lo stato di quanto ve ne sia a Costantinopoli. Uno stato può essere popolare o monarchico, la libertà rimane sempre la stessa”. Con questa immagine Hobbes, sostenitore dell’assolutismo monarchico, si serviva strumentalmente degli argomenti liberali per stigmatizzare la coercizione comunque insita in qualsiasi legge.
Harrington aveva buon gioco ad evidenziare questa strumentalità e ne “La Repubblica di Oceana” precisava: “La montagna ha partorito e tutto quello che rimane è un piccolo equivoco! Infatti sostenere che un cittadino di Lucca non abbia più libertà o immunità dalle leggi di Lucca che un turco da quelle di Costantinopoli, e sostenere che un cittadino di Lucca non abbia più libertà in virtù delle leggi di Lucca che un turco in virtù di quelle di Costantinopoli, significa dire due cose completamente diverse”. In questo modo Harrington afferma due aspetti inerenti il principio di libertà. Innanzitutto sembra irridere ad una concezione, quella della legge come coercizione in sé, che prescinde dal suo contenuto potendo la legge stessa essere strumento di promozione dell’autodeterminazione degli uomini (idea positiva di libertà). In secondo luogo afferma il valore della legge come garanzia nei confronti del potere non limitata all’interferenza ma estesa alla possibilità stessa dell’interferenza (idea negativa di libertà). Affinché un uomo possa essere libero non solo è necessario che non subisca coercizioni (come i sudditi di Costantinopoli) ma anche e soprattutto che non possa subirne (come i cittadini di Lucca). Per Harrington mentre i sudditi turchi erano semplici locatari sia dei beni materiali che di quelli immateriali di cui usufruivano, i cittadini di Lucca ne erano titolari in virtù delle leggi della Repubblica. In sostanza la libertà dei sudditi di Costantinopoli era una concessione del sovrano mentre quella dei cittadini di Lucca era garantita dalla leggi. Una differenza non da poco.
Quando si parla di repubblicanesimo, ovvero di un’idea di libertà che trova espressività formale nell’istituzione repubblicana, occorre fare lo sforzo di valutare due elementi necessari per un inquadramento generale: l’accezione positiva o negativa del concetto di libertà e l’accettazione o meno del conflitto come metodo. Lungo questo duplice crinale corre la differenziazione delle diverse famiglie repubblicane. Come si colloca Harrington in queste due ambiti?
Per quanto riguarda l’idea di libertà Harrington è considerato un pensatore tipicamente repubblicano perché la sua concezione si differenzia nettamente dalla semplice non interferenza di matrice liberale. Su questo aspetto concordano tutti gli storici contemporanei che hanno studiato e imposto all’attenzione generale la tradizione del repubblicanesimo. Si è visto però, proprio nella polemica con Hobbes, quanto sia complessa e non facilmente riducibile ad una categoria la sua concezione di libertà. Tuttavia mentre per Pocock12 l’accezione preponderante è positiva, secondo Pettit13 e Skinner14 prevale invece una concezione negativa. Pocock ritiene che Harrington faccia riferimento esplicito e ripetuto ad Aristotele e alla tradizione dello zoon politokon della polis greca nella quale le due dimensioni, quella comunitaria e quella individuale, rimandano circolarmente l’una all’altra senza che nessuna domini. Pettit e Skinner ritengono invece che in Harrington sia dominante una concezione negativa della libertà sebbene molto diversa, perché molto più ampia, della semplice non interferenza liberale.
Per quanto riguarda il valore attribuito al conflitto, la riflessione di Harrington scaturisce dall’orrore per le vicende che sconvolsero l’Inghilterra di questo periodo15. Dopo il regicidio, dal 1648 al 1656 (anno di pubblicazione della Repubblica di Oceana), si succedettero convulsamente conflitti che, a suo avviso, avevano alimentato solo confusione e precarietà. Egli però è convinto che la guerra civile non sia la causa del disfacimento del vecchio ordine ma, al contrario, che sia la dissoluzione del vecchio ordine ad aver prodotto la rivoluzione. Ed il vecchio ordine è imploso per una distribuzione iniqua della proprietà terriera cui aveva corrisposto una struttura politica inadeguata.
Da questa riflessione scaturisce la proposta di un assetto istituzionale radicalmente nuovo, di tipo repubblicano, espressione di una ridistribuzione della proprietà terriera che non consentisse posizioni dominanti. Harrington, tuttavia, interpreta gli eventi rivoluzionari non come passaggi intermedi, caratterizzati da equilibri sempre più avanzati, lungo un percorso accidentato di cui si intravede una meta finale. Nella sua visione i conflitti erano stata fonte della grande precarietà esitata nella svolta autoritaria del Protettorato di Cromwell. Da questo punto di vista Harrington si discosta da Machiavelli e dalla sua idea di una conflittualità necessaria ed anzi auspicabile per la evoluzione delle istituzioni verso equilibri sempre più rappresentativi sotto il profilo sociale. Non a caso Marco Geuna16 colloca Harrington tra i pensatori repubblicani che rifiutarono la positività del conflitto in compagnia di Francesco Guicciardini (1483-1540) e di Jean Jacques Rosseau (1712-1788). Sul versante opposto egli pone coloro che, con Machiavelli, giudicavano il conflitto uno strumento decisivo per introdurre nel sistema politico ed istituzionale le differenze e la complessità del corpo sociale: Algernon Sidney (1623-1683), Thomas Gordon (1691-1750), lo stesso Montesquieu (1689-1755) e lo scozzese Adam Ferguson (1723-1816). Per una valutazione ulteriore dell’aspetto contestatario del repubblicanesimo, e del legame che esso stabilisce con il concetto anglosassone di accountability, si veda anche il testo “Attualità del repubblicanesimo” pubblicato in altra parte del sito17.
Sia consentito un’ulteriore considerazione. Con l’innesto in Inghilterra il repubblicanesimo assume definitivamente la connotazione laica. Come ha avuto a dire Blair Worden18: “Il repubblicanesimo inglese si alleò al deismo e al socinianismo, i due movimenti di dissenso religioso più estremi del tempo. Il repubblicanesimo, allora come nei secoli successivi, fu nemico della tirannia non solo nello Stato ma nella Chiesa”.
A conclusione di questa introduzione al pensiero di James Harrington non si può non ribadire ancora quanto più volte affermato in altre parti del sito. Il filone storiografico che identifica nel repubblicanesimo una tradizione autonoma e distinta dal liberalismo e che tanto successo ha avuto negli Stati Uniti, ha il limite di restringere le analisi essenzialmente alla cultura anglosassone, approcciando al massimo la rivoluzione francese.
Eppure la democrazia europea ottocentesca e quella italiana in particolare hanno fornito esempi concreti e contributi teorici di grande rilevanza. Sul piano strettamente concettuale, se il repubblicanesimo è inteso come un’idea di libertà diversa dalla semplice non interferenza liberale, si è già visto in altra parte del sito il pensiero di Mazzini che utilizza sia la concezione positiva che quella negativa della non dipendenza per costruire il percorso della sua azione politica: unità della patria, indipendenza della nazione, emancipazione sociale (si veda in proposito il testo Mazzini e i Doveri dell’Uomo19). Le stigmate dell’accezione positiva sono riconoscibili in quel dovere civile, sul quale molto insiste Mazzini, che evoca l’essere politico della polis aristotelica e l’uomo virtuoso di Machiavelli e che è finalizzato alla costituzione della comunità (l’unità della patria). Ma Mazzini utilizza anche gli strumenti della liberà negativa, intesa in senso molto più ampio rispetto alla non interferenza liberale, quando teorizza l’emancipazione da ogni forma di dipendenza sia morale che sociale (da cui gli altri due punti del suo programma politico, l’indipendenza della nazione ed il progresso sociale).
Appare quindi quanto mai utile andare oltre per esplorare meglio il nesso tra il repubblicanesimo anglosassone ed il movimento democratico europeo e italiano in particolare. Per le considerazioni brevemente svolte di seguito si farà essenzialmente riferimento al percorso seguito dal prof. Capozzi, cui si rimanda per una valutazione più approfondita20.
Se il repubblicanesimo viene inteso come uno stato d’animo, l’ideale della partecipazione civile e quello della vita activa che Machiavelli riprende dalle cultura classica, allora diventa inafferrabile la relazione con i modelli istituzionali repubblicani teorizzati e realizzati nell’epoca moderna. Sostiene il prof. Capozzi “In questa linea interpretativa non sussisterebbe alcun rapporto organico – e vi sarebbe anzi una sostanziale sfasatura – tra la cultura repubblicana moderna e i principi su cui gli ordinamenti repubblicani prendono storicamente forma: la separazione dei poteri, il governo limitato, la rappresentanza politica, le garanzie costituzionali delle libertà private, l’economia di mercato”. In sostanza appare del tutto aleatorio il nesso che lega l’antica virtù civica repubblicana alla democrazia moderna. Tale connessione diventa meno sfuggente se indagata attraverso l’utilitarismo radicale di Thomas Paine (1737-1809), intellettuale inglese, considerato uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, protagonista di due rivoluzioni (quella americana e quella francese). Paine fonda la sua teoria di democrazia repubblicana sull’affermazione dei diritti dell’uomo e su un senso della comunità non legato ad un sentimento di appartenenza ma ad una utilità comune (anche e soprattutto economica) che viene definita con una connotazione fortemente solidale. Di recente Thomas Casadei ha proposto un’ampia e profonda riflessione sul pensiero di Paine discutendo anche la sua relazione con la tradizione repubblicana21.
Il rapporto tra repubblicanesimo e democrazia emerge in maniera più chiara se si considera quel principio di rappresentanza che può essere garantito solo da una procedura elettiva. Questo è il vero lascito del repubblicanesimo antico che viene ereditato dalle moderne repubbliche democratiche e che diventa centrale nel pensiero di Mazzini proprio nel periodo dell’esilio londinese che precede le rivoluzioni del ’48. E’ in questa fase che Mazzini matura definitivamente l’idea di un’identità assoluta tra democrazia rappresentativa e istituzioni repubblicane. E a questo convincimento egli perviene nel confronto con altre correnti di pensiero (l’anti-egualitarismo di Carlyle ed il socialismo di Marx) ma anche attraverso il contatto con le istituzioni politiche britanniche. Afferma il prof. Capozzi che è plausibile l’accostamento del modello mazziniano di repubblica democratico-rappresentativa con “la tradizione del governo limitato, misto o bilanciato che proprio in Inghilterra aveva realizzato paradigmi repubblicani …” di cui, si potrebbe aggiungere, il pensiero di James Harrington rappresenta una delle radici più forti e compiute. La relazione tra Mazzini ed il repubblicanesimo anglosassone appare più evidente se si considera la rivoluzione americana. In proposito Roland Sarti22 ha sostenuto che il momento di incontro delle diversi correnti di democrazia radicale (americane ed europee) è il repubblicanesimo inteso non tanto e non solo come forma istituzionale quanto come concezione generale dei diritti politici e della partecipazione di popolo. Ma questo argomento verrà affrontato in altra parte del sito.
CDL, Tivoli, 23 Giugno 2014
1. James Harrington. The Oceana: And Other Works, Volume 1. London, Millar, 1747. Per la traduzione in italiano si veda: Giuseppe Schiavone (a cura di). La Repubblica di Oceana di J. Harrington, Franco Angeli, Milano, 1985. La recensione al testo di Giovanni Iamartino, La Repubblica di Oceana di J. Harrington, pubblicata su Aevum (Anno 61, Fasc. 3 settembre-dicembre, pp. 758-761, 1987) non solo è utile per meglio comprendere il lavoro di Schiavone ma rappresenta anche un’ottima introduzione al pensiero di Harrington.
2. Blair Worden (2004). Le idee repubblicane e la rivoluzione inglese. In: Maurizio Viroli (a cura di). Libertà politica e virtù civile. Significati e percorsi del repubblicanesimo classico. Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004.
3. John G. A. Pocock. The machiavellian moment. Fiorentine political throught and the atlantic republican tradition. Princeton University Press, Princeton, 1975. Traduzione in italiano: Il momento machiavelliano, Il pensiero fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, I Il pensiero politico fiorentino, II La «repubblica» nel pensiero politico anglosassone, Il Mulino, Bologna, p. 674, 1980.
4. Philip Pettit. Republicanism. A theory of freedom and government. Clarendon Press, Oxford, 1997. Traduzione in italiano: Il repubblicanesimo, Una teoria della libertà e del governo, Feltrinelli, Milano, p. 44, 2000.
5. Riportato in: Miryam Giargia. Introduzione. Sidney e Rousseau tra repubblicanesimo e contrattualismo. In: Disuguaglianza e virtù. Rousseau e il repubblicanesimo inglese. Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano, 2009.
6. Democrazia Pura. La guerra di indipendenza americana: una rivoluzione repubblicana, 15 Luglio 2014.
7. John G. A. Pocock. The machiavellian moment, cit.
8. Philip Pettit. Republicanism, cit.
9. Quentin Skinner. Liberty before liberalism. Cambridge University Press, Cambridge, 1998. Traduzione in italiano: La libertà prima del liberalismo, Einaudi, Torino, 2001.
10. Democrazia Pura. Storici contemporanei e repubblicanesimo moderno, 31 Dicembre 2012.
11. Franco Pezzato (2005). Modelli antichi e pensiero moderno nel repubblicanesimo di James Harrington. Filosofia politica, 19: 219-242.
12. John G. A. Pocock. The machiavellian moment, cit. p. 674.
13. Philip Pettit. Republicanism, cit., p. 279.
14. Quentin Skinner. Liberty before liberalism, cit., p. 56.
15. Franco Pezzato (2005), cit.
16. Marco Geuna. Machiavelli ed il ruolo dei conflitti nella vita politica. In: Conflitti, A. Arienzo e D. Caruso (a cura di), Napoli, Dante & Descartes, pp.19-57, 2005.
17. Democrazia Pura. Attualità del repubblicanesimo, 20 Gennaio 2013.
18. Blair Worden (2004), cit.
19. Democrazia Pura. Mazzini e i Doveri dell’Uomo, 25 gennaio 2013.
20. Eugenio Capozzi. Mazzini, l’ideologia repubblicana e la tradizione costituzionale inglese. Il Pensiero mazziniano 54, nuova serie, n. 1, pp. 55-62, 1999.
21. Thomas Casadei. Tra ponti e rivoluzioni. Diritti, costituzioni, cittadinanza in Thomas Paine. Torino, Giappichelli, 2012. Si veda anche: Tra ponti e rivoluzioni. Il segno di Tom Paine nella storia e nel diritto. Dialogo con Thomas Casadei a cura di Sauro Matterelli. In: Il senso della Repubblica, n° 4, Aprile 2013.
22. Roland Sarti. La democrazia radicale: uno sguardo reciproco tra Stati Uniti e Italia. In: La democrazia radicale nell’Ottocento europeo, a cura di Maurizio Ridolfi. Milano, Feltrinelli, pp 133-157, 2005.