Glossolalia e dintorni

 

 

La glossolalia, intesa come manifestazione verbale di suoni incomprensibili ma articolati in forma musicale1, comprende almeno due generi: il Grammelot  ed il Gibberish2,3. Ambedue sono linguaggi inventati costituiti da parole senza senso ma il primo, a differenza del secondo, contiene parole onomatopeiche che aiutano a comprenderne il significato. Per estensione la glossolalia ha finito per includere anche un terzo genere, il linguaggio che utilizza termini di senso compiuto ma al di fuori di un contesto grammaticale strutturato (alcuni tipi di “supercazzole”). In ogni caso la glossolalia è una scelta consapevole e non ha niente a che vedere con il parlare a vanvera dominato dal caso (l’aturoglossia o aturostomia che nella Grecia antica era la negazione della parresia). Altro genere è pure la glossolalia del cristianesimo delle origini, intesa come capacità di pregare utilizzando un linguaggio oscuro comprensibile solo a Dio e a coloro che hanno il dono dell’interpretazione.

Nel senso oggi comune, i linguaggi della glossolalia hanno un contenuto comico e possono essere utilizzati con finalità diverse che vanno dalla derisione di un personaggio al farsi beffe di un interlocutore. In questo senso erano utilizzati già dai giullari e dagli attori della commedia dell’arte. In tempi recenti ne sono stati maestri il Dario Fo di “Mistero buffo” e, prima di lui, il Charlie Chaplin de ”Il grande dittatore”. Grande anche l’interpretazione di Gigi Proietti in “A me gli occhi, please”. Celebri le Supercazzole di Tognazzi in “Amici miei”. Più sul demenziale i discorsi del frate Antonino da Scasazza interpretato da Nino Frassica.

Dario Fo. Immagine tratta dal sito artspecialday.com.
Dario Fo. Immagine tratta dal sito artspecialday.com.

In ogni caso la comunicazione non verbale associata deve essere particolarmente espressiva perché un messaggio in qualche modo venga recepito correttamente. Ed è per questo che solo i grandi attori riescono a fare della glossolalia uno strumento di comunicazione pienamente fruibile. Tuttavia la capacità espressiva non è tutto perché a determinare la comprensibilità di un linguaggio composto da parole o frasi di per sé indecifrabili contribuisce anche la possibilità di collocare la proposizione in un contesto culturale noto, come ben osservava Umberto Eco a proposito dell’idioma dei puffi:

Palo Cevoli nell’interpretazione di Palmiro Cangini

«… i puffi si capiscono benissi­mo e noi capiamo loro. Questo significa che la lingua puffa risponde alle regole di una linguistica del testo: ogni termine è comprensibi­le e rapportabile ad altri solo se lo si vede nel contesto e lo si interpreta alla luce del “tema” o topic testuale… Facciamo un’ipo­tesi: che se io dico “nel puffo del cammin di nostra puffa” ogni puffo mi ca­pisca , mentre se dico “puffo è il più crudele dei puffi – genera puffi dalla morta puffa – mescola puffi e desideri”, essi si trovino in imbarazzo. Se ciò fosse vero, significherebbe che i Puffi hanno introdotto nella loro enci­clopedia culturale Dante, ma non Eliot, possono puffare su Dante ma non su Eliot».

Così quando assistiamo alle performance di Palmiro Cangini, assessore alle Varie ed Eventuali di un Comune della provincia italiana, magnificamente interpretato a Zelig da Paolo Cevoli, riusciamo a capire il suo linguaggio di fonemi strani, parole indecifrabili e suoni gutturali non solo per la splendida mimica dell’attore ma anche perché abbiamo fatto esperienza di politici che parlano in modo tanto più deciso quanto più non intendono affermare nulla4. Il vero problema è che Palmiro Cangini, mostrando la grande efficacia comunicativa del personaggio, ha fatto scuola ed oggi sempre più è la politica a farsi beffe del comicità.

 

CDL, 22 Aprile 2019. Pubblicato su Il Sestante il giorno 29 Novembre 2018.

 

1. Enciclopedia Treccani online. Voce “Glossolalia”.
2. Sara Bernacchia. A lezione di gibberish, la lingua senza senso. La Repubblica, 31 Ottobre 2018, p. 22.
3. Stefano Bartezzaghi. L’eterno ritorno della supercazzola. La Repubblica, 31 Ottobre 2018, p. 22.
4. Si veda a titolo di esempio: Paolo Cevoli. Zelig in tour, 2003.