Negli anni ’70 i bar vivevano di poche attività: fondamentalmente le discussioni sul calcio, i commenti sulle ragazze e poco altro. Il gioco conservava ancora per molti aspetti un carattere ludico (almeno nel flipper e nel biliardino). La compilazione della schedina era un rito collettivo cui partecipano un po’ tutti i frequentatori abituali del bar. Rare le riffe. Tuttavia in alcuni giochi, più di altri, e segnatamente nel tressette e al biliardo, cominciavano a definirsi in embrione figure propriamente compulsive.
Sotto questo profilo, e a dispetto delle apparenze, risultava particolarmente pericolosa la pesca con il boero. Il pagamento di cento lire dava diritto ad estrarre da un cartone un rotolino di carta al cui interno c’era scritto se si era vinto o meno. I premi maggiori erano i pupazzi di peluche, esposti in bella mostra dietro il bancone del bar, che a memoria d’uomo nessuno ha mai vinto. Ed infatti erano ormai ingialliti e spelacchiati. Qualcuno anche mutilato del naso o di un occhio ma tanto non interessavano a nessuno. Tanto meno all’avventore che puntava invece sui premi minori, da uno a tre boeri, a dimora nella scatola da mesi ed ormai cristallizzati sotto forma di piccoli blocchi durissimi contenenti un liquore ormai insapore.
Eppure, per ragioni inspiegabili, erano proprio i boeri a suscitare la compulsività del giocatore che alla fine dilapidava una quantità di soldi ben superiore a quella necessaria per acquistare svariate scatole di boeri. Invece riportava a casa al massimo una decina di cioccolatini che mostrava orgogliosamente a moglie e figli. La moglie se ne rattristava pensando al digiuno che le sarebbe toccato anche quel giorno ma i figli invece ne erano felici. E’ documentato che in quegli anni intere generazioni di bambini (alcolizzati) siano cresciuti con una dieta a base di soli boeri.
Ma il giocatore di boeri si diluiva in un ambiente nel quale dominavano altri personaggi, quelli magistralmente descritti da Stefano Benni in “Bar Sport”, che si ripetevano in modo abbastanza uniforme: il tecnico di calcio che dava lezione il lunedì, il professore che pontificava su tutto ed in particolare sulla politica, il nonno che sputava in terra ed alzava a palla il volume del televisore, la cassiera avvenente che faceva innamorare tutti, ecc.
Ma poi si verificò un evento epocale. L’avvento delle slot machine e dei gratta e vinci trasformarono radicalmente la sociologia di quei bar che non hanno saputo resistere su altri fronti facendosi dominare dalla figura del giocatore compulsivo, quasi sempre proveniente dalle fila del gioco delle carte e della pesca con il boero, veri e propri riti di iniziazione. Personaggio tragico e nel contempo molesto nella ostentazione della propria ipertrofica personalità, il giocatore sebbene tendenzialmente silenzioso è ingombrante e finisce per occupare tutto lo spazio marginalizzando le altre figure, alcune delle quali ormai si sono estinte. Ma, a ben guardare, accanto e in conseguenza della presenza del giocatore è nata nei bar una nuova figura che invece si caratterizza per il basso profilo ed una presenza quasi impercettibile. Si tratta di un prodotto secondario del gioco: lo spizzichino.
Lo spizzichino può essere definito un para-giocatore in quanto pur non essendo un compulsivo deve la sua stessa esistenza alla presenza di un giocatore da parassitare. Lo spizzichino assiste il giocatore compulsivo perlopiù compiangendone la sfortuna, lo accompagna nel suo percorso di perdizione apparentemente in spirito di amicizia, infine con assoluta spietatezza ne sfrutta l’insuccesso. Infatti, lo spizzichino non ha alcuna empatia nei confronti del giocatore ma interloquisce con lui solo per occupare una posizione di prossimità alla slot machine e potersene impadronire non appena il giocatore sarà costretto ad abbandonare il campo. Se la slot machine non ha pagato o ha pagato poco, lo spizzichino ne prenderà possesso lestamente ed inizierà a giocare piccole somme, ripetutamente ed insistentemente. L’assunzione è che la macchinetta debba restituire una percentuale della vincita al termine di un ciclo di partite. Lo spizzichino ritiene di poter sfruttare il numero di partite perse dal giocatore per aumentare la propria probabilità di vincita. In realtà il ciclo al termine del quale la slot deve restituire è costituito di migliaia di partite (sino a 140.000).
Per il carattere approfittatore della personalità, lo spizzichino non è molto apprezzato dagli avventori del bar. Mentre il giocatore è un “eroe” tragico per le sue ricorrenti cadute rovinose, lo spizzichino è un meschino. Ma egli sembra non accorgersi del disprezzo generale tanto è disinteressato al giudizio degli altri. Il giocatore lo schifa ma solo di rado trova la forza di cacciarlo a male parole, probabilmente per non aumentare il carico di malocchio di cui è opinione comune che lo spizzichino sia portatore.
Perlopiù il giocatore tenta di sottrarsi al suo abbraccio mortale non rispondendo alle domande o mugugnando qualcosa di incomprensibile. E prolungando al massimo la sua presenza davanti alla macchinetta nel tentativo di scoraggiarlo ed allontanarlo. Quando lo spizzichino si alza sulle punte per osservare il gioco sporgendo sulle spalle del giocatore, questi tenta di coprire lo schermo avvicinandosi di più o gonfiando il petto per aumentare l’ingombro e chiuderelavisuale.Tuttavia lo spizichino ha il grandissimo vantaggio della visione frontale mentre il giocatore da un lato deve osservare lo schermo e dall’altro con la coda dell’occhio deve prestare attenzione ai movimenti dello spizzichino. Duelli interminabili che vanno in scena sotto forma di balletti esilaranti.
Ma anche a casa lo spizzichino non conduce una vita brillante. Le sue capacità non sono nemmeno conosciute perché egli agisce con assoluta discrezione allo scopo di poter disporre a proprio piacimento delle piccole somme vinte. A differenza del giocatore di boeri, la moglie e i figli ignorano la sua reale attività e lo giudicano un pusillanime che perde tutto il suo tempo in chiacchiere al bar. Ed egli se ne compiace godendosi i successi in assoluta solitudine. E così, schifato nel suo ambiente di lavoro e disprezzato in famiglia, lo spizzichino conduce una vita grama. Della quale però è felice.
Si ringrazia l’Ing. Marilena Concetti, autrice degli splendidi bozzetti utilizzati per illustrare il testo. Si ringrazia anche Paul Cézanne che pure, suo malgrado, ha contribuito con un magnifico dipinto. La vignetta che chiude l’articolo è opera del sottoscritto.
CDL, Tivoli, 2 Ottobre 2018. Pubblicato su Il Sestante il 20 Febbraio 2018.