L’Europa pullula di movimenti politici identitari che nel complesso esprimono un insieme non facilmente intellegibile di istanze indipendentiste, secessioniste, autonomiste, micro-nazionaliste, regionaliste (Figura 1)1.
Sotto il profilo della proposta istituzionale lo spettro è molto ampio e comprende gradazioni intermedie tra due poli opposti: l’autonomismo, inteso come riconoscimento amministrativo di una specificità culturale e territoriale, e l’indipendentismo, nel quale predomina la rivendicazione di tipo propriamente secessionista. Il crinale è rappresentato dalla contestazione o dall’accettazione dell’integrità politica del Paese di appartenenza.
Un altro aspetto che occorre prendere in esame è la forza politica di questi movimenti. Alcuni sono ultra-minoritari mentre altri riscuotono un consenso elettorale di tutto riguardo. Dunque la forza incidente dei movimenti identitari può essere misurata collocando gli stessi all’interno di un piano cartesiano in cui l’asse delle ascisse è costituito dalla proposta istituzionale (autonomismo o indipendentismo) e quello delle ordinate dal consenso elettorale (alto o basso).
In uno dei quadranti così definiti (quello caratterizzato da autonomia regionale e basso consenso) si potrebbe collocare ad esempio il Partito della Cornovaglia (Mebyon Kernow). Si tratta di un piccolo movimento regionalista, caratterizzato a sinistra, fondato nel 1951, che propugna l’equiparazione della Cornovaglia alle altre nazionalità che compongono la Gran Bretagna (Scozia, Galles, Inghilterra, Irlanda del Nord). Si richiama, anche nel nome di lingua cornica, alle origini celtiche. Alle ultime elezioni per il Consiglio della Cornovaglia (2017) ha conquistato 4 seggi (su 123) avendo raccolto una proporzione di voti pari al 3%. Nel quadrante opposto, quello caratterizzato da indipendentismo ed elevato consenso elettorale, si potrebbero invece collocare le istanze dichiaratamente secessioniste della Catalogna o della Scozia.
Queste distinzioni sono utili nel tentativo di comprendere il prossimo futuro dell’Europa. Infatti, se i movimenti autonomistici e quelli ultraminoritari non costituiscono una minaccia per l’integrazione europea, le spinte secessionistiche possono avviare un processo di dissoluzione degli Stati dagli esiti imprevedibili. E questo a prescindere dal fatto che venga rifiutata l’Unione Europea (Lega Nord) o venga accettata (Scottish National Party, Junts pel Sì della Catalogna).
Il micro-nazionalismo costituisce ormai un arcipelago abbastanza vasto anche considerando solo i movimenti a vocazione indipendentista e con consenso elettorale pari ad almeno il 10% (Figura 2).
Di seguito l’elenco dei focolai indipendentisti i cui dati essenziali sono riassunti nella Tabella 12.
Spagna
Insieme per il Sì (Junts pel Sì). Coalizione di quattro partiti indipendentisti catalani, sia di destra che di sinistra, che nelle elezioni regionali del 2015 ha ottenuto complessivamente il 39,6% dei voti. E’ il raggruppamento politico che esprime il presidente di regione e che sta guidando la secessione. Junts pel Sì è’ alleato del CUP (Candidatura d’Unitad Populat), partito di estrema sinistra e indipendentista, che alle ultime elezioni per il parlamento catalano ha ricevuto lo 8,2% dei consensi. Di conseguenza oggi in Catalogna i partiti indipendentisti sommano circa il 48% dei voti.
Paesi Baschi Uniti (Euskal Erria Birdu). Coalizione di partiti indipendentisti di sinistra che nelle ultime elezioni regionali ha ottenuto il 25% dei voti. La sua forza di attrazione risulta probabilmente ridotta dalla concorrenza del Partito Nazionalista Basco (Euzko Alderdi Jeltzalea) che, a dispetto del nome, è in realtà un movimento autonomista di ispirazione democristiana.
Italia
Per quanto riguarda la Val d’Aosta non è stato considerato indipendentista ma autonomista la coalizione “Vallée d’Aoste – Autonomie Progrès Fédéralisme” nata dall’alleanza dello storica Union Valdotaine con il partito della Stella Alpina e la Fédération Autonomiste.
Lega Nord. Partito che, nonostante la recente svolta nazionalista, conserva ancora una identità nordista molto forte e pronta a riemergere. Nello statuto della Lega, permane la dizione “per l’indipendenza della Padania”. Si vedrà quali proposte scaturiranno dai referendum consultivi promossi in Veneto e Lombardia per una non meglio precisata ulteriore autonomia delle due regioni ma la genericità (ed inutilità) dei quesiti fa intendere motivazioni politiche che poco o nulla hanno a che vedere con le questioni amministrative. Nei due territori la Lega Nord ha ottenuto una percentuale di voti complessivamente pari al 26,2% nelle elezioni del 2013 (Lombardia) e 2015 (Veneto). Da sottolineare che la Lega Nord raggiunge percentuali di consensi a due cifre anche in Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna dove però l’istanza indipendentista sembra stemperata rispetto alla Lombardia e al Veneto.
Per quanto riguarda l’indipendentismo sardo, esso è rappresentato da un coacervo di movimenti che complessivamente, alle ultime regionali del 2014, hanno cumulato poco meno del 10% dei voti. Il maggiore di questi è lo storico Partito Sardo d’Azione che pur avendo un’origine di sinistra, attraverso varie vicissitudini (e ripetute scissioni) è finito ormai sul versante destro dello schieramento politico avendo stretto alleanza con il centro-destra alle ultime due elezioni regionali.
Nell’Alto Adige predomina la Südtiroler Volkspartei, partito autonomista ma dalle forti inclinazioni secessioniste (oggi sopite ma mai definitivamente abbandonate). Formalmente è accolto nel Partito Popolare europeo come osservatore nonostante la mancata rottura con il passato radicale dell’indipendentismo radicale altoatesino.
Gran Bretagna
La Brexit ha rinfocolato le aspirazioni secessioniste di quei movimenti radicati nei territori che si sono espressi a favore dell’Europa.
Partito Nazionalista Scozzese (Scottish National Party). Dichiaratamente indipendentista, di sinistra, nato nel 1934 dalla fusione di due precedenti partiti nazionalisti. Governa la Scozia dal 2007. Dopo la sconfitta nel referendum del 2014, l’istanza indipendentista ha ripreso vigore dopo la Brexit dato che in Scozia, come del resto in Galles ed Irlanda del Nord, la maggior parte degli elettori si è espresso a favore del “remain”.
Noi Stessi (Sinn Féin). Storico movimento indipendentista nord-irlandese. Fondato nel 1905, nato per difendere i diritti dei cattolici, fortemente orientato a sinistra, ha sempre avuto come obiettivo la secessione dalla Gran Bretagna e la riunificazione con l’Irlanda. Tuttavia, dal 1998 sulla base dell’accordo del Venerdì Santo, governa pragmaticamente insieme agli unionisti e l’istanza secessionista è stata momentaneamente accantonata.
Partito del Galles (Plaid Cymru). Partito indipendentista di centro-sinistra. Fondato nel 1925, alle ultime elezione del Parlamento gallese ha ottenuto il 20% dei voti (sino al 2005 godeva del 25%-28% dei consensi).
Francia
Corsica Libera. Nato nel 2009 dalla fusione di diversi movimenti indipendentisti, è il partito in qualche maniera erede delle istanze che animarono il terrorismo corso.
Belgio
Alleanza Neo-fiamminga (Nieuw-Vlaamse Alliantie). Partito micronazionalistico, sostenitore dell’indipendenza delle Fiandre, non ostile all’Unione Europea ma contrario a qualsiasi ulteriore passo verso l’integrazione europea. La politica ultra-identitaria lo ha condotto su posizioni che, in particolare sul problema dell’immigrazione, sono assimilabili a quelle di un partito radicale di destra.
Germania
Partito della Baviera (Bayernpartei), Nel 1949-1950 arrivò al 18%-20% dei consensi ma il separatismo gli ha fatto perdere credibilità. Alle ultime elezioni regionali (2013) ha ottenuto appena il 2% dei voti, un risultato comunque ben superiore a quelli ottenuti dal 1969 (sempre intorno allo 1%). Dalle ultime elezioni regionali è passata un’intera era geologica durante la quale nel dibattito politico si è imposta anche in Germania la questione dell’immigrazione (la Baviera confina con l’Austria ed è la porta d’ingresso nel Paese dei migranti che passano attraverso il Brennero). Ed i sondaggi dicono che l’idea indipendentista vada ben oltre i consensi ottenuti dal Bayernpartei e faccia breccia anche tra gli elettori e la classe dirigente della Unione Cristiano Sociale (Christlich-Soziale Union in Bayern), storicamente il partito di maggioranza della regione. Secondo un recente sondaggio, il 32% dei bavaresi è favorevole alla separazione dalla repubblica tedesca3.
Polonia
Il Movimento per l’Autonomia della Slesia (Ruch Autonomii Śląska) è un partito fondamentalmente autonomista ma viene accusato dai nazionalisti polacchi di avere una vocazione secessionista. Di difficile collocazione sul piano dell’orientamento politico. E’ radicato nell’attuale voivodato di Slesia che corrisponde a quella che storicamente è l’alta Slesia.
Serbia
In Kosovo tutti i partiti albanesi sono fondamentalmente indipendentisti ma con diversa disponibilità alla trattativa con la Serbia. La proclamazione dell’indipendenza, nel 2008, avvenne nel Parlamento kosovaro per acclamazione. Alle ultime elezioni del maggio 2017 ha vinto la coalizione dei falchi guidata da Ramush Haradinaj, erede della milizia armata UCK che ha condotto la guerra contro la Serbia, considerata di centro-destra. La coalizione ha ottenuto il 33,9% dei consensi ed è contraria ad ogni trattativa. E’ plausibile che la grande maggioranza della popolazione kosovara di origine albanese (il 92% del totale) sia favorevole all’indipendenza. La questione del Kosovo è un cuneo piantato nel cuore dell’Europa perché presto la Serbia diventerà membro dell’Unione Europea. Senza contare che in Europa, sebbene non proprio nel cuore della UE, si sono già verificate due secessioni: la Crimea che è stata annessa dalla Russia, la Transnistria che di fatto è già divenuto uno Stato indipendente.
Pure nella estrema sinteticità, la panoramica proposta introduce a diverse considerazioni. La prima sull’ampiezza del fenomeno indipendentista che riguarda ben 62,4 milioni di persone (12,4% del totale UE) ed un territorio che produce 1.994 miliardi di euro di PIL (13,0% del totale). Anche non considerando la Baviera, il cui inserimento tra le regioni a rischio di secessione è stato in qualche modo forzato, il numero di persone coinvolte rimane molto alto, 49,8 milioni (10,4% del totale), e così pure il PIL, 1.444 miliardi (9,0%). La seconda considerazione è inerente l’orientamento politico del micro-nazionalismo che vede una prevalenza di partiti di sinistra e su questo andrebbe fatta un’analisi più approfondita. E’ da considerare poi che l’Italia è, insieme alla Gran Bretagna, il Paese a maggiore rischio o quantomeno quello con il maggior numero di indipendentismi.
Nel complesso appare evidente che la trama del tessuto europeo è sottoposto a fortissime trazioni da parte di fenomeni opposti: da un lato il risorgere del concetto westfaliano di Stato-Nazione, dall’altro il frazionismo delle istanze indipendentiste. E tra i due fenomeni sembrerebbe esserci una relazione. I secessionismi hanno potuto acquisire un’aura di plausibilità proprio in virtù degli egoismi nazionali e della conseguente crisi della UE. Se l’integrazione europea fosse proseguita, gli indipendentismi avrebbero avuto meno spazio perché sarebbero stati meno credibili. Ma ormai il danno si è prodotto e ci si sta pericolosamente avvicinando al punto di rottura del difficile equilibrio che le istituzioni europee aveva stabilito con gli Stati nazionali e le autonomie regionali. Urge una iniziativa da parte di quell’asse franco-tedesco che nell’ultimo anno è rimasto bloccato dalle elezioni nazionali. Sperando che non sia già tardi.
Infine, un’ultima considerazione. Non può non balzare agli occhi il fatto che nella maggior parte dei casi la rivendicazione indipendentista viene dai territori economicamente più forti, nei quali si è radicata l’idea di non voler sostenere quelli più disagiati nell’affrontare i difficili passaggi di una crisi economica che iniziata nel 2008 è ancora oggi molto acuta. E questo a prescindere dal fatto che le regioni economicamente più avanzate siano tali, non solo ma anche, per le scelte politiche che negli anni precedenti le hanno in qualche modo favorite. Esattamente come accadde nella ex Jugoslavia quando la caduta del regime titino innescò una crisi economica gravissima che alcune Repubbliche, quelle un po’ più sviluppate (Slovenia e Croazia), ritennero di poter meglio affrontare da sole. Non volendo pagare il conto degli altri e trascurando il fatto che per lunghi anni Tito aveva seguito una precisa strategia nella distribuzione delle risorse favorendo l’economia di alcuni territori (Croazia) al fine di mantenere un difficile equilibrio politico che vedeva nella Serbia la spina dorsale politica e militare. E’ bene ricordarlo: nella ex Jugoslavia la crisi politica fu innescata da precise ragioni economiche. Dopo e solo dopo, e strumentalmente, il conflitto assunse connotazione etniche e religiose. Purtroppo alimentate dagli USA e da una UE trascinata dalla Germania, principale punto di riferimento politico ed economico della Slovenia e della Croazia. E come non ricordare il “pacifista” Wojtyla che sollecitava l’ingerenza umanitaria a difesa dei croati cattolici4. In Spagna la situazione per quanto grave non è tale da far presagire un conflitto bellico. Ma certamente lo scontro politico sarà durissimo. C’è solo da augurarsi che Europa e USA non ripetano i tragici errori del passato. Ma è nel novero delle possibilità la dissoluzione dell’unità nazionale spagnola e l’innesco di processi analoghi in altri Paesi. Sarebbe la fine dell’idea dell’Europa unita.
CDL, Tivoli, 1 Novembre 2017
1. L’immagine è tratta da: Theo Deutinger, Filip Cieloch and Lucia de Usera. . Mark Magazine 53 December 2014/ January 2015.
2. La maggior parte delle informazioni riportate sono tratte dall’articolo: Andrea Bonanni. Dalla Corsica alla Baviera l’Europa si spacca nelle piccole patrie. La Repubblica, 29 Settembre 2015. Di recente, in data 29 Ottobre 2017, La Repubblica ha pubblicato una mappa aggiornata dell’autonomismo in Europa. Le altre informazioni riportate sono tratte perlopiù dalle corrispondenti voci di wikipedia.
3. Jeder dritte Bayer für Unabhängigkeit von Deutschland DPA, 17/7/2017. Citato in: Anatra o Coniglio. Editoriale, Limes 19: 7-31, 2017.
4. Sull’ingerenza umanitaria invocata dalla Chiesa si veda: Andrea Tornielli. Guerra, Onu e «ingerenza umanitaria» secondo Papa Wojtyla, “La Stampa”, 26 Agosto 2014.