La caricatura, intesa come alterazione formale della figura con intento propriamente satirico, è un’arte antica i cui esordi possono essere ricostruiti attraverso tre fonti principali: gli ostrakon egiziani, i vasi greci, i graffiti pompeiani.
Egitto
Nella cultura dell’antico Egitto sono riconoscibili almeno tre aspetti iconografici della comicità: la generica rappresentazione umoristica della realtà, la trasfigurazione favolistica, la caricatura intesa come deformazione grottesca della figura1.
Esempi del primo tipo di umorismo sono le innumerevoli rappresentazioni di vita quotidiana: l’uomo che sonnecchia dal barbiere, l’asino recalcitrante che ignora i comandi del padrone, il servo sbronzo che dorme nel magazzino. Quest’ultima scena è riportata in un dipinto di una tomba privata risalente all’epoca di Thoutmosis III (1479-1425) a.C. (Figura 1). L’immagine è corredata di testo. La scena rappresenta dei servi che portano giare colme di vino ma la porta della cantina è bloccata. Il primo della fila, poggiata a terra la giara, si rivolge ad un compagno affermando «Il magazziniere sta dormendo». Risponde il compagno: «È certamente sbronzo». Dall’altra parte della porta, il magazziniere ancora semi-addormentato si difende: «Non sto affatto dormendo!» .
Molto più frequenti le trasfigurazioni di tipo favolistico con la messa in scena di animali umanizzati. Nella Figura 2 è rappresentata una volpe che suona un doppio oboe accompagnata da una gazzella danzante. Si tratta di un ostrakon rinvenuto nel villaggio di Deir el-Medina fatto costruire dai faraoni appositamente per ospitare gli operai (e le rispettive famiglie) che dovevano lavorare nelle tombe della Valle dei Re e della Valle delle Regine. Il villaggio fu attivo dal 1550 al 1200 a.C. L’ostrakon era un frammento di coccio o calcare sul quale veniva disegnati o dipinti parole e figure sia come prova per il lavoro da svolgere successivamente nelle tombe sia come forma di svago. Da questo punto di vista rappresenta probabilmente la prima forma di arte popolare. Nella Figura 3 è invece riportata la ricostruzione di un papiro favolistico conservato presso il Museo di Torino e risalente al tardo Nuovo Regno (sulla base della scrittura egizia il percorso di lettura scorre da destra a sinistra). In diverse scene si riconosce uno degli aspetti tipici di questo tipo di rappresentazioni, il “mondo alla rovescia”, nel quale i personaggi si muovono in modo opposto alla realtà. E’ il caso della rondine che usa la scala per salire su un albero a contendere i frutti con un ippopotamo che invece emerge dalle fronde con molta con leggerezza (quarta scena da destra del registro inferiore).
Molto diffusa anche la caricatura propriamente intesa come alterazione dei tratti formali del personaggio che può essere un uomo o una divinità. La statura nana o altri aspetti della deformità vengono spesso assegnati agli stranieri, proprio a rimarcarne la diversità rispetto alla “normalità” egizia. Ma la caricatura raggiunge forse la massima espressione nella rappresentazione del dio Bes (Figura 4), un demone nano e deforme, forse di origine nubiana, spesso raffigurato con smorfie e linguacce, cui veniva attribuita una funzione di difesa nei confronti dei nemici e di protezione nei momenti della vita più vulnerabili e maggiormente esposti alle influenze del male (malattia, età infantile, età fertile)2.
Mesopotomia
In Mesopotamia non risulta un’iconografia propriamente satirica e nemmeno semplicemente umoristica. Tuttavia, una letteratura comica molto sviluppata3 e, con rifermento a Gilgamesh, una mitologica matura e complessa rendono poco plausibile l’assenza di una corrispettiva produzione iconografica. D’altronde della caricatura nel mondo assiro ne parlava già Robinson nel 19174.
Grecia
Già dai primi studi pubblicati alla fine dellìOttocento5,6 emerge che la caricatura dell’antica Grecia, perlopiù espressa sotto forma di decorazione di vasi, presenta due caratteristiche fondamentali: riguarda in particolare le divinità e fa uso, per la deformazione, delle maschere già utilizzate nella commedia. Nella Figura 5, Apollo viene rappresentato come un medico ciarlatano (con borsa, arco e cappuccio).
Secondo una interpretazione, Apollo, dal suo altare di Delfi strattona un Chirone ormai vecchio e cieco e in cerca di sollievo, anche sospinto da dietro da un amico, mentre le ninfe guardano la scena dal Parnaso. Il direttore dello spettacolo, l’unico senza maschera, osserva la scena dal basso. L’immagine è tratta da un vaso greco, il bell krater, conservato presso il British Museum di Londra (da cui è tratta l’immagine). Secondo un’altra interpretazione, invece, il personaggio che tira Chirone sarebbe un servo, il cui nome potrebbe essere Xantias (ΞΑΝΘΙΑΣ) le cui prime tre lettere sarebbero state abrase come si evidenzia dall’originale del vaso. La scena rappresenterebbe un Chirone vecchio e stanco che si reca alle nozze di Peleo e Teti aiutato da uno schiavo. Nella Figura 6, anch’esso dipinto su un vaso, è rappresentato un burlesque su una delle tante avventure amorose di Giove che viene accompagnato da un Mercurio ridicolo descritto come l’esatto contrario dell’agile messaggero degli dei. I due si recano dalla principessa Alcmena per ingannarla e permettere a Giove di giacere con lei.
Roma
L’eruzione del Vesuvio fissò Pompei così come essa era nel 79 d.C. consentendo la conservazione di alcuni aspetti minori dell’arte romana che altrimenti sarebbero andati persi per la cancellazione operata dalle stratificazioni successive. Tra questi aspetti, vi sono certamente i graffiti delle strade, delle case e dei negozi, alcuni dei quali rappresentano vere caricature di cui forse non avremmo saputo nulla senza la tragedia dell’eruzione7.
Nella Figura 7 è riportato un graffito rinvenuto su una parete di una caserma a Pompei. Forse proprio in ragione di un tratto molto infantile appare chiaro l’intento di dileggiare quello che doveva essere un centurione particolarmente inviso alla truppa, il cui nome (Nonio Massimo) si trova inciso in altri pareti dell’edificio sempre accompagnato da epiteti ingiuriosi.
Nella Villa dei Misteri di Pompei è stata rinvenuta forse la più antica caricatura politica (Figura 8). L’iscrizione sulla parete recita “Questo è Rufo”. Il riferimento non è chiaro ma la corona di alloro fa pensare a Lucio Verginio Rufo, il senatore e comandante romano che qualche anno prima della distruzione di Pompei aveva rifiutato di succedere a Nerone. Tra i graffiti pompeiani, molto espressiva e tipicamente caricaturale la raffigurazione di uno sconosciuto per noi “peregrinus” (Figura 9).
Nella Figura 10, rinvenuta sulla parete esterna di una casa privata di Pompei, è ritratta una scena che fa riferimento ad un episodio storico. Era accaduto, nel 59 d.C., che nel corso di uno spettacolo gladiatorio, si verificassero veri e propri scontri armati tra gli spettatori di Pompei e quelli di Nuceria Alfaterna Molti di questi ultimi rimasero uccisi. Nerone decretò lo scioglimento dei collegia e la chiusura per dieci anni dell’anfiteatro pompeiano (poi ridotta a soli due anni). Nell’immagine un uomo scende nell’arena con in mano la palma della vittoria mentre, dall’altro lato, un prigioniero viene trascinato via. L’iscrizione recita: “Campani victoria una cum Nucerinis peristis” (uomini della Campania, siete morti nella vittoria insieme ai Nocerini). A Pompei, le pareti delle case ma abitualmente anche quelle delle taverne e dei negozi erano decorate con immagini di pigmei spesso rappresentati nella loro atavica lotta contro le gru (Figura 11). Nel novero dei graffiti pompeiani di tipo caricaturale rientrano sia lo studio dei pittori (Figura 12) che la processione trionfale (Figura 13). Come già nell’antica Grecia, anche a Roma il teatro costituisce l’occasione, lo spazio e l’ispirazione per la rappresentazione deformata della realtà. La caricatura raggiunge la massima espressività nelle maschere che gli attori di commedie e tragedie dovevano indossare per l’impossibilità di utilizzare la mimica facciale nei grandi spazi (anfiteatri) nei quali si soleva rappresentare i drammi (Figura 14). Sempre dal teatro emerge un’altra figura, quello del buffone scemo, che costituisce di per sé una caricatura (Figura 15).
Bibliografia
- Per quanto riguarda la caricatura nel mono egizio, una ottima introduzione è costituita da: Francesco Tiradritti, Caricatura, Enciclopedia dell’Arte Antica. Treccani, 1994. Di lettura più complessa ma molto utile: Silvio Curto, Umorismo e satira nell’Egitto antico, Torino, Ananke, 2006. Un’analisi accurata dell’umorismo nell’antico Egitto, anche se poco fruibile per coloro che non conoscono il francese, è contenuta in: Ollivier-Beauregard, La caricature égyptienne, historique, politique et morale; description, interprétation, Parigi, Thorin, 1894. Più recente: Baudouin Van De Walle, L’humour dans la littérature et dans l’art de l’Ancienne Égypte. Nederlands Instituut voor het Nabije Oosten, Leiden 1969. Pure da consultare : Emma Brunner-Traut. Egyptian artists’ sketches. Nederlands Instituut voor het Nabije Oosten, Leiden 1979.
- Una descrizione delle caratteristiche multiformi di Bes è riportata in: Ollivier-Beauregard, La caricature égyptienne, historique, politique et morale; description, interprétation, cit. e Emma Brunner-Traut, Egyptian artists’ sketches, cit.
- Giuseppe Minunno. Scribi che ridono. L’umorismo nell’antica letteratura mesopotamica. In O. Coloru – G. Minunno (eds.), L’Umorismo in prospettiva interculturale: Immagini, Aspetti e Linguaggi / Crosscultural Humour : Images, Aspects, and Languages, Parma 2014, pp. 61-68.
- David M. Robinson. Caricature in Ancient Art. The Bulletin of the College Art Association of America, Vol. 1, No. 3, pp. 65-68, 1917.
- James Parton. Caricature and other comic art in all times and many lands. New York, Harper, 1877.
- Thomas Wright. A history of caricature and grotesque. London, Chatto and Windus, 1875.
- La caricatura nel mondo romano è stata accuratamente analizzata già da molto tempo. In proposito si vedano i due testi già citati di Parton e Wright.
CDL, 1 Luglio 2017