Repubblica, repubblicanesimo e repubblicani in Italia, Portogallo, Brasile in prospettiva comparata

 

 

Rino Giuliani. Intervento alla presentazione del libro “Repubblica, repubblicanesimo e repubblicani in Italia, Portogallo, Brasile in prospettiva comparata (a cura di S. Salmi)”, 4 settembre 2012, libreria Rinascita, Ascoli Piceno  (Ringraziamo Rino Giuliani, vicepresidente dell’Istituto Fernando Santi, che ci ha consentito di pubblicare il suo contributo).

 

Il titolo del capitolo redatto da Massimo Morigi e Stefano Salmi anticipa in sé la passione civile su cui s’innesta il rigore scientifico con cui il tema è affrontato. Italia, neorepubblicanesimo, modernità: una tradizione per il futuro. Nella lettura del testo mi sono venute alla memoria le amate lezioni del prof Volterra sulla storia del diritto romano, le sottolineature del senso di austerità che emana dalla fase repubblicana, l’impianto dei valori repubblicani che attinti da Licurgo ed instaurati nella città di Roma dal 510 a.c ressero le relazioni fra i liberi cittadini e fra loro e le istituzioni, per scolorire nel 45 a.c. quando Cesare si proclamò dittatore a vita sovrapponendosi alla repubblica che per 500 anni aveva fatto la grandezza della Roma dei cives romani e che restò in vita, formalmente, fino al 30 a.c.. Da allora e ancora per poco, la legittimazione della Res Publica non promana più dal popolo e dal senato romani ma da un potere autocratico che Augusto nasconde sotto l’omaggio formale alle istituzioni repubblicane, che non osa cancellare ma che svuota di potere facendosi anche tramite tra cielo e terra in quanto Pontifex Maximus, aggiungendo un carattere sacrale al proprio dominio che non viene dal popolo ma è provvidenziale. Augusto, anzi , pretendendo una natura divina ed affidandone la legittimazione alla indimenticabile narrazione poetica di Virgilio fa del suo potere il terminale non solo della storia di Roma ma anche di miti greci. Difficili da dimenticare i principi repubblicani espressi in brocardi che evocano forza morale , responsabile, senso del dovere civico, e sono così attuali, così validi: -Salus rei publicae suprema lex esto – suum cuique tribuere – alterum non ledere

La storia, certo, non è un processo lineare , lo svolgersi di un filo evolutivo, un progresso continuo. Il filo più volte si è riannodato e molte conquiste sono arretrate. A periodi di luce hanno ciclicamente fatto seguito lunghi periodi oscuri . Tuttavia la valorizzazione dei tratti di continuità nel tempo, attraverso le trasformazioni epocali avvenute nel nostro paese, dei principi posti a fondamento della repubblica romana non solo produce una forte suggestione ma mette in luce molti importanti elementi concreti che si possono cogliere ed apprezzare dalla storiografia anglosassone e dal prof Viroli in specie, e negli ulteriori sviluppi che Salmi e Morigi s’incaricano di perseguire. Io aggiungo che dal fiume carsico che viene percorso nella ricerca possono venire altri stimoli ed indicate altre fonti probatorie. Non so se, oltre alla indagine sul “repubblicanesimo protomoderno” di Machiavelli, nel presente possa essere utile riallacciarsi a quei pensatori radicalmente repubblicani e democratici come Condorcet, Paine e la Wollsonecraft che alla fine del ‘700 posero la questione del diritto al lavoro ed alla sicurezza sociale all’interno delle istituzioni repubblicane prefigurando l’idea stessa dei diritti sociali a partire dai valori chiave dell’eguaglianza e della solidarietà. D’altro canto i nodi problematici , le interpretazioni, le famiglie teoriche della tradizione repubblicana stanno a dimostrare la vivacità di indagini continue che finiscono per rendere mobile, ancorchè scientifico, il perimetro della tradizione repubblicana Venendo a periodi più recenti penso, in specie, ad un approfondimento che scavi di più nell’arco di tempo che va dagli anni della prima internazionale alla fine della monarchia sabauda e che ponga attenzione particolare ai diffusi fenomeni di contaminazione reciproca fra repubblicani e socialisti riformisti e fra quest’ultimi ed i loro compagni sindacalisti rivoluzionari, dei quali ,con il linguaggio di oggi, diremmo repubblicani “senza se e senza ma ”. Il tutto nella convinzione che fra liberalismo e comunitarismo vi sia una sorta di terza via, il neorepubblicanesimo che si proietta , fino alla nostra Costituzione per canali e forme di contaminazione fra loro diversi ma non antagonisti. Seguendo lo svolgimento del saggio un primo punto cardine, della elaborazione di Salmi e Morigi è, a mio giudizio, quello della instaurazione e della vita delle repubbliche romane del medioevo. Per un non “addetto ai lavori”, quale è chi vi parla, in tema di ascendenze del repubblicanesimo, è apparso di grande interesse e più convincente del richiamo ad Aristotele il riscontro della tradizione dall’antica Roma nei principi costitutivi delle citate repubbliche ed il suo valore come costituente del futuro. Una “traditio” di valori pervenuti grazie alla iterazione di una cultura anche, ma non solo giuridica, di cui in modo documentato magistralmente ha scritto anche il prof  Galasso segnalando nel campo privatistico nessi e trasformazioni dalle norme del diritto romano a quello, divenuto consuetudinario, nel medioevo, per una meritoria azione dei grandi centri di cultura e di potere politico costituiti dalle abbazie La repubblica romana di Cola di Rienzo con il suo governo di 13 priori, citata nel testo, emblematica anticipazione di quella della repubblica romana di Mazzini che ci ha dato una effimera quanto fondamentale costituzione (penso in specie agli 8 “principi fondamentali”) ci da la misura di come le istituzioni e gli individui risultino condizionati e vincolati ad una praxis che fa e disfa e di come, quindi, i rapporti e le correlazioni di forza restano pur sempre un dato ineliminabile nell’esercizio legittimo del conflitto sociale che non puoi agire in una società, come quella comunitaristica, che per principio lo vieti (anche se Lombardo Radice, scrivendo nel 1956, la associa anche a quest’ultima). Già la repubblica gentilizia instaurata dagli aristocratici costituitisi in senato intorno alla fine dell’anno 1000, (divenuto poi senato plebeo nel 1143) si collocava in continuità con la Roma rivendicando il diritto di eleggere sia il papa che l’imperatore. Il popolo romano che con i suoi altalenanti comportamenti alla fine pur tra autenticazione della falsa donazione costantiniana, l’instaurarsi di un cristianesimo dogmatico ed il prevalere della potente famiglia Pierleoni nella vita della città e nelle vicende del papato, fra capovolgimenti di alleanze con gli imperiali e con gli amici stranieri di papi più mondani che dediti alla missione salvifica, mantenne tuttavia nel tempo l’istituzione repubblicana. C’interessa il programma di Cola di Rienzo (“il popolo romano è la fonte di ogni potere”) che definisce il profilo della sua repubblica. Non tutte le repubbliche sono eguali e non tutti quelli che definiamo repubblicani sono sino in fondo e senza riserve sostenitori del governo del popolo. Una per tutte lo Stato di fatto rappresentato dalla Repubblica Sociale Italiana. Machiavelli è un secondo cardine del ragionamento sul neorepubblicanesimo di Salmi e Morigi . Machiavelli fu segretario della repubblica fiorentina fino al 1512 ma si adattò a vedere il principe nella famiglia de’ Medici. Cola Di Rienzo morì trucidato ed appeso ai piedi. Prevalse la ragione di stato nel cui nome più volte sono stato commessi crimini contro l’umanità. Cola di Rienzo ed il contesto che lo aveva espresso seminò un seme che rinascerà nel risorgimento con i suoi ideali d’indipendenza e di unità d’Italia , di riforma della Chiesa. Di Rienzo voleva una confederazione italiana con capitale Roma. “Un filone di umanesimo civile continua a sussistere anche in una Italia che resta a lungo periferia rispetto ai centri mondiali del potere di allora malgrado la calata degli eserciti stranieri e della controriforma come, citando il prof Viroli , si sottolinea nel testo. In qualche modo Machiavelli coglie e rielabora un determinante essenziale della tradizione repubblicana e cioè il fatto che la libertà non è data dalla assenza di interferenza ( quella che in economia è nota con l’espressione del liberismo” laissez faire”) ma dalla assenza di “dominio”, termine che ritroviamo, in diverse forme elaborato, anche da Gramsci prima del congresso di Lione e dopo nei Quaderni dal carcere. Di Machiavelli come traghettatore della tradizione romana filtrata da Polibio (che sostiene vi sia un ripetersi ciclico dei destini degli stati) mi sembra importante richiamare il concetto di virtù che certo è intesa come virtù civile, dei cittadini, ma anche come somma di requisiti di singoli grandi uomini cui ci si deve rivolgere quando l’istituzione, a volte anche per corrompimento tutto interno, decade e deve rialzarsi. Il suo ideale repubblicano mi appare sincero ma temperato da questa condizione. Vi è chi sostiene come “ il suo concetto di virtù creò un intimo ponte di collegamento tra le tendenze repubblicane e quelle monarchiche e, senza venir meno ai suoi principi egli potè fondare le sue speranze nel principato dei Medici, al crollare della repubblica fiorentina, e scrivere per loro il libro del Principe. Collegamento intimo che subito dopo gli permise di riprendere nei Discorsi anche il filo repubblicano e di bilanciare la repubblica col principato”- Federico Meinecke- “L’idea di Stato nella storia moderna”. Il punto innovativo e moderno di Machiavelli è quello del concetto di “conflitto” considerato come la via di accesso del popolo alla politica e come condizione per lo sviluppo della civile libertà e per il consolidamento della repubblica la cui forza consiste appunto nel mettere in atto il principio associativo anteposto all’egoistica chiusura individualistica. Il conflitto insomma come risorsa e non come problema. Dalla accettazione della lotta sociale conseguono i diritti soggettivi (che emergono dal basso), il rapporto fra appartenenza e cittadinanza e lo stato di diritto a sua volta da porre in connessione con il principio della sovranità popolare. Certo la “politica come movimento perpetuo” e il “potere costituente come prodotto di una interna e immanente dinamica sociale” che Hardt e Negri, citati nel testo, colgono dal pensiero di Machiavelli non hanno lo stesso significato se, così come li significhiamo noi oggi, li assumiamo per leggere le vicende di Roma dal 1000 circa fino al 1300 o se per le vicende della riforma a agraria dei tribuni Caio e Tiberio Gracco posta in essere fra il 123 ed il 133 a.c. in Roma, noi vi adattassimo, per la comprensione delle vicende, il noto ben più tardo schema novecentesco “classe contro classe” che si voleva adottare per la presa del potere all’epoca della III Internazionale nel nome di quel determinismo che anche nel testo viene sottoposto a critica. La tradizione di Machiavelli che prende e poi cede il testimone di una corsa verso la modernità e l’inverarsi perpetuo delle vicende della storia sono un tutt’uno con l’esaltazione delle virtù civili e dell’amor di patria repubblicanamente inteso come attaccamento alle proprie libere istituzioni che, perché tali, non permettono, come ricordano Salmi e Morigi, il dominio dell’uomo sull’uomo Quella passione civile che ricordavo qualche istante fa, e che io condivido, non sminuisce ma connota il richiamo al risorgimento neorepubblicano come uno dei versanti fondamentali di una storia diversa che si vuole venga alla luce nella consapevolezza che nasce e si sviluppa dal fallimento del liberalismo, la corrente di pensiero che certo ha avuto meriti ma che con il suo elitismo, con la sua antropologia della diseguaglianza, si rilevò inadeguata e che per questo fu sconfitta dal nascente socialismo che seppe trovare un modus operandi con la preesistente sinistra radicale e laica, in alleanza con parte delle stesse forze interne al liberalismo che si erano rese conto della inadeguatezza della sterile autoreferenzialità conservatrice del vecchio mondo . La grande forza della “dimensione associativa”, che viene richiamato nel testo, come dato antropologico e come dato politico sta nella capacità di poter dare risposte laddove l’individualismo e la satisfattoria libertà intesa come assenza di interferenza complica e non risolve né per il singolo né per la comunità, è fonte di diseguaglianze e matrice di egoismi che minano le società costituite. Comunità intesa, come scrivono Salmi e Morigi, non in senso etnico o territoriale ma come concreto amore per le “storie di libertà” che da un dato popolo e da una data patria sono nate e si sono sviluppate. L’ultimo snodo del passaggio del pensiero repubblicano non poteva non avvenire intorno a Gramsci che è certo un grande pensatore ma anche un importante uomo di battaglie politiche, forse il più grande fra quelli che in Italia hanno adottato la variante leninista del marxismo . Nel suo tempo i marxisti quale Gramsci, di ascendenza leninista tacciavano i marxisti revisionisti come Turati di non conoscere e attuare e il marxismo E’ utile ricordare che in Italia per molti anni non vi sono state traduzioni del Capitale e che un marxista revisionista, quale è stato il socialista Prampolini, lo aveva studiato in una edizione in lingua francese. Non voglio esercitarmi in un esercizio definitorio del profilo culturale politico di Gramsci che, condivisibile o meno, meriterebbe, per il rispetto che ho di lui e della sua tradizione politica, lo spazio necessario per dimostrarne le premesse. Salmi e Morigi partono dal convincimento che Gramsci sia stato “un pensatore giustamente ascritto alla tradizione marxista ma di un marxismo fortemente connotato in senso volontaristico e niente affatto deterministico” per cui i concetti di egemonia, volontà collettiva nazionale-popolare indicano in senso lato “una fortissima propensione verso il “momento” volitivo e culturale della spiegazione storica( e della prassi di lotta) ; in addensamento di significato gli ultimi due rivelano una prossimità semantica con concetti machiavelliani di virtù e patria”. Certo nessuno ha parlato di simmetrie fra i concetti soprarichiamati né alcuno pensa che affermare che Machiavelli ha compreso “la positività del conflitto sociale per educare le masse e per rendere solide le istituzioni politiche” significhi che debba essere inteso nella precisa accezione che si da nella nostra contemporaneità. Altrimenti, con tutto il rispetto e paradossalmente , sarebbe come se si volesse sostenere che le ragioni di principio di “Potere operaio” o delle organizzazioni per sovversione armata hanno una ascendenza nella impostazione dei socialisti del sindacalismo rivoluzionario che proponevano lo sciopero generale come premessa, mezzo per il fine di una repubblica non del popolo ma dei soviet. Gramsci che con Bordiga fa la scissione del’21 dal PSI e che con lui condivide tattica e strategia leniniste terzinternazionalistiche fino al congresso di Lione, a me pare condivida fino in fondo quelle scelte anche dopo. Nella sua prospettiva non c’è pluralismo politico ed istituzionale ma autosufficienza per il combattimento di classe che si avvicina , sia per la guerra aperta che per quella di posizione quando le condizioni non sono favorevoli alla vittoria. Anche Tamburrano sostiene quello che sostiene Vacca e che sostengono Salmi e Morigi e cioè che esista un prima ed un dopo in Gramsci. C’è un valore fondante della libertà nel rapporto tra intellettuali e potere. Machiavelli nel Principe e nel Principato vede l’intellettuale come persona che non può che essere libero o sottomesso laddove in Gramsci la funzione dell’intellettuale è fondamentale didascalica e intimamente legata ai fini della classe operaia che vuole acquisire un consenso più ampio per la sua direzione dello stato. Machiavelli sottolinea la caducità delle tirannidi ed il ruolo fondamentale della libertà nelle repubbliche; l’avversione pragmatica (esse non portano risultati duraturi) delle congiure e il ruolo vitale della milizia, del monopolio della forza, dell’esercito cittadino. Machiavelli sottolinea la caducità delle tirannidi e il ruolo fondamentale della libertà nelle repubbliche convinto che l’uso della forza e l’intervento di un principe virtuoso servono a riportare in auge la repubblica e non a avviare dittature personali o del proletariato, pur usare un termine più moderno. Le diverse epifanie del politico e pensatore che, come si scrive è apprezzato da Gobetti e dai liberali, un poco per le troppe estrapolazioni ed interpolazioni gestite dopo la sua morte un poco per la natura articolata dei suoi scritti non mi ha portato a superare i dubbi che ho ancora sulla sua accettazione convinta del fatto che il fine, come il metodo, deve essere democratico. L’asimmetria tra l’ investigazione su Gramsci che si occupa di Machiavelli e le osservazioni su Gobetti e Rosselli, che mi appaiono rapide e sommarie, non rafforza l’obiettivo importante (che certo non è la finalità primaria del libro) di far emergere e rafforzare nell’oggi con il neorepubblicanesimo una prospettiva di governo realmente democratico di liberi e pari cittadini titolari di diritti e di doveri, di cui si sente il bisogno anche dopo i colpi inferti alla costituzione formale e materiale del nostro paese e della nostra Europa in questi ultimi decenni. Gramsci, come si sostiene nel testo, ricerca in Machiavelli strumenti per “innervare e rinvigorire un marxismo che non aveva saputo prevedere la “crisi di civiltà” rappresenta tata dal fascismo” ? La storia dei valori repubblicani hanno un altro ulteriore e per me più convincente snodo che quello che passa dal repubblicanesimo dei repubblicani al socialismo ( e di cui ci sono segni precisi e concreti) e che a ridosso del ‘900 si sviluppa nei lunghi anni di azione ora parallela ora congiunta in strutture locali, nazionali ed internazionali comuni. Mi riferisco al PSI dopo il 1892, un partito del revisionismo marxista e della sua lunga vicenda, come lo conosciamo nel tempo, gradualista, per le riforme di struttura, della Costituente repubblicana, senza alcun tentennamento verso la monarchia che ha tradito il paese e verso la Chiesa apparato che ha fatto il concordato con Mussolini. Accanto ad esso la vicenda delle idee politiche e l’azione dei Rosselli che si intrecciano anche umanamente con quella dei Nathan dalle ascendenze culturali mazziniane. Rosselli e Nenni fondano nel 1926 la rivista “Quarto Stato” dove Rosselli che non crede alla lotta di classe ed all’uso della violenza in politica (che da Sorel passa Mussolini ma passa anche nella tradizione leninista) scrive della grande alleanza antifascista (che per Rosselli deve portarci alla sconfitta del fascismo, al parlamentarismo ed alla Europa federale) accanto a Pietro Nenni che invece, pensa all’unità di tutti i socialisti coerentemente non rinunciando all’obiettivo della presa democratica del potere alla fine di un processo di consunzione della preesistente egemonia. E’ bene ricordare che Pietro Nenni è stato lungo 13 anni dirigente nazionale di primo piano dei repubblicani e che ha riversato quell’esperienza nella sua elaborazione e nella sua azione come dirigente del PSI. Penso ancora ai repubblicani che nel XV congresso di Napoli delle Società operaie affratellate (giugno1889) si scontrano con la loro “destra” dei mazziniani conservatori di Saffi e costituiscono poi in diverse regioni organizzazioni repubblicansocialiste o alimentano una corrente di repubblicani cosiddetti collettivisti, anticapitalisti che divennero, più volte confermati, amministratori di grandi comunità (nel senso non territoriale ma delle virtù civiche condivise) come Sassi indimenticato sindaco di Imola. Un pensiero, quello mazziniano, importante ed un pensatore osteggiato nella fase preunitaria e poi museizzato nel periodo fascista. Da personaggio storico a mito. Eppure quanta modernità in Mazzini . Mazzini che ha precorso i tempi. Egli è stato infatti promotore, difensore e a volte anticipatore di molti principi oggi largamente condivisi: dalla forma istituzionale repubblicano – democratica e laica dello stato, dal progresso inteso come crescita materiale e sviluppo culturale della nazione, dal comunitarismo in opposizione all’individualismo di stampo liberale e liberista, dalla compartecipazione del capitale e del lavoro nell’organizzazione del governo e delle attività produttive, dalla equità distributiva e dall’internazionalismo solidale, strumentale allo sviluppo delle relazioni pacifiche tra i popoli. In un’epoca in cui tutti questi principi non erano vincenti o in auge, Mazzini ha ordinato questi principi in un sistema del pensiero coerente dal quale ha tratto direttrici per l’azione, per il riscatto del dominio austriaco della nazione italiana, per la realizzazione della sua unità e per il rinnovamento sul piano delle relazioni tra i diversi gruppi sociali. Il pensiero repubblicano di Mazzini viene fuori oggi con più forza dopo essere stato schiacciato, sottovalutato e travisato da studiosi dogmatici sia marxisti che cattolici. Nel 1978 al congresso di Torino del PSI alla ricerca di uno spazio per il socialismo democratico mancò l’occasione di risalire al “socialismo umanitario” di Mazzini preferendo nella sfida a sinistra di rifarsi al Proudhom del “ socialismo utopico” ritenendolo culturalmente idoneo a ulteriormente smarcarsi dalla cultura politica e dalla funzione didascalica del novello principe, del PCI che, in quegli anni, confidava nel compromesso storico per andare al potere ma che ottenne solo di esercitare una esterna solidarietà nazionale. Mazzini non ha mai formulato il “suo” socialismo come un sistema onnicomprensivo. In Mazzini non c’è solo la cura degli interessi materiali o la liberazione ed unità dell’Italia. C’è anche l’affermazione dei principi associazionistici, solidaristici e mutualistici, principi cioè che sono alla base di qualsiasi organizzazione sociale autenticamente socialista. Salmi e Morigi ricordano a ragione , felicemente, la crisi del liberalismo e quella dei socialisti. Ovviamente determinate da cause fra loro diverse. Conosciamo la critica ai limiti dell’approccio economicistico del socialismo italiano che è nella critica di Rosselli alla cultura politico- istituzionale del partito socialista e sappiamo i suoi timori sul rischio dell’approccio statalistico sia in chiave bolscevica che socialdemocratica. La discussione odierna sulla crisi dei partiti personali ridicolmente definiti a direzione carismatica, la crisi del populismo innestato da tali partiti che sarebbero oggetto delle critiche di Gino Germani, l’aspirazione a dare un senso nazionale ed europeo ai principi ed alla progettualità della sinistra ci conferma nella grande attualità del dibattito sul neorepubblicanesimo e sugli sforzi per conciliarlo con una tradizione che in parte procede parallela ed in parte lo interseca e che da Rosselli a Nenni , da Calogero a Foa , da La Malfa a De Martino può ridarci una nuova via d’uscita in cui repubblica, socialismo e libertà, individui e collettività si riconcilino nell’incessante fluire della storia. Per la fine del fascismo la luce in fondo al tunnel venne rappresentato dalle virtù civiche di resistenza alla tirannia e dall’amore per la libertà che troviamo nei Rosselli di “Non mollare” e nel “Costi quel che costi” di Gobetti. Per costruire il futuro dalle macerie sono le lettere dei condannati a morte della Resistenza che per noi tutti traghettano la tradizione di valori civici che ritroviamo nella nostra Costituzione.

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