La teoria della mela marcia viene spesso evocata a proposito degli episodi di malaffare di cui si rendono protagonisti alcuni rappresentanti delle organizzazioni politiche, sociali e religiose. Si tratta di una metafora antica con la quale si intende circoscrivere la responsabilità alla singola persona per assolvere il sistema di cui fa parte. Ad essa fece si fece ricorso anche nel 1992 quando fu arrestato Mario Chiesa per le tangenti del Pio Albergo Trivulzio. Prima che tangentopoli investisse frontalmente tutti partiti della prima Repubblica (sebbene con esiti diversi) rivelando un’ampiezza del sistema corruttivo sfuggita anche a molti avveduti osservatori politici.
L’uso della metafora è scorretto quando non è funzionale ad esprimere con immediatezza una realtà che sarebbe più difficile descrivere attraverso un ragionamento articolato. La metafora diventa strumentale, e disonesta intellettualmente, quando è utilizzata per manipolare una realtà e confondere un ragionamento. Ed è proprio in questi casi che si preferisce la metafora, la cui resa espressiva è ben superiore ad altre figure retoriche ed in particolare rispetto alla similitudine1. Non si dice mai che il corrotto “è come” una mela marcia ma che “è” la mela marcia: la potenza assertiva, e propagandistica, è molto più forte. La condanna del singolo è totale ma costituisce il prezzo da pagare per assolvere il sistema.
La reazione dell’opinione pubblica di fronte ai ripetuti episodi di malcostume è spesso pari e contraria con un uso altrettanto scorretto della metafora. In genere risulta di tipo scandalistico e si attesta su livelli di condanna morale generalizzata. Tale orientamento è recepito e fomentato dai competitor dell’organizzazione coinvolta. Si chiude così un cortocircuito che alimenta il discredito generale.
In ambito penale la definizione della corruzione passa attraverso l’individuazione di illeciti. Già questa operazione non è affatto semplice. Ma ancora più difficoltoso risulta il giudizio che i cittadini devono esprimere in un ambito che non è quello normativo e non riguarda solo i casi di illecito ma anche tutte quelle circostanze nelle quali l’interesse di parte sembra prevalere su quello generale. E che comprende quindi la corruzione e la malversazione ma anche il malcostume, il conflitto di interessi, l’agire al di fuori dell’interesse comune. Pertanto, quando i cittadini si trovano a dover esprimere il proprio consenso elettorale (o a versare l’otto per mille), sono chiamati ad una valutazione molto complessa che comprende anche l’eticità della organizzazione cui in qualche modo ritengono di aderire. Quindi forse vale la pena di provare a stabilire dei criteri di minima.
Innanzitutto, in generale, si può definire corruzione la deviazione dalle regole morali affermate in un contesto sociale. Riferita ai rappresentanti di un’organizzazione la corruzione individuale deve intendersi come un abuso di potere finalizzato al vantaggio privato (non necessariamente di tipo economico) e derivante da una violazione intenzionale del contratto stabilito con coloro che hanno delegato o riconosciuto tale potere. Più complessa la valutazione sul livello di corruzione di una organizzazione. In proposito si può adottare una griglia di valutazione e stabilire se:
– La corruzione è episodica o diffusa.
– La corruzione morale dei singoli è divenuta disonestà intellettuale di gruppo perché condiziona le scelte fondamentali dell’organizzazione.
– L’organizzazione è divenuta un sistema che produce esso stesso fenomeni corruttivi, direttamente (per l’innesco di meccanismi pro-attivi) o indirettamente (per una omessa vigilanza).
Per fare un esempio di attualità, si consideri la scelta dell’episcopato italiano di non inserire nelle linee guida sulla pedofilia l’obbligo per il vescovo di denunciare alla magistratura i casi nei quali risulti coinvolto personale ecclesiastico. Si è giustificata tale scelta con il rispetto dello spirito dell’ordinamento italiano che, a tutela delle vittime, prevede la perseguibilità del reato solo su denuncia di parte. O, invece, in questo caso è scattato il riflesso condizionato di un sistema che vuole sottrarsi al discredito che emergerebbe accendendo i riflettori su casi ancora ignoti all’opinione pubblica? Il dubbio è più che legittimo per una serie di ragioni. Innanzitutto perché la CEI non ha mostrato in passato questa grande sensibilità nei confronti della lettera e dello spirito della legislazione italiana. In secondo luogo perché in Irlanda, dove pure la pedofilia è perseguibile solo su denuncia di parte, l’episcopato ha deciso diversamente. Infine perché manca nel documento della CEI una forte raccomandazione a che i vescovi promuovano la denuncia da parte della famiglia della vittima. Una forte raccomandazione che sarebbe stato il segno, essa sì, di una reale volontà di rispettare lo spirito dell’ordinamento giuridico del Paese.
Per rimanere nell’attualità, si consideri il sistema dei partiti. Il caso di Forza Italia è sin troppo facile: un partito personale, disponibile a rappresentare ed utilizzare qualunque interesse non fosse contrastante con quello del capo, portatore di una pratica di governo “ad personam” senza eguali nelle democrazie liberali.
Ma anche molti elettori del PD si chiedono ormai se i non pochi casi di corruzione e malcostume che inquinano quel partito siano il segno di una trasformazione in un sistema posto a difesa dei propri esclusivi interessi. Se tale involuzione è avvenuta, a mio avviso, è avvenuta comunque prima di Renzi. Il quale ha avuto “solo” (si fa per dire) il torto di legarsi ai potentati locali nel quale il PD si era frantumato e che sono il vero veicolo del malcostume e dell’affarismo (a Roma come altrove). Da questo punto di vista è assolutamente interessante notare come nei partiti possano replicarsi alcuni meccanismi che sono tipici delle imprese2. L’azienda, per assicurare la propria continuità, ha la necessità di soddisfare le esigenze delle sue componenti interne ma se questo avviene in misura “appena superiore al minimo”, allora è “naturalmente” portata a risparmiare altrove, in particolare penalizzando gli interessi dei propri “stakeholder” (che comprende anche i clienti). E’ uno dei dilemmi etici che attanagliano le imprese. E tutte le organizzazioni. Questo vuol dire che la questione riguarda in generale tutti i partiti anche se il dilemma etico (favorire la continuità penalizzando gli elettori o viceversa) può essere risolto in maniera molto diversa. E a questo punto ci si deve chiedere se il PD sia ancora emendabile e se possa ancora rappresentare il partito dell’interesse generale. Per farlo il PD, tutto, deve liberarsi delle satrapie periferiche che lo stritolano in una morsa: portano voti organizzati (e coagulati attorno ad interessi non sempre legittimi) ma alienano un voto di opinione che sull’onda dell’anti-politica si è ampliato diventando decisivo per vincere le elezioni politiche. Vorrà farlo? Potrà farlo? Ai contemporanei l’ardua sentenza.
CDL, Tivoli, 1 Maggio 2016
1. Gianrico Carofiglio. Quegli abusi di potere per amore di metafora. Blogspot.it, Settembre 2015.
2. Muel Kaptein, Johan F. Wempe. The Corporate Condition: The Dilemmas of Dirty Hands, Many Hands and Entangled Hands. Chapter 4 in Kaptein, M. & Wempe, J. 2002. The Balanced Company: A corporate integrity approach. Oxford: Oxford University Press.