Si pubblicano due documenti dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) relativi alla disuguaglianza nella distribuzione del reddito in Italia. La realtà italiana, che pure presenta delle specificità, è comunque coerente con quanto accade nel resto del mondo e che è descritto in altra parte del sito (L’ “Economist” sulla ineguaglianza nella distribuzione del reddito).
Il primo documento, datato Gennaio 2012, riporta il livello di disuguaglianza in vari Paesi, compresa l’Italia. Il secondo è un report del 2011 dello stesso OECD specificatamente dedicato all’Italia in un confronto con altre realtà. Si è infine ritenuto di presentare una breve appendice statistica finalizzata a chiarire, in modo approssimativo, la metodologia utilizzata per misurare la disuguaglianza.
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Report 2012 OECD
Trends in income inequality and income position of different household types
Di questo report è riportata una tabella che descrive il livello di disuguaglianza nella distribuzione del reddito in età lavorativa. I dati si riferiscono a diversi Paesi, inclusa l’Italia. Il divario di reddito è misurato attraverso il coefficiente di Gini che somma le differenze in un’unica misura interna ad una scala che va da 0 ad 1. Se in un gruppo tutti hanno lo stesso reddito, il coefficiente di Gini è pari a 0; se tutto il reddito va a una sola persona, il coefficiente di Gini è pari ad 1 (si veda l’Appendice sul coefficiente di Gini, ndt). Per come è costruito l’indicatore, minime modificazioni della misura corrispondono ad ampie variazioni di reddito.
Dalla lettura della tabella si rileva che l’Italia, a partire dalla metà degli ’80 per arrivare alla fine degli anni 2000, presenta sistematicamente un livello di disuguaglianza maggiore rispetto alla media dei Paesi OECD con una differenza che è significativa. Nel corso del tempo il divario di reddito è ulteriormente aumentato, in Italia come nella generalità dei Paesi, a riprova che la crescente disuguaglianza è un fenomeno antecedente alla crisi del 2008 i cui effetti non sono ancora contenuti nei dati presentati e diventeranno influenti nei successivi.
Complessivamente, dalla metà degli anni ’80 alla fine degli anni 2000, nei Paesi OECD si registra un incremento del livello di disuguaglianza pari allo 11%. Ampie le differenze tra le diverse nazioni. I Paesi OECD dove maggiore è stata la crescita della disuguaglianza sono l’Olanda (26,0%), la Nuova Zelanda (25,0%) e la Gran Bretagna (24,4%). Rilevante pure l’incremento registrato da altre potenze industriali come Stati Uniti (16,2%), Giappone (16,0%) e Germania (15,8%). In Italia il livello di disuguaglianza risulta aumentato del 10,3%. Pure importanti gli incrementi rilevati da quelle Nazioni del Nord-Europa (Svezia, Norvegia, Danimarca) che possono essere considerate le più egualitarie per la grande attenzione da sempre dedicata alla redistribuzione del reddito.
Il risultato finale dei processi a lungo termine si verifica dal coeffciente di Gini alla fine degli anni 2000. Se nell’ambito dell’OECD si considerano i Paesi maggiormente industrializzati, il livello maggiore di disuguaglianza si rileva negli Stati Uniti (coefficiente di Gini 0,38). L’Italia si colloca al secondo posto, insieme alla Gran Bretagna (0,34), ad una distanza considerevole. Le altra Nazioni si attestano su un livello di disuguaglianza ancora inferiore: Canada (0,32), Giappone (0,32), Germania (0,30) e Francia (0,29). Di assoluta rilevanza la differenze con Paesi “egualitari” del Nord-Europa: Danimarca (0,25), Norvegia (0,25) e Svezia (0,25).
Tutto questo, si è detto, è accaduto ben prima della crisi drammatica del 2008. E’ opinione diffusa, anche negli ambienti più sensibili alle istanze liberiste (si veda: L’ “Economist” sulla ineguaglianza nella distribuzione del reddito ), che tale crisi abbia ulteriormente divaricato le distanze e aumentato ancora la disuguaglianza. La disuguaglianza in se non significa molto ed anzi diventa accettabile se si traduce in un vantaggio collettivo quanto a livello di reddito. L’impressione pressoché unanime è che, nei Paesi occidentali più che nelle economie emergenti, la crescita della disuguaglianza stia spingendo ampie fasce della popolazione sotto una soglia critica di reddito oltre la quale i cittadini si limitano a consumare i beni di sussistenza (in qualche caso tornando ad essere produttori) disertando gli altri settori del mercato. In sostanza stiamo assistendo, mutatis mutandis, a nuove forme di carestia.
Se la civiltà occidentale vuole salvare se stessa appare ineludibile affrontare la questione dell’eguaglianza e ripensare le politiche di ridistribuzione del reddito. Lo strumento esiste già ed è la leva fiscale.
Tivoli, 4 Luglio 2013
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Report 2011 OECD. Nota sul Paese Italia
Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising
La disuguaglianza dei redditi tra le persone in età lavorativa è aumentata drasticamente nei primi anni Novanta e da allora è rimasta a un livello elevato, nonostante un leggero calo verso la fine del primo decennio degli anni duemila. La disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei Paesi OCSE, più elevata che in Spagna ma inferiore che in Portogallo e nel Regno Unito. Nel 2008, il reddito medio del 10% più ricco degli italiani era di 49.300 euro, dieci volte superiore al reddito medio del 10% più povero (4.877 euro) indicando un aumento della disuguaglianza rispetto al rapporto di 8 a 1 di metà degli anni Ottanta.
Le imposte sui redditi e i sussidi sociali hanno un ruolo importante nella redistribuzione del reddito in Italia, riducendo la disuguaglianza di circa il 30% – la media OCSE è un quarto. [Figure6.1]
Note: Il coefficiente di Gini varia da zero (quando tutte le persone percepiscono lo stesso reddito) a 1 (quando la persona più ricca percepisce tutto il reddito). Il reddito da lavoro e da capitale include salari e stipendi, redditi da capitali e risparmi. Il reddito disponibile include il reddito da lavoro e da capitale più i trasferimenti pubblici meno le tasse. I redditi tengono conto della dimensione delle famiglie. I dati si riferiscono alla popolazione in età lavorativa. Per informazioni sui dati per Israele si veda: http://dx.doi.org/10.1787/888932315602
Risultati principali:
- La proporzione dei redditi più elevati è aumentata di più di un terzo. L’1% più ricco degli italiani ha visto la proporzione del proprio reddito aumentare del 7% del reddito totale nel 1980 fino a quasi dell 10% nel 2008 [Table9.1]. La proporzione di reddito detenuta dallo 0.1% della popolazione è aumentata da 1.8% a 2.6% nel 2004. Allo stesso tempo, le aliquote marginali d’imposta sui redditi più alti si sono quasi dimezzate passando dal 72% nel 1981 al 43% nel 2010.
- Un ruolo maggiore del reddito da lavoro autonomo. L’aumento dei redditi da lavoro autonomo ha contribuito in maniera importante all’aumento della disuguaglianza dei redditi da lavoro: la loro quota sul totale dei redditi è aumentata del 10% dalla metà degli anni Ottanta e i redditi da lavoro autonomo sembrano ancora predominare tra le persone con i redditi più alti, al contrario di molti altri Paesi OCSE.
- I lavoratori meglio pagati lavorano più ore. In Italia la differenza tra le ore di lavoro dei lavoratori meglio e peggio retribuiti è aumentata, confermando l’andamento visto nella maggior parte dei Paesi OCSE. Dalla metà degli anni Ottanta, il numero annuale di ore di lavoro dei lavoratori dipendenti meno pagati è diminuito, passando da 1580 a 1440 ore; anche quello dei lavoratori meglio pagati è diminuito, ma in minor misura, passando da 2170 a 2080 ore[Table4.A1.2].
- Sempre più persone si sposano con persone con redditi da lavoro simili ai loro. Questo cambiamento sociale ha contribuito ad un terzo dell’aumento della disuguaglianza di reddito da lavoro tra le famiglie. L’aumento della disuguaglianza dei redditi da lavoro maschile rimane, tuttavia, la prima causa dell’aumento della disuguaglianza totale spiegandone la metà.
- La redistribuzione attraverso i servizi pubblici è diminuita. Come in molti paesi OCSE, in Italia sanità, istruzione e servizi pubblici destinati alla salute contribuiscono a ridurre di circa un quinto la disuguaglianza di reddito. Gli stessi contribuivano a una riduzione della disuguaglianza pari a circa un quarto nel 2000. La spesa sociale in Italia è basata prevalentemente su trasferimenti pubblici, come per esempio i sussidi di disoccupazione, piuttosto che da servizi.
- Ma la capacità di stabilizzare la diseguaglianza del sistema impositivo e dei sussidi è aumentato. Imposte e sussidi compensavano metà dell’aumento della disuguaglianza del reddito da lavoro e da capitale (che include gli stipendi lordi, i risparmi e il reddito da capitale) prima della metà degli anni Novanta. Da allora hanno compensato quasi interamente l’aumento della disuguaglianza del reddito da lavoro e da capitale.
Raccomandazioni politiche fondamentali per i paesi dell’OCSE dal rapporto “Divided We Stand”
- L’occupazione è il modo per migliore di ridurre le disparità. La sfida principale consiste nel creare posti di lavoro qualitativamente e quantitativamente migliori, che offrano buone prospettive di carriera e la possibilità concreta di sfuggire alla povertà.
- È essenziale investire nelle risorse umane, un processo che deve iniziare dalla prima infanzia ed essere sostenuto per tutto il ciclo di istruzione obbligatoria. Una volta realizzata la transizione dalla scuola al lavoro, occorre fornire incentivi sufficienti affinché tanto i lavoratori che i datori di lavoro investano nelle competenze lungo l’intero arco della vita lavorativa.
- La riforma delle politiche fiscali e previdenziali costituisce lo strumento più diretto per accrescere gli effetti redistributivi. Perdite ampie e persistenti di reddito per i gruppi a basso reddito in coincidenza con le fasi recessive evidenziano l’importanza del ruolo degli ammortizzatori sociali, dei trasferimenti pubblici e delle politiche di sostegno del reddito. Tali meccanismi devono essere ben congegnati al fine di ottenere i risultati sperati.
- La quota crescente di reddito per la popolazione con le retribuzioni più elevate suggerisce che la sua capacità contributiva è aumentata. In tale contesto, le autorità potrebbero riesaminare il ruolo redistributivo della fiscalità onde assicurare che i soggetti più abbienti contribuiscano in giusta misura al pagamento degli oneri impositivi.
- L’offerta di servizi pubblici gratuiti e di qualità elevata in ambiti quali l’istruzione, la sanità e l’assistenza familiare riveste un ruolo importante.
Il ruolo della globalizzazione, del progresso tecnologico e delle riforme normative
Divided we Stand esamina anche l’impatto degli andamenti mondiali sulla crescente dispersione dei salari e sulle tendenze dell’occupazione nel quarto di secolo antecedente la crisi finanziaria. Per l’insieme dell’area dell’OCSE, emergono i risultati principali indicati qui di seguito.
– La globalizzazione, cioè la rapida integrazione degli scambi e degli investimenti diretti esteri che si é verificata in tutti i paesi dell’OCSE negli ultimi venticinque anni non ha – di per sé, svolto un ruolo determinante nella crescente dispersione dei salari. Tuttavia, la pressione della globalizzazione ha influenzato la politica interna e le riforme istituzionali (vedi seguito).
– Il progresso tecnologico ha ampliato i differenziali retributivi; i lavoratori più qualificati hanno beneficiato in misura maggiore rispetto agli altri dei passi avanti compiuti nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione .
– Le riforme normative e le modifiche nelle istituzioni del mercato del lavoro hanno accresciuto le opportunità di occupazione, ma hanno anche contribuito ad aumentare le disparità salariali. È salito il numero degli occupati, e in particolare di quelli con livelli retributivi ridotti. Tuttavia, la maggiore presenza di lavoratori a basso reddito si è tradotta fra l’altro in un ampliamento della distribuzione dei salari.
– L’offerta più abbondante di lavoratori qualificati ha contribuito in misura consistente a controbilanciare l’aumento delle disparità salariali risultante dal progresso tecnologico, dalle riforme normative e dalle modifiche istituzionali. Anche la riqualificazione della forza lavoro ha esercitato un significativo impatto favorevole sulla crescita dell’occupazione.
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Appendice statistica – Indice di Gini
Il coefficiente di Gini è una misura della eterogeneità di una distribuzione. Viene utilizzato per quantificare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o di un’altra qualsiasi misura della ricchezza. Esso può variare da un valore pari a 0 (che rappresenta la massima omogeneità della distribuzione) ad un valore massimo di 1 (che rappresenta la massima eterogeneità della distribuzione). Questo significa che quando il coefficiente di Gini è applicato al reddito, i valori più bassi (più vicini allo zero) indicano una tendenza alla disuguaglianza mentre i valori più alti (più vicini a uno) mostrano una tendenza alla disuguaglianza. Il calcolo matematico del coefficiente di Gini è basato sulla curva di distribuzione di Lorenz.
Per semplicità si consideri l’indice di Gini che pure misura la eterogeneità di una distribuzione, varia da 0 ad 1, ed ha lo stesso significato. Esso è basato sulla somma delle frequenze relative di tutte le modalità di un carattere. Si supponga che il carattere in questione sia il reddito medio pro-capite e si supponga che le modalità siano tre: 10 euro (guadagnati da 0 persone), 50 euro (guadagnati da 0 persone), 100 euro (guadagnate da 21 persone). L’indice di Gini è espresso dalla formula:
In questo caso si ha la massima uguaglianza (tutte le persone ottengono lo stesso reddito): l’indice di Gini è pari ad 0.
Se la distribuzione fosse meno omogenea l’indice di Gini aumenterebbe. Se la distribuzione del reddito fosse ancora più omogenea, l’indice di Gini aumenterebbe ancora: