Si pubblica la traduzione dell’articolo con il quale The Economist, nell’Ottobre 2012, introduce un report speciale dedicato alla disuguaglianza nella distribuzione del reddito. I dati riguardanti l’Italia sono riportati in altra parte del sito (Disuguaglianza di reddito in Italia. I documenti OECD)
Ai più ricchi, ai più poveri
La crescente disuguaglianza è una delle maggiori sfide sociali, economiche e politiche del nostro tempo. Ma non è inevitabile, sostiene Zanny Minton Beddoes.
The Economist, 13 Ottobre 2012
http://www.economist.com/node/21564414
Nel 1889, al culmine della prima età dell’oro americana, George Vanderbilt II, nipote del magnate della prima ferrovia, si era riproposto di costruire una tenuta di campagna sulle montagne del Blue Ridge nel North Carolina. Assunse l’architetto più prestigioso del tempo, fece il giro dei castelli della Loira per avere l’ispirazione, fece costruire una ferrovia per portare la pietra calcarea dall’Indiana impiegando più di 1.000 operai. Con le 250 camere distribuite su 175.000 piedi quadrati (16.000 metri quadrati), l’edificio risultava 300 volte più grande della dimora media del tempo. Il complesso disponeva di riscaldamento centralizzato, piscina coperta, pista da bowling, ascensori e sistema interfono in un’epoca in cui la maggior parte delle case americane non aveva né elettricità né acqua corrente.
A distanza di poco più di un secolo, l’America della seconda età dell’oro non ha nulla di paragonabile alla magnificenza di Vanderbilt. La dimora di Bill Gates nei pressi di Seattle è piena di strumentazione ad alta tecnologia, ma, con i suoi 66.000 piedi quadrati, è solo 30 volte più grande della casa media americana di oggi. La disparità nella distribuzione della ricchezza è oggi meno visibile nella vita quotidiana degli americani di quanto non lo fosse un secolo fa. Anche le persone povere hanno televisori, condizionatori d’aria e le auto.
Ma le apparenze ingannano. La democratizzazione del tenore di vita ha mascherato una concentrazione drammatica dei redditi che si è verificata nel corso degli ultimi 30 anni in una misura che corrisponde o risulta addirittura superiore a quella della prima età dell’oro. Considerando le plusvalenze, la quota di reddito nazionale assorbita dal 1% più ricco degli americani è raddoppiata dal 1980, passando dal 10% al 20%, un livello più o meno uguale a quello di un secolo fa. In modo ancora più sorprendente, la quota che va allo 0,01% più ricco, circa 16.000 famiglie con un reddito medio di 24 milioni di dollari, si è quadruplicato essendo aumentato da poco più dell’1% a quasi il 5%. Questa è una fetta di torta maggiore di quella che lo 0,01% apicale raggiungeva 100 anni fa.
Una tale evoluzione risulta straordinaria e non si limita alla sola America. Molti paesi, tra i quali la Gran Bretagna, il Canada, la Cina, l’India e persino la Svezia egualitaria, hanno dovuto registrare un aumento della quota di reddito nazionale conquistata dal 1% più ricco. La numerosità degli ultra-ricchi è salita alle stelle in tutto il mondo. Secondo la lista della ricchezza stilata dalla rivista Forbes, l’America ha 421 miliardari, la Russia 96, la Cina 95 e l’India 48. L’uomo più ricco del mondo è un messicano (Carlos Slim, con un patrimonio di circa 69 miliardi dollari). La nuova casa più grande del mondo appartiene a un indiano. Il grattacielo di 27 piani di Mukesh Ambani a Mumbai occupa 400.000 piedi quadrati, una superficie 1.300 volte più grande dell’abitazione media che si può trovare nelle baraccopoli circostanti.
La concentrazione della ricchezza al vertice è parte di un aumento molto più ampio della disuguaglianza lungo tutta la catena di distribuzione del reddito. La misura più conosciuta idonea a quantificare la disuguaglianza è il coefficiente di Gini (si veda l’appendice statistica), così chiamato dal nome dello statistico italiano Corrado Gini. Esso somma le differenze tra i redditi delle persone in un’unica misura. Se in un gruppo tutti hanno lo stesso reddito, il coefficiente di Gini è 0; se tutto il reddito va a una sola persona, è 1 (si veda l’Appendice 1 sul coefficiente di Gini, ndt).
Il livello di disuguaglianza varia ampiamente nel mondo. Le economie emergenti sono più diseguali rispetto a quelle ricche. I Paesi scandinavi hanno le disparità di reddito minori, con un coefficiente di Gini pari a circa 0,25. All’altra estremità dello spettro mondiale della disuguaglianza si collocano Paesi, come il Sud Africa, che registrano un coefficiente di Gini di circa 0,6 (in ragione delle modalità con le quali viene costruita la scala, ad una modesta differenza del rapporto di Gini corrisponde una grande differenza in termini di disuguaglianza).
Le differenze di reddito si sono modificate a vari livelli. Il Gini americano per reddito disponibile (reddito totale meno le tasse correnti, ndt) è aumentato di quasi il 30% dal 1980 raggiungendo il valore di 0,39. In Svezia è salito di un quarto, sino a 0,24. In Cina è aumentato del 50% circa, sino a 0,42 (0,48 secondo alcune misurazioni). Nell’ambito di questa tendenza generale al rialzo, l’eccezione più vistosa è costituita dall’America Latina, a lungo continente più diseguale del mondo, dove i coefficienti di Gini sono diminuiti drasticamente negli ultimi dieci anni. Ma la maggior parte delle persone sul pianeta vive in Paesi nei quali le differenze di reddito sono più grandi di quanto lo fossero una generazione fa.
Questo non significa che il mondo intero è diventato più diseguale. La disuguaglianza globale, intesa come divario di reddito tra i popoli della terra, ha iniziato a diminuire quando i Paesi più poveri si sono messi al passo di quelli più ricchi. Due economisti francesi, François Bourguignon e Christian Morrisson, hanno calcolato un “Gini globale” che misura l’ampiezza di disparità di reddito di tutte le persone del mondo. Il loro indice mostra che la disuguaglianza globale è aumentata nei secoli XIX e XX perché le economie più ricche, in media, sono cresciute più velocemente di quelle più povere. Recentemente questa linea di tendenza si è invertita e la disuguaglianza globale ha cominciato a scendere anche se la disuguaglianza all’interno di molti Paesi è aumentata. Sulla base di tale misure il pianeta nel suo complesso sta diventando un luogo più giusto. Ma in un mondo di Stati nazionali è la disuguaglianza interna ai Paesi che assume rilevanza politica e questo report speciale si concentrerà su questo aspetto.
Dalla U alla N
Il crescente divario di reddito rappresenta un rovesciamento della linea di tendenza che ha caratterizzato gran parte XX secolo, quando la disuguaglianza in molti paesi si è ridotta. Questo fenomeno sembrava così inevitabile che Simon Kuznets, un bielorusso economista di Harvard, propose nel 1955 il noto modello di relazione tra disuguaglianza e la prosperità che è rappresentato da una U rovesciata (si veda l’Appendice 2 sulla curva di Kuznets, ndt).
Sulla base della “curva di Kuznets”, la disuguaglianza aumenta nelle prime fasi di industrializzazione, quando la gente lascia la terra, diventa più produttiva e guadagna di più nelle fabbriche. Una volta completata la fase di industrializzazione e una volta che i cittadini più istruiti richiedono ai governi una più equa redistribuzione, la disuguaglianza si riduce ancora.
Sino al 1980 questa previsione sembrava confermata. Ma gli ultimi 30 anni hanno segnato la fine del modello della curva di Kuznets, almeno nelle economie avanzate. In questi anni la U rovesciata si è trasformata in qualcosa di più vicino a una N in corsivo, con la gamba finale che punta minacciosamente verso l’alto.
Sebbene la disuguaglianza sia in aumento da tre decenni, la sua importanza politica è più recente. Nel corso dei ruggenti anni che hanno preceduto la crisi finanziaria, la crescente disuguaglianza si collocava a stento nell’agenda politica. Una ragione è che le bolle speculativa ed il credito a buon mercato rendevano la vita facile a tutti. Nei primi anni 2000, i finanzieri accrescevano favolosamente le ricchezze e gli altri potevano indebitarsi ben oltre il valore della loro casa.
Le cose sono cambiate dopo la crisi. I salvataggi bancari hanno illuminato un sistema in cui i banchieri ricchi sono stati messi al riparo mentre la gente comune perdeva la casa ed il posto di lavoro. E nelle economie fiacche di oggi, più disuguaglianza spesso significa che le persone in fondo e anche nel mezzo della distribuzione del reddito rimangono indietro non solo in senso relativo ma anche in senso assoluto.
La campagna Occupy Wall Street si è rivelata incoerente ed effimera ma la disuguaglianza e l’equità hanno rimontato sino a occupare la parte destra dell’agenda politica. La campagna presidenziale americana è stata combattuta in gran parte su quanto le tasse debbano aumentare e su quale ruolo il governo dovrebbe giocare nell’aiutare gli altri. In Europa, il nuovo presidente della Francia, François Hollande, vuole un tasso di imposta sui redditi più alti del 75%. Nuove sovrattasse per i più ricchi fanno parte di programmi di austerità in Portogallo e Spagna. Anche nelle economie emergenti più vivaci, la disuguaglianza è una preoccupazione crescente. Il governo indiano è sotto accusa per la mancanza di una “crescita inclusiva” e per il clientelismo che ha arricchito gli addetti ai lavori, come è apparso evidente dalle dubbie aste sulla telefonia mobile e dalle offerte minerarie ingannevoli. I leader cinesi temono che le crescenti ineguaglianze provocheranno disordini sociali. Wen Jiabao, il primo ministro uscente, ha a lungo insistito su una “società armoniosa”.
Molti economisti si preoccupano che l’ampliamento delle disparità di reddito possa avere effetti collaterali dannosi. In teoria, la disuguaglianza ha una relazione ambivalente con la prosperità. La crescita può aumentare perché le persone più ricche risparmiano e investono di più e perché la gente lavora di più in risposta agli incentivi. Ma le grandi differenze di reddito diventano inefficienti perché ostacolano il talento nei ceti più poveri a partire dall’accessibilità all’istruzione o suscitano un risentimento che si traduce in politiche populiste che distruggono la crescita.
L’opinione corrente divenuta prevalente da tempo è che una economia in crescita solleva tutte le barche in misura maggiore rispetto ad una redistribuzione basata sugli incentivi. Robert Lucas, un premio Nobel, riassumeva una teoria ortodossa quando nel 2003 scriveva che “tra le tendenze più dannose per un’economia sana, la più seducente e … pericolosa è quella di focalizzarsi sulle questioni della distribuzione”.
Ma ora lo establishment economico si preoccupa di chi ottiene cosa. Una ricerca condotta da economisti del FMI suggerisce che la disparità di reddito rallenta la crescita, provoca le crisi finanziarie e indebolisce la domanda. In un recente rapporto la Banca asiatica dello sviluppo ha sostenuto che se la distribuzione del reddito nei Paesi emergenti dell’Asia non fosse peggiorata nel corso degli ultimi 20 anni, la rapida crescita della regione avrebbe sollevato dalla povertà estrema un supplemento di 240 milioni di persone. Altri studi, più controversi, pretendono di collegare l’allargamento del divario di reddito con ogni sorta di mali, dall’obesità al suicidio.
Le crescenti disuguaglianze all’interno di molti paesi iniziano a preoccupare gli stessi plutocrati. Un sondaggio condotto in occasione dell’incontro di Davos del World Economic Forum ha indicato la disuguaglianza come il problema più urgente del prossimo decennio (insieme agli squilibri di bilancio). In tutti i settori della società, vi è un crescente consenso sul fatto che il mondo stia diventando sempre più diseguale e che la disuguaglianza di oggi con la sua verosimile traiettoria siano pericolosi.
Non così rapidamente
Questo è troppo semplicistico. La disuguaglianza, misurata dai coefficienti di Gini, è semplicemente una fotografia di risultati. Essa spiegherà perché quelle differenze si sono scavate o la loro tendenza nel tempo. E come in ogni fotografia, l’immagine può essere fuorviante.
Differenze di reddito possono originare da buone ragioni (ad esempio quando le persone sono premiate per la loro produttività) oppure da cattive (se i bambini più poveri non ricevono le stesse opportunità di quelli più ricchi). Analogamente la disuguaglianza dei risultati potrebbe risultare accettabile se le differenze si verificassero tra i giovani e anziani in modo che possano ridursi nel tempo. Ma nelle società che non hanno questa mobilità, un Gini elevato diventa preoccupante.
Alcune società sono maggiormente concentrate sulla parità di opportunità, altre più sulla parità dei risultati. Gli europei tendono ad essere più egualitari nella convinzione che in una società giusta non ci dovrebbero essere grandi differenze di reddito. Americani e cinesi mettono maggiormente l’accento sulla parità delle opportunità. A patto che possano salire lungo la scala sociale le persone ritengono che una società con ampi divari di reddito possa ancora essere equa. Comunque, a prescindere dalle preferenze della gente, le misure statiche delle differenze di reddito raccontano solo metà della storia.
La discussione odierna sulla disuguaglianza avrà conseguenze importanti. La instabilità storica dell’America Latina, a lungo il continente con il maggiore divario di reddito, suggerisce che i Paesi gestiti da élite benestanti arroccate non ottengono buoni risultati. Comunque il fuoco sulla ridistribuzione ha portato i suoi problemi. Troppo spesso lo Stato sociale con un’alta pressione fiscale si è rivelato inefficiente e insostenibile. Le misure governative messe in atto per correggere la disuguaglianza sono state a volte peggiore della malattia stessa.
Questo report speciale analizzerà su come il capitalismo del XXI secolo debba rispondere alla sfida attuale; esso esaminerà la storia recente sia della disuguaglianza che della mobilità sociale; e presenterà quattro studi di casi contemporanei: gli Stati Uniti, i Paesi emergenti dell’Asia e dell’America Latina e la Svezia. Sulla base dell’evidenza proporrà tre argomenti. In primo luogo, sebbene la moderna economia globale stia allargando la distanza tra i più istruiti e i meno istruiti, la politica dei governi rimane un grande strumento utile per la ridistribuzione dei redditi. In secondo luogo, la grande disuguaglianza di oggi significa inefficienza, in particolare nei paesi più diseguali. Essa riflette i fallimenti del mercato e del governo che riducono anche la crescita. E dove questo sta accadendo, gli stessi maggiori divari di reddito sono in grado di ridurre sia la mobilità sociale che la prosperità futura. In terzo luogo, esiste un programma di riforme per ridurre le disparità di reddito che assume un senso qualunque sia il vostro atteggiamento nei confronti di equità. Non si tratta di tasse più alte e maggiori esenzioni. Sia nelle economie ricche che in quelle emergenti, si tratta di attaccare il clientelismo e investire sui giovani. Si potrebbe chiamare “vero progressismo”.
Appendice 1 – Coefficiente di Gini
Il coefficiente di Gini è una misura della eterogeneità di una distribuzione. Viene utilizzato per quantificare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o di un’altra qualsiasi misura della ricchezza. Esso può variare da un valore pari a 0 (che rappresenta la massima omogeneità della distribuzione) ad un valore massimo di 1 (che rappresenta la massima eterogeneità della distribuzione). Questo significa che quando il coefficiente di Gini è applicato al reddito, i valori più bassi (più vicini allo zero) indicano una tendenza alla omogeneità mentre i valori più alti (più vicini a uno) mostrano una tendenza alla disuguaglianza. Il calcolo matematico del coefficiente di Gini è basato sulla curva di distribuzione di Lorenz.
Per semplicità si consideri l’indice di Gini che pure misura la eterogeneità di una distribuzione, varia da 0 ad 1, ed ha lo stesso significato. Esso è basato sulla somma delle frequenze relative di tutte le modalità di un carattere. Si supponga che il carattere in questione sia il reddito medio pro-capite e si supponga che le modalità siano tre: 10 euro (guadagnati da 0 persone), 50 euro (guadagnati da 0 persone), 100 euro (guadagnate da 21 persone). L’indice di Gini è espresso dalla formula:
In questo caso si ha la massima uguaglianza (tutte le persone ottengono lo stesso reddito): l’indice di Gini è pari ad 0. Se la distribuzione fosse meno omogenea l’indice di Gini aumenterebbe. Se la distribuzione del reddito fosse ancora più disomogenea, l’indice di Gini aumenterebbe ancora:
Appendice 2 – Curva di Kuznets
Tivoli, 1 Luglio 2013
Traduzione CDL